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Le donne che diventano suprematiste bianche

I movimenti di estrema destra sembrano cose da uomini, ma è davvero così? Un'intervista con Seyward Darby, autrice di 'Sisters in Hate', un nuovo libro che racconta le storie delle donne estremiste

Le donne che diventano suprematiste bianche

Chet Strange/Getty Images

Negli anni dopo l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, la grande manifestazione dell’estrema destra americana a Charlottesville e una serie di stragi da parte di terroristi di destra a Christchurch in Nuova Zelanda, El Paso in Texas e Poway in California, molte persone hanno cercato di rispondere a una domanda forse senza risposta: come funziona il processo che porta un giovane maschio bianco tranquillo e educato a diventare un violento suprematista bianco?

Sono stati identificati diversi fattori – il patriarcato, il razzismo sistemico, la mascolinità tossica e piattaforme in grado di radicalizzare come 4chan. Certamente tutti questi fattori giocano un ruolo, ma il discorso diventa ancora più complicato se invece che ai maschi si guarda alle donne bianche (più della metà delle quali, negli Stati Uniti, ha votato per Trump nel 2016). Dopotutto, una delle fondamenta del suprematismo bianco è anche la credenza nell’inferiorità biologica delle donne. Perché mai una donna dovrebbe abbracciare questa visione del mondo, quindi, che guarda con nostalgia a quando le donne erano considerate buone solo per cucinare e sfornare figli?

La scrittrice Seyward Darby non ha una risposta a questa domanda. Ma come fa ben notare, le donne bianche hanno una lunga storia all’interno dei movimenti di estrema destra. “Se la vedi come un tentativo delle donne di negoziare per avere maggiore considerazione e potere, l’anti-femminismo offre effettivamente qualcosa ad alcune donne”, dice Darby. “Che si parli di essere alla testa di un movimento o semplicemente di avere una voce e di essere parte di una conversazione, penso che per alcune donne l’anti-femminismo possa essere addirittura fonte di realizzazione personale e di potere”.

Darby è l’autrice di Sisters in Hate, un libro affascinante quanto disturbante sul mondo tossico delle suprematiste bianche. Basato su un suo pezzo sullo stesso tema uscito nel 2017 su Harper’s, il libro non fa solo la storia della partecipazione delle donne ai movimenti di estrema destra, ma segue anche le traiettorie di tre donne che sono attualmente figure importanti del suprematismo bianco: Corinna Olsen, una bodybuilder e ex pornostar amatoriale che è diventata una skinhead e, più tardi, ha lasciato il movimento per convertirsi all’islam; Ayla Stewart, una ex femminista vegana diventata famosa per aver lanciato la “White baby challenge” in cui sfidava le donne ad avere più figli bianchi possibile; e Lana Lokteff, un negazionista dell’Olocausto che gestisce il canale alt-right Red Ice e che è stata bannata da YouTube nel 2019.

In questo particolare momento storico in cui si cerca di amplificare le voci marginalizzate e distruggere i valori patriarcali, l’idea di un libro che parli di tre neonaziste sembra qualcosa di strano. Ma Sisters in Hate non cerca di umanizzare queste donne, non perdona loro niente; è un ritratto a volte doloroso della loro radicalizzazione e del graduale processo tramite cui le loro voci e le loro opinioni orribili sono entrate nel mainstream.

“Anche se non ho mai sentito fosse importante umanizzare queste persone”, racconta Darby a Rolling Stone, “Volevo vederle comunque in modo multidimensionale, per capire come sono diventate quello che sono e quali forze le hanno spinte in quella direzione”.

Rolling Stone: Da dove viene il tuo interesse per le storie delle suprematiste bianche?
Seyward Darby: All’origine c’è stata l’elezione di Trump e le sue conseguenze immediate, ma anche prima in un certo senso la cosiddetta alt-right, nuovo nome del suprematismo bianco, faceva notizia. La gente ne parlava e la guardava con inquietudine. Io sono rimasta colpita da come, ogni volta che se ne parlava, se ne parlasse sempre in termini di uomini bianchi arrabbiati. Ed era vero. L’alt-right è un bastone di mascolinità tossica e il suprematismo bianco è sempre stato così. Ma il fatto che non si considerasse nemmeno il ruolo delle donne mi è apparso come un errore. La mia era una domanda semplice: dove sono le donne? In più, gli exit poll delle elezioni del 2016 hanno mostrato che un sacco di donne bianche hanno votato per Trump e la gente ne è rimasta molto sorpresa. Ovviamente non pensavo che ogni donna che aveva votato per Trump fosse una suprematista bianca, ma mi sembrava che ci fosse qualcosa sotto, un legame tra le donne e il suprematismo che andasse indagato.

Come hai convinto le protagoniste del tuo libro a parlare con te? Capisco che una come Corinna probabilmente parla volentieri, perché è uscita dal tempo dal movimento, ma come ha convinto Lana e Ayla?
Ho deciso di approcciarle in modo molto diretto. Sono stata molto sincera con loro già dalle mie prime email su chi fossi e in cosa credessi – ad esempio, ho detto loro che non mi avrebbero mai convinta del loro punto di vista. Ma ho anche cercato di essere franca sul fatto che volevo davvero capirle, ed è stato così che le ho convinte. Anche il fatto di aver cominciato a fare ricerca un mese dopo le elezioni mi ha aiutata, perché in quel momento un sacco di suprematisti bianchi erano eccitati per l’entrata in carica di Trump. Lana, per esempio, mi ha detto che era convinta che l’alt-right sarebbe diventata un partito politico. Insomma era un momento di festa per loro. Questo clima probabilmente ha aiutato in una certa misura, perché sentivano di avere qualcosa di cui essere fiere. Dopo che è uscito il mio articolo su Harper’s nel 2017, poco prima di Charlottesville, Lana ha continuato a rispondere a tutte le domande che le mandavo via email, a volte in modo criptico, ma non ha più voluto parlarmi. E ha criticato il mio pezzo in alcuni video su YouTube, mentre Ayla l’ha criticato sul suo sito. Penso che per qualche motivo pensassero che il mio articolo sarebbe stato positivo nei loro confronti, e appena hanno realizzato che non lo era se la sono presa.

Il fatto che due su tre delle tue protagoniste si siano ritirate ha influenzato la stesura del libro?
Non direi che si sono ritirate. Hanno partecipato al pezzo per Harper’s e quando poi ho proposto il libro sono stata molto chiara sul fatto che non ero sicura che alcune di loro avrebbero voluto parlare di nuovo con me. In un certo senso, come giornalista, sento di non aver ottenuto tutto quello che potevo da questa storia, ed è demoralizzante sentirti dire “No, non voglio parlare con te”. Ma allo stesso tempo, per quanto mi riguarda, fa parte della storia che volevo raccontare, perché i suprematisti bianchi sono sempre stati molto attenti sul tema del controllare la loro immagine. Questo era un esempio perfetto di quella tendenza, il non essere interessati a una narrativa che non possono controllare.

In più, sui media c’è stato un certo dibattito sul modo migliore di coprire questo tema. Molte persone pensano che sia meglio non scriverne, non dare loro ossigeno e non dare loro una piattaforma. Io penso che questo atteggiamento sia un’errore, dato dal fatto che chi lo sposa non capisce che cosa l’estrema destra considera una piattaforma. Loro hanno già le loro piattaforme, hanno già mille modi di raggiungere il loro pubblico grazie a internet e ai social. Non accorgersi di questo e non accorgersi dei mille modi in cui fanno propaganda vuol dire davvero non capire come funziona il movimento. Un’altra questione è che facendo ricerca per questo libro sono diventata davvero brava a scavare negli archivi digitali. Ayla ha avuto molti blog, Lana ha avuto diversi siti: ho speso un sacco di tempo scandagliando internet in cerca di pezzi delle loro vite precedenti, e sono stata in grado di parlare con persone che le conoscevano prima che si radicalizzassero. Mi sono sentita come se stessi facendo la storica, raccogliendo informazioni su persone che non ci sono più. Ho avuto gli stessi problemi degli storici: come riempio gli spazi vuoti?

Tu sei una donna bianca che è cresciuta nel Sud. Questa cosa ha influenzato il tuo approccio all’argomento?
L’ho scritto nella mia prima email a molte delle donne che ho contattato, spiegando che mi considero liberal e femminista ma dicendo anche che volevo capire il loro punto di vista e che avevo una connessione personale con tale visione del mondo per il posto da dove venivo. La mia famiglia vive nel Sud da un sacco di tempo, ho antenati che hanno combattuto per i confederati e che possedevano schiavi. Volevo capire il presente nel contesto del passato e viceversa. Ricordo che Lana mi ha detto qualcosa tipo, “mi hai approcciato in un modo diverso rispetto a quello che usa la maggior parte della gente, e in più sei del Sud”. E poi ha aggiunto subito, “non è perché sei donna”.

Buona parte del tuo libro si concentra sulla misoginia del movimento e sul perché una donna dovrebbe unirvisi e lottare contro i propri interessi. Qual è la risposta che ti dai?
È un tema complicato. Sto ancora cercando di capire perché una donna dovrebbe diventare anti-femminista, che è una della basi del suprematismo bianco. Detto questo, nel corso della storia l’anti-femminismo ha spesso avuto delle donne come portavoce. Phyllis Schlafly è la più famosa, ma ce ne sono state anche altre. Se la vedi come un tentativo delle donne di negoziare per avere maggiore considerazione e potere, l’anti-femminismo offre effettivamente qualcosa ad alcune donne. Che si parli di essere alla testa di un movimento o semplicemente di avere una voce e di essere parte di una conversazione, penso che per alcune donne l’anti-femminismo possa essere addirittura fonte di realizzazione personale e di potere, anche se sappiamo che in generale non fa bene alle donne.

L’altro spunto di riflessione riguarda i modi in cui l’anti-femminismo si è sempre legato alla questione razziale in questo Paese. Quando pensiamo al potere negli Stati Uniti non lo pensiamo in modo abbastanza internazionale, ma motore donne bianche si vedono come parte di una gerarchia in cui loro sono più vicine di tutti al maschio bianco che ne è al vertice. Quindi se pensi all’anti-femminismo inteso in senso di potere negoziale, di voler mantenere questo status, lo puoi vedere come un tentativo di dire agli uomini bianchi, “non stiamo cercando di sostituirci a voi, vogliano tenere i rapporti di genere come sono ora” in modo da permetter alle donne bianche di mantenere il posto che occupano nelle gerarchie di potere. Il suprematismo bianco, come movimento, è un tema molto ampio e la sua propaganda vede le donne come mogli e madri. Quindi per le donne in cerca di un senso, di uno scopo e di un livello di potere che non hanno, è un movimento che dice loro che hanno un valore a seconda del loro aspetto, di chi sono, di cosa fanno col loro corpo. È anche un movimento pro-natalista che incoraggia le donne ad avere più figli possibile, il che per alcune persone può essere attraente.

Qual è stata la cosa più sconvolgente che hai scoperto facendo ricerca?
Questa è una domanda difficile. Una cosa che continua a venire fuori, che mi hanno detto molti lettori, è il fatto che immediatamente dopo Charlottesville e dopo l’omicidio di Heather Heyer, l’estrema destra ha cominciato a partorire teorie del complotto sulla sua morte. Alcune sostenevano che il suo assassino fosse un nemico in incognito, ma le più orribili erano quelle che diffondevano l’idea che fosse morta in realtà perché era sovrappeso e aveva avuto un attacco di cuore. In qualche modo erano riusciti a mischiare l’attitudine ai complotti propria di questo movimento con l’anti-femminismo e il body sharing che lo definiscono. Erano passati da “l’autore di questa cosa non è uno di noi” a “è stata colpa sua, se fosse stata più sana non sarebbe morta”. L’ho trovato sconvolgente.

Sei stata in grado di umanizzare in qualche modo le tue protagoniste, viste le cose orribili in cui credono?
Uno degli scopi del progetto era proprio sfidare la concezione comune che abbiamo quando parliamo di movimento di estrema destra, che tende a farceli considerare subito come qualcosa “altro” su cui appiccicare l’etichetta dell’estremismo. Ma nel 2016 l’ideologia era così diffusa nella conversazione politica che è stata interessante cercare punti in comune, modi in cui le persone che fanno parte di un movimento come questo possono apparire non troppo diverse da chi non ne fa parte, in termini di quello in cui credono e quello che sono. Ci sono molti pregiudizi su chi fa parte di questi movimenti: che sono tutti ignoranti, che sono tutti del Sud, che sono tutti religiosi. Ci sono molti modi in cui cerchiamo di etichettarli e metterli da parte. Per cui se da una parte non ho mai sentito la necessità di umanizzare queste persone, dall’altra volevo vederle nella loro complessità e capire come sono diventate quello che sono, quali forze le hanno spinte in quella direzione.

La cosa per me più disturbante è il modo in cui descrivi la traiettoria di Ayla. Era una femminista vegana che è scivolata piano piano nel suprematismo bianco. Mi ha ricordato il fenomeno del “cult-hopping”, le persone che passano da una setta all’altra. Quanto è comunque questo percorso nel mondo del suprematismo bianco?
Chiunque si unisca a un movimento suprematista sta cercando qualcosa – potere, senso, soldi tramite il gestire una piattaforma e avere un pubblico – ed è proprio questo che fa sì che sia possibile reclutarli. Questo sembra essere un tema comune. Quello che cercano può essere molto diverso: Corinna cercava un senso di appartenenza a qualcosa, Ayla una fede. Ayla è passata attraverso diverso molte religioni e fedi politiche, si considerava una femminista ed era pro-immigrazione e contro la pena di morte. Lana cercava potere e influenza. Penso che sia una persona a cui piace essere al centro dell’attenzione. Quindi il cercare qualcosa è il tratto comune, e penso che sia importante cominciare a pensare come possiamo combattere questa cosa. Se cominci aa pensare come puoi perseguire penalmente qualcuno per crimini d’odio, come puoi togliergli la sua piattaforma, come puoi far uscire le persone dal movimento, stai pensando a una cura per il problema ma non stai affrontando l’aspetto della prevenzione. Se invece riconosci i motivi per cui le persone si avvicinano a questi movimenti puoi cominciare a guardare il tema da quel punto di vista.

A livello culturale viviamo in un momento storico in cui c’è un sacco di enfasi sull’amplificare voci non bianche. Come mai hai scelto di scrivere un libro che si concentra sulle storie di tre donne bianche che sono suprematiste bianche?
Questa è una critica comune che ho già ricevuto: “Perché stai scrivendo questo libro?” Penso che in questo Paese abbiamo molte difficoltà ad affrontare la storia del nostro razzismo e una parte di questo processo passa senza dubbio dall’amplificare le voci di cui è stato dimenticato, censurato o zittito nel corso del tempo. Ma penso che affrontare pienamente il razzismo voglia dire capire la dimensione che il razzismo ha avuto in questo paese, e le persone che hanno contribuito a dargliela. Se pensiamo al futuro partendo solo dal presente – tipo “da oggi dobbiamo fare meglio di così” – non stiamo affrontando il passato e il modo in cui il passato influenza il presente. Per quanto riguarda il suprematismo bianco, molte persone hanno un po’ di reticenza nell’affrontare il tema, nel pensarlo come una minaccia per la sicurezza nazionale, come qualcosa che dobbiamo davvero affrontare. In più, c’è il fatto che le donne sono state cancellate dalla storia del suprematismo bianco. Quando invece sono servite a portare quelle idee nel mainstream, proprio perché le vediamo come persone normali. Per me sta tutto nel modo in cui facciamo i conti con questo tema, e penso che siamo sbagliando se non diamo la giusta attenzione anche al lato brutto delle cose per cercare di capirle.

A breve ci saranno le elezioni. Hai qualche idea di come andranno, alla luce della tua ricerca?
Vorrei avere una sfera di cristallo, ma purtroppo non ce l’ho. Ma invece che guardare ai sondaggi o a chi voteranno le donne bianche questa volte, penso che non dovremmo sottovalutare i suprematisti bianchi, le voci nativiste e xenofobe che possono far cambiare le cose molto rapidamente. Siamo in un momento senza precedenti, con la pandemia e il modo terribile in cui sta venendo gestita. Vedremo cosa significherà questa cosa al momento delle elezioni, ma nel 2016 abbiamo visto che Clinton era in vantaggio finché non ha perso, quindi non dovremo dare per scontate che le forze di destra in questo Paese non saranno in grado di far sentire la loro voce.