Lì dove nascono le Leica | Rolling Stone Italia
paura e delirio a wetzlar

Lì dove nascono le Leica

Due fotografi, il centenario della macchina fotografica per eccellenza, Pretzel on the road, storie leggendarie. Un reportage, con gli occhi di chi scatta

Leica
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Avete presente Legoland? Ne esiste una della fotografia. È un paesino dell’Assia in Germania, si chiama Wetzlar. Tutto il mondo dell’ottica è qui, perché il fiume Lahn garantiva una sabbia speciale e fine con cui si produceva il vetro. Wetzlar è la Mecca della fotografia.

Qui sorge il villaggio di Leica o Leitz Park, edifici di cemento e vetro che sembrano un obbiettivo fotografico si stagliano su questo parco giochi per amanti della fotografia. Museo, archivio, un acquario dove i dipendenti, come dei moderni Umpa Lumpa, costruiscono le macchine migliori al mondo.

Ma torniamo un attimo indietro.

Atterro a Milano, torno dal Tibet. Il tempo di fare un modesto cambio vestiti e mi citofona il buon Davide De Martis, forse uno dei più esperti fotografi di automotive al mondo. Basta che qualcosa abbia le ruote e lui riesce a renderlo epico.

Lo zio, che chiameremo il @Defuntis, mi recupera a bordo di una supercar, una Lamborghini Revuelto color Oro Alba Shiny… Sì, ammetto che il colore l’ho scelto io, gentile concessione della casa madre.

Siamo invitati a questo mega evento, i cento anni di Leica. Per chi non conoscesse, Leica è l’azienda che ha inventato le macchine fotografiche, 35 millimetri, il formato che tutti noi abbiamo tanto amato e che tuttora usiamo. Quella del rullino, per intenderci.

È la storia: in passato tutte le pellicole venivano usate per il cinema in verticale. Ecco, quel genio di Oskar Barnack (ingegnere e inventore che sviluppò quella conosciuta come Ur-Leica, primo prototipo di 35mm) ha preso la pellicola e l’ha girata in orizzontale. Inventando la macchina fotografica come tutti oggi la conosciamo.

La ricorrenza è fissata alla “mothership” in Germania, essendo Leica un brand internazionale. Tre giorni di eventi, serate, gala, concerti, mostre. E meraviglia.

Per l’occasione io e il Defuntis non potevamo che con sobrietà presentarci con una Lamborghini Revuelto che cambia colore con la luce. Visto che dalla luce tutto inizia.

Il viaggio è spedito, tra tappe all’Autogrill (ed equivalenti) mangiate di Bratwurst e Pretzel, e trangugiate di imbevibili caffè giungiamo finalmente sull’Autobahn tedesca.
E qui abbassiamo la playlist trash metal-rap e osanniamo il rombo del motore che sembra una sinfonia pentecostale.

Arriviamo alla cattedrale di Wetzlar, dove è previsto un concerto di musica classica. Siamo vestiti eleganti, anche se la mia camicia grida arroganza.

Ovviamente il Defuntis vuole parcheggiare nel posto custodito, ma non ci penso nemmeno, fischiamo al valletto e con scioltezza parcheggiamo all’entrata.

La cattedrale è spettacolare. La madrina dell’evento Karin Rehn-Kaufmann (Art Director & Chief Representative di Leica Galleries International) sta facendo un bellissimo discorso di benvenuto. Ci sono 4.000 persone, hanno tutte una Leica al collo. Come diceva il buon Hunter S. Thompson: «Almeno abbiamo visto l’inizio».

Scattiamo a raffica ma ho già bisogno di nicotina, vado fuori e mi ferma Andrea Michelangelo Pacella, Vice President Global Marketing and Communication di Leica, per noi “il boss”. Mi bracca: «Hey Jason, this is the Lambo guy, also the war photographer who was saved by a Leica». Davanti a me c’è Jason Momoa, mi guarda e mugugna: «So, you are the legend».

Per me questo viaggio poteva già chiudersi qui. Ma siamo professionisti. E curiosi.

Il concerto finisce e un mega catering si apre alle spalle della chiesa. Fotografi e gente da ogni angolo del mondo, Cina, Stati Uniti, Australia, Venezuela.

Tutti con macchine incredibili al collo, si fotografano a vicenda. Il tramonto e le star della fotografia.

Ritrovo il Defuntis, ci tengo a precisare che è molto pignolo. Come Giovanni del famoso trio comico.

Facciamo PR, parliamo, ridiamo, foto a destra e a manca. Non importa se ti conosci o no, la fotografia ha questo potere, mette in contatto le persone, anche le più diverse. Si fa tardi. Ma c’è un afterparty, ci fiondiamo al café chiamato Oskars, come l’inventore. E non è un caso.

Facciamo tardissimo. Il pignolo per fortuna non beve, deve guidare.

Il secondo giorno invochiamo il santo Oki. La giornata inizia bene. È il giorno del grande evento, il red carpet, il film per i cento anni di Leica. Il regista è Reiner Holzemer, rinomato autore di documentari di fotografia. Mentre ci parlo scopro che ha girato Magnum Photos: The Changing of a Myth, documentario sulla prestigiosa Magnum che ritraeva anche il mio maestro Alex Majoli e una delle mie leggende assolute nel reportage, Luc Delahaye.

Chiedo a Reiner se è agitato, e come è nata l’idea del film. «Era il momento giusto per farlo, io e Matthias Harsch (il CEO di Leica, ndr) siamo amici dall’asilo, avevo questa idea di raccontare i fotografi del nostro tempo legandolo al centenario, e lui mi ha subito seguito dicendo che aveva la stessa idea. Raccontare la visione dei fotografi è sempre interessante. E poi hanno l’archivio, e la fotografia rende tutto più autentico».

Nel film ci sono tutti i big player: Joel Meyerowitz, Steve McCurry, Ralph Gibson, Sebastião Salgado (RIP), JR, Greg Williams. Presenza italiana: Luca Locatelli e Gabriele Micalizzi.

Faccio il vago ma un’ansia mi pervade, la sera c’è la première e ci sono anche io nel film. Siamo gente che di solito sta dietro alla camera, non davanti. Il mondo di oggi ci spinge a una costante ansia di mostrarci ma noi raccontiamo le storie degli altri, “non siamo noi la notizia”.

La mattina prosegue tra mille eventi e open bar. Un violento acquazzone si abbatte sulla piazza, i tavoli volano via trascinati dal vento e gli ombrelloni ci regalano qualche momento di azione pura, tutti a fare click-click verso i camerieri che inseguono le panche trascinate dal vento.

Il pignolo mi obbliga a seguire con rigidità il palinsesto e tra una birra e un gelato incontro Maurizio Beucci, Responsabile Global di Leica Akademie:

G: Maurizio, ma perché nel 2025 con lo spettro dell’Intelligenza Artificiale alle porte tutta questa gente ha una macchina in mano?
M: Perché le persone hanno bisogno di esprimersi e la fotografia è la forma di espressione più semplice che esista.

G: Sì, Leica è talebana in questo, produce ancora macchine analogiche o addirittura digitali senza schermo, ma perché piace così tanto?
M: Be’, perché io e te possiamo arrivare dall’altra parte del mondo, avere culture diverse, non parlare la stessa lingua, ma con questa macchina al collo ci basta uno sguardo per entrare in sintonia. Avere un’attitudine e una macchina al collo ti costringe a pensare, è un oggetto bello che merita contemplazione sul come usarlo.

G: Sicuramente ha uno storico importante, pensa solo ai reporter, ha fatto svoltare tutti, una macchina tascabile semplice che funziona sempre!
M: Be’, tu lo sai bene.

Sì, vero, nel 2019 sono stato ferito in Siria mentre documentavo l’ultima battaglia della coalizione curdo-siriana contro l’Isis. I jihadisti hanno cercato di farmi fuori tirandomi un RPG che mi è esploso a un metro e mezzo. Ha ucciso purtroppo il soldato di fianco a me e io sono stato investito dalle schegge. La mia Leica mi ha protetto gli occhi, salvandomi la vita e la vista. Una storia da film, infatti.

I Lambo guy arrivano all’evento tutti precisi, anche se lo smoking è stretto facciamo la nostra porchissima figura. Il pignolo Defuntis mi costringe al parcheggio a pagamento, guastandomi l’uscita.

Sul red carpet ci sono tutti. Greg Williams è sicuramente quello più confident, ovviamente parla con una donna bellissima. Interviste, tutti in abito da sera, Champagne, ci sediamo nella sala.

Andreas Kaufmann, membro del Board di Leica, fa un bellissimo discorso su come effettivamente qui non stiamo festeggiando solo il passato, ma soprattutto il futuro della fotografia. Si spengono le luci e ci portano addirittura i pop corn.

Il film non lo possiamo spoilerare, infatti niente foto e video. Sicuramente vedere Salgado parlare per l’ultima volta emoziona tutti, e di conseguenza l’applauso è lungo. Usciamo dalla sala, afterparty e qui non ci teniamo. Foto, balli e parecchi drink.

Giorno tre, oggi santo Brufen, e si ricomincia. Torniamo al Leitz Park dove si svolge l’asta, pezzi unici.

La sala è piena, gente al telefono e tutti con gli occhi puntati sul pezzo forte: la Leica confezionata da Oskar Barnack in persona. Il prezzo parte da mezzo milione, incominciano i rilanci. Si arriva presto a 1 milione. Poi 2, 3, 4, 5, 6… Si batte a 7,2 milioni di euro. Wow.

L’asta dura 5 ore, pignolo mi trascina alla mostra di Meyerowitz. Bellissima. Riusciamo a vedere la fabbrica dove Roland, capo responsabile prodotto, ci mostra tutti i segreti: dal vetro, alle macchine dummy fatte con le stampanti 3D, alle personificazioni eccellenti, diciamo che io e il Defuntis ci sentiamo come nella fabbrica di cioccolato.

Il pomeriggio scorre tranquillo e finalmente riesco a blindare Pacella, quello di Momoa aka Vice President aka Capo degli italiani goodfellas, ne faccio parte anche io.

Finalmente ci sediamo. Lui fuma un sigaro, io una sigaretta, dovete sapere che in Germania vendono i pacchetti da 54, metti che finiscono… Andrea lo conosco da anni, è lui che mi ha portato dentro il mondo Leica durante la trasmissione Master of Photography di Sky Arte dove lui era sponsor, e io ho vinto la prima edizione grazie alla benedizione di Oliviero Toscani.

Pacella è da sempre un appassionato di fotografia. Al ginnasio non andava bene in latino e i suoi lo hanno mandato dallo zio a fare ripetizioni d’estate, ma suo zio oltre al latino aveva la passione della fotografia e della camera oscura, ed è lì che nota che tutti i fotografi hanno Leica al collo. Si appassiona, lavora nel mondo del marketing, prova a fare il fotografo, ma continua con il suo lavoro e finalmente grazie a Renato Rappaini entra nel mondo Leica. La sua scalata è veloce, diventa Vice President. Parliamo di fotografia, di AI.

A: Sai Gabriele, quando uno ha la mia età ha la fortuna di vedere e capire che nella vita ci sono dei cicli, tutta questa isteria per l’Intelligenza Artificiale: mi sembra di vedere quando si è passati dall’analogico al digitale, o dal bianco e nero al colore, le persone hanno bisogno della fotografia. È un mezzo di espressione che scavalca la lingua e la cultura, le persone possono comunicare così senza doverla conoscere a fondo. Si dice: “More than a thousand words”.

In effetti ha ragione. Poi gli chiedo del sistema anti-contraffazione che Leica sta studiando, il Content Authenticity Initiative (CAI), che usa la crittografia per i metadati. La foto ha un file che non si può modificare come una matrice, che indica GPS e tutti i metadati, dall’ora al diaframma con cui è stata scattata.

Andrea tira in ballo i grandi falsi storici della fotografia: «Vedi, la fotografia si usava per la propaganda e già al tempo della pellicola la contraffazione imperava». Come la bandiera di Joe Rosenthal o quella di Evgenij Chaldej nella Berlino espugnata.

Quindi tutto cambia ma le cose rimangono sempre le stesse. L’Intelligenza Artificiale a mio avviso legittimerà sempre di più la fotografia come arte pura. Come proprio la fotografia ha fatto per la pittura o la scultura, diffondendole.

Ma se è di storie di musica che vogliamo parlare, allora possiamo saltare direttamente alla serata del giorno dopo, una delle più epiche della mia vita, ma lascio la parola al Defuntis.

Vi preparo la scena. Siamo sempre nell’iconico bar Oskars. Nei soliti due tavoli, gli irriducibili. Ma questa volta con noi ci sono alcuni dei grandi fotografi protagonisti del documentario assieme a Gabri. Sono sparsi in due tavoli. Tra loro anche Jason Momoa, e il nostro caro amico Andrea Pacella di Leica.

Ma non solo. Ci sono alcuni tra gli YouTuber più famosi del settore, come ad esempio Chris Niccolls di PetaPixel, e altri amici di Leica USA.

Qui non sono solo chiacchiere. Qui i discorsi sono profondi. Un aneddoto tira l’altro. Le domande che ci facciamo a vicenda sembrano uscite da un episodio di podcast, e nessuno ha voglia di tagliare corto. Tutti condividono e si raccontano, che siano esperienze di vita o tecniche fotografiche preferite.

Ma l’apice della serata lo raggiungiamo con il grande Mathieu Bitton.

Se dovessi descrivervi la carriera di Mathieu, non basterebbe questo articolo. Forse nemmeno un numero intero di Rolling Stone. È sì un fotografo, ma anche designer, art director, producer e art consultant, con all’attivo tre Grammy Awards.

Giusto per darvi qualche nome: Quincy Jones, Lenny Kravitz, Stevie Wonder, Bruce Springsteen, John Mayer, Wu-Tang Clan. E la lista continua.

Chi mi conosce sa quanto io sia un nerd musicale, e quanto la musica sia importante per me. Quindi secondo voi, cosa può essere successo dall’una alle quattro del mattino?

Ve lo spiego così: io sembravo un nipotino di cinque anni che ha bevuto troppa Coca-Cola e non riesce a dormire, e chiede al nonno per favore di raccontargli un’altra storia. Vi giuro che è andata davvero così. Peccato che al posto del soft drink, per me, ci fosse un whisky sour (Mathieu è astemio).

Io conosco bene il suo lavoro e la mia curiosità non ha limiti. Quindi andavo diretto: «Mi racconti la prima volta che hai conosciuto Stevie Wonder?».

Dopo un racconto incredibile che ci lascia tutti a bocca aperta, dice: «Ok guys, I have to go back, I have an early flight to catch».

Ma era più forte di me: «Nooo, wait, please, one more story!»

So che lui è un enorme fan e collezionista di Prince, quindi gli racconto la mia esperienza da fan e di come abbia cambiato la mia percezione, sia musicale che visiva. Gli dico che ascolto almeno una volta al mese il suo famoso assolo di chitarra in While My Guitar Gently Weeps, durante il tributo a George Harrison alla Rock and Roll Hall of Fame.

Lui mi guarda e mi dice: «I was there».
Io: «Scusa, come?»

«Lo sai perché fece quell’assolo, o meglio perché durò così tanto? Te lo spiego. L’anno prima, Rolling Stone pubblicò una classifica dei 100 migliori chitarristi al mondo. Prince non fu incluso. Quella serata fu organizzata dal direttore di Rolling Stone, e Prince sapeva che lui sarebbe stato lì. Quell’incredibile assolo fu il suo atto di vendetta. Carico di rancore e determinazione. Prince, da genio totale quale era, ci ha graziati quella sera, ricordandoci chi era».

Molte delle altre storie condivise al tavolo sono state raccontate con la premessa di non essere divulgate. Ma posso assicurarvi che sono ancora eccitato, ed è passata una settimana.

Sipario. La mattina abbiano finito gli antidolorifici e quindi partiamo con una ascia in testa e poche ore di sonno. Ma passiamo il ritorno ripercorrendo ogni istante di questa esperienza incredibile con il Gotha della fotografia mondiale.

E se oggi la fotografia vive nel perpetuo dubbio di sopravvivere nel prossimo futuro. Noi possiamo solo rassicurarvi che resteremo qui, ultimi Samurai con una Leica al collo.

Il viaggio è stato reso possibile grazie al supporto di Automobili Lamborghini S.p.A. Il racconto nasce da un’idea indipendente di Davide de Martis e Gabriele Micalizzi in occasione dei 100 anni di Leica Camera.

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