"Alta Fedeltà" compie 20 anni. E nessuno dei protagonisti se la passa più tanto bene | Rolling Stone Italia
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“Alta Fedeltà” compie vent’anni. E nessuno dei protagonisti se la passa più tanto bene

Nick Hornby racconta in anteprima cosa è rimasto di quel mondo di negozi di musica, di appassionati e di commessi da non far assolutamente irritare

“Alta Fedeltà” compie vent’anni. E nessuno dei protagonisti se la passa più tanto bene

Si dice che chiunque abbia comprato il primo album dei The Velvet Underground (quello con la banana, per capirci) sia poi diventato un grande musicista o un critico musicale. Magari non è stato lo stesso per tutti quelli che, molti di più, hanno letto Alta fedeltà di Nick Hornby ma sicuramente una buona percentuale è ora un collezionista di vinili, o uno Spotify dipendente.

Il racconto delle avventure di Rob, tipico trentenne anni Novanta, che passava il suo tempo a stilare classifiche improbabili e a gestire il suo negozio di dischi, è rimasto nel cuore di tutti. Ora, a distanza di vent’anni dalla pubblicazione del libro, Hornby torna a parlarne e racconta a Billboard cosa è rimasto di quel mondo di appassionati di musica, di commessi da non far irritare assolutamente, di classifiche stilate e difese con le unghie e con i denti.

Che cosa è accaduto a quel negozio di dischi? E dell’amore di Rob e Laura? Ragazzi, temo che non ci siano buone notizie… Secondo Hornby i suoi protagonisti sono ovviamente invecchiati, sono finalmente diventati grandi (Laura più serenamente di Rob, sorpresa sorpresa!), hanno avuto figli e no, non stanno più insieme.

Hornby ci dice che non ha idea di che vita potrebbe fare oggi il suo Rob, dato che sicuramente non potrà essere ancora il proprietario di quel negozio.
Già, i negozi di musica che sono il vero cuore del libro, non se la passano tanto bene, persino quello che nella vita reale era il negozio preferito di Hornby, ora vende, prosaicamente, mutande e reggiseni.

Ma lo scrittore chiude con una nota positiva, parlando del ritorno e della tenuta del vinile, del Record Store Day. Ci parla di come la pulsione antidemocratica ad affermare i nostri gusti artistici ci descriva. La musica che ci piace e che possediamo ci definisce come individui, il che forse spiega perché certi negozi e i dischi forse non scompariranno mai. Dietro il bancone ci sarà sempre un commesso dall’espressione perennemente corrucciata, a squadrare con compatimento ciò che stiamo acquistando. E a stilare la lista dei cinque dischi preferiti di sempre, argomento che porterà a una discussione sicuramente feroce.

Hornby fa in modo che il suo protagonista si chieda:“…Cosa è venuta prima, la musica o la sofferenza? Ascoltavo la musica perché soffrivo o soffrivo perché ascoltavo la musica? Sono tutti quei dischi che ci fanno diventare malinconici? …”. Venti anni dopo non so se abbiamo una risposta, ma comunque, dai, i vostri cinque dischi preferiti quali sono?

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