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Al passo con le Mitford, ‘Figlie e ribelli’

Che si tratti della "Summer Mega Read" dell'anno o di un classico in divenire, il memoir di Jessica Mitford, una di sei sorelle nobili dalle mirabolanti avventure, riesce sia a intrattenere che a parlare delle ansie del presente
Mitford Outrageous

Foto: X

Nelle ultime settimane il mondo online è raccolto in una missione collettiva, che non è salvare il mondo, bensì trovare il miglior libro per l’estate 2025. Oltre alle freschissime nuove uscite, si parla tanto delle letture estive come di una buona occasione per la riscoperta di romanzi considerati classici e delle cosiddette Summer Mega Reads.

Che cosa sono? Libri da 300 pagine in su, magari anche un po’ datati, che nel quotidiano non abbiamo il tempo – o l’energia – di affrontare. Ma con la mente impostata sulla modalità vacanza, sì. Persino la redazione del New Yorker ha stilato una lista di questo genere di romanzi “peso massimo” da infilare con nonchalance nella borsa da spiaggia e in cui tuffare il naso tra un bagno e l’altro. Ognuno sceglie le sue battaglie e la nostra è intervenire in questo dibattito per scongiurare la FOMO e consigliare un libro che si candida a essere perfetto sia come Summer Mega Read che come nuovo classico della letteratura: Figlie e ribelli di Jessica Mitford.

Giornalista, attivista, scrittrice, Jessica Mitford (1917 – 1996) è un personaggio quasi sconosciuto in Italia, ma decisamente noto negli Stati Uniti e in Inghilterra. Tanto che a giugno la tv inglese ha dedicato una nuova serie, Outrageous, alla vita delle sei (sei!) sorelle Mitford. Per la verità c’è stato anche un fratello, Tom, per un totale di sette figli.

Figlie e ribelli è il memoir di Jessica, sesta dei sette figli di Lord e Lady Redesdale, David Freeman-Mitford (detto Farve) e Sydney Bowles (chiamata Muv), influenti nobili inglesi che crescono la loro prole tra il conservatorismo della regione di campagna dei Cotswolds e Londra. Il racconto comincia proprio dall’infanzia di Jessica e presto si familiarizza con quelle che saranno le discussissime sorelle Mitford, presenti spesso sui giornali dell’epoca, nel bene e nel male. Per esempio, della famiglia Mitford si parla grazie ai romanzi di successo della figlia maggiore, Nancy; ma anche per il matrimonio di Diana, prima con Bryan Guinness (sì, quella Guinness) poi con Sir Oswald Mosley, leader dei fascisti britannici prima della Seconda Guerra Mondiale; e poi per la collaborazione di Unity con Hitler e della sua devozione alla causa nazista, tanto da tentare il suicidio quando Gran Bretagna e Germania entrarono in guerra; oppure, del matrimonio di Deborah con il duca del Devonshire.

E Jessica – chiamata Decca da chi la conosceva bene – per cosa è balzata agli onori delle cronache? Be’, ad appena 19 anni, insieme al cugino di secondo grado Esmond Romilly, nipote di Churchill, scappa dall’Inghilterra per unirsi al Fronte di Liberazione contro Franco nella Guerra Civile Spagnola. Non a caso, la sua famiglia la chiamava “la pecora rossa”. Le idee progressiste di Decca, che si scontrano spesso con la sua discendenza nobiliare, sono la forza che la porterà avanti nella vita e nelle pagine del memoir.

Figlie e ribelli racconta l’infanzia di Jessica e delle sue sorelle e arriva fino agli anni Quaranta, quando Decca ed Esmond, che nel frattempo si sposano e diventano genitori, si trasferiscono insieme in America, dove lei rimarrà per tutta la vita. Il memoir si chiude con un evento particolarmente doloroso nella vita di Jessica Mitford a cui lei non fa direttamente riferimento nel libro, ma di cui si legge nelle prime pagine della Prefazione, per cui non farò un grosso spoiler se riporto le parole con cui l’autrice lo descrive: «Guardai l’auto svoltare l’angolo, con la vaga sensazione che un pezzo della mia vita fosse definitivamente finito, concluso e ormai dietro le spalle».

Si tratta della perdita del marito Esmond Romilly, che si arruola nella Royal Canadian Air Force per combattere il nazismo e muore in battaglia nel novembre 1941. Figlie e ribelli, che si chiude a un passo dal raccontare questo immenso dolore, è una lunga lettera d’amore di Jessica alla se stessa ragazza, che guarda il mondo con occhi ingenui, che si trova alle prese con il primo amore e il primo goffo contatto con la politica, la guerra, la vita fuori dalla sua gabbia dorata. È dunque anche, almeno nella mia mente, una scusa per ripercorrere l’amore e l’avventura vissute con quello che – forse sì, forse no – sarebbe rimasto il compagno della sua vita.

Ma non pensate che si stia parlando di un libro triste. Anzi. Mitford è capace di venare di ironia, pungente e schietta, ogni pagina. A partire da quando racconta i mille modi che lei e le sorelle più piccole, Unity e Deborah, si inventavano per sopravvivere alla noia della campagna inglese, elaborando lingue immaginarie, riempendo di dispetti le sorelle maggiori e le educatrici, facendosi beffe della madre e del padre. Jessica riesce a far ridere persino quando racconta del suo rudimentale e infantile appassionarsi al comunismo, semplicemente perché rappresenta tutto l’opposto del mondo in cui è cresciuta, mentre la sorella Unity vede nel fascismo una nuova fede. Le due bambine decidono quindi di dividere a metà il salotto, addobbandone una parte con svastiche e manifesti di propaganda nazista, e l’altra con falci, martelli e foto di Lenin. Le due inscenano battaglie e cantano inni delle rispettive fazioni una contro l’altra.

In Figlie e ribelli i rapporti famigliari non sono né semplici, né drammatizzati: sono raccontati nella loro complessità. C’è un giudizio personale, quello di Jessica, c’è la necessità di un distacco, ma non c’è mai una vera frattura. Nonostante la lontananza, prima ideologica e poi fisica, Decca continua a percepire il legame con la propria famiglia, a volte come casa e a volte come zavorra. «I miei rapporti con loro si erano molto deteriorati, non li vedevo quasi mai, eppure c’erano – e in sottofondo avvertivo il costante disagio della guerra imminente in cui io e Boud ci saremmo trovate su due fronti diversi», scrive Jessica Mitford a proposito del periodo in cui, tornati dalla Spagna, lei ed Esmond si trasferiscono in un quartiere popolare dell’East London.

Uno dei punti di forza di Figlie e ribelli è che, nonostante l’autrice l’abbia scritto quando ormai era una donna adulta, riesce a recuperare lo sguardo da bambina, adolescente e giovane donna, mostrando senza pudore i propri limiti e portando chi legge a sorriderne insieme a lei. L’approccio suo e di Esmond alla politica e ai problemi del mondo è genuino, passionale e idealista, eppure fortemente condizionato dall’appartenenza nobile di lei e dall’infanzia benestante di lui, che dona alle loro azioni la goffaggine intrinseca del non aver mai dovuto occuparsi di nulla di pratico fino ai vent’anni.

Così durante la fuga verso la Spagna Jessica tenta malamente di ricreare l’unico piatto che ha visto cucinare dai domestici, Esmond compra una costosissima macchina fotografica per poi non capire mai come utilizzarla. Per la verità, Jessica racconta come Esmond non riuscisse nemmeno a comprendere il meccanismo di apertura e chiusura delle porte. Eppure lo descrive come scaltro e acculturato, abilissimo nel trovare storie e contatti, animato da un sincero desiderio di antifascismo. Quando farà carriera come giornalista in America, Jessica Mitford diventerà una delle più note autrici investigative e scriverà un libro celebre, The American Way of Death (1963), in cui denuncia l’avidità e il consumismo dell’industria funebre americana. Non è scontato, quindi, che abbia accettato di mettersi così a nudo in Figlie e ribelli.

Contrariamente a quanto ci si può aspettare leggendo le memorie di una vita così piena, il punto forte, qui, è l’immedesimazione. Chi non si è mai trovato in situazioni di conflitto con le sorelle. Chi non ha mai sentito un disagio viscerale nelle idee politiche della propria famiglia. Chi non ha pensato almeno una volta di scappare da tutto e, proprio come Decca, creare un Fondo per La Fuga. E poi c’è l’amore, narrato con un accoramento più politico che romantico, quell’infatuazione per Esmond che nasce fin da prima di conoscerlo, semplicemente leggendo i suoi scritti o le sue imprese sui giornali.

C’è poi un ulteriore fattore di immedesimazione, vagamente più cupo degli altri. I primi 24 anni di Jessica Mitford sono immersi nel clima sinistro di un conflitto mondiale che si allunga come un’ombra sull’Europa. In modo spaventosamente attuale, Figlie e ribelli riflette le ansie e le paure di una generazione a cui è chiesto di diventare adulta mentre tutt’attorno il mondo è un focolaio di conflitti. Scrive Jessica Mitford nel 1938, quando Hitler dichiara di voler invadere la Cecoslovacchia: «La gente si stava facendo i fatti suoi come al solito, e nell’aria non si percepiva alcuna traccia del disastro lontano solo poche centinaia di chilometri».

Quando il governo inglese di Chamberlain accetta le condizioni della Germania, Mitford annota: «Esmond rifletteva in quel momento la disperazione di una generazione che aveva perso il controllo del proprio destino», e ancora, «molti avevano sposato l’arrendevolezza». Tra luci e ombre, Figlie e ribelli è un ritratto generazionale, che vi farà sentire più vicine che mai a questa ragazza di quasi 100 anni fa.

A questo punto mi sembra doveroso aggiungere una sorta di scena post titoli di coda, perché se deciderete di portarla con voi davanti alle onde del mare, per capire a pieno il suo racconto è importante scoprire chi è diventata nel momento in cui le pagine di Figlie e ribelli si chiudono. Nel 1944 ottenne la cittadinanza statunitense e cominciò a scrivere negli anni Cinquanta. Nel frattempo, nel 1943, Jessica si risposa con Robert Treuhaft, avvocato del lavoro e dei diritti civili. È anche grazie a lui se si appassiona al giornalismo investigativo e scrive opere come The American Way of Death. Nel frattempo, Jessica Mitford entra a far parte del Partito Comunista americano (per poi dimettersi nel 1958), lavora come segretaria esecutiva del Civil Rights Congress e insegna sociologia alla San Jose State University. Decca rimarrà in contatto con tutte le sorelle, fatta eccezione per Diana, fino alla sua morte. Se fossero vissute solo qualche decennio più tardi, chissà che non ci saremmo trovati davanti a una versione politicizzata di Keeping Up With the Kardashians.

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