“Il signore della danza”, “un maestro”, “un genio”, “un gentleman”, “un lord inglese”: addirittura! Così il nome di Mario Porcile aleggia tra le palme, l’acacia e la brezza di mare, ai Parchi di Nervi di Genova. Il Galà finale del Festival, andato in scena ieri sera, è dedicato a lui, pioniere degli imprenditori artistici italiani, un Djagilev nostrano, talent scout, direttore artistico e fondatore del Festival di Danza, nel 1954.
Nacque bene, Mario Porcile, in una famiglia borghese che sognava per lui, nella prima parte del Novecento, una carriera da avvocato, dirottata dal giovane Mario verso la lacerante passione per le arti, il teatro, la musica e la danza. Così si “uccideva il padre”, secondo gli psicanalisti del Novecento che ancora ci curano, e Mario Porcile lo fece con eleganza, caparbietà e successo, inaugurando il Festival nel dopoguerra e lasciandolo sbocciare per trent’anni, fino al 2004.
Qual era il suo segreto?, chiedo a Maina Gielgud, ex prima ballerina classica, folgorata sulla via di Béjart, già direttrice artistica worldwide e ancora attiva a implacabile, quando con dolcezza spiega a danzatrici in erba come incrociare le mani sul petto per esprimere i sentimenti che la danza racconta. «Il segreto, allora, la bacchetta magica di quel festival diciamo, era il cervello di Mario, e la sua perseveranza. Era in grado, con il suo atteggiamento low profile, e anche un certo profilo sotto la tesa del panama che sempre indossava, di prevenire i desideri dei ballerini, di assecondare con garbo i capricci delle étoiles, di risolvere problemi politici, e per politici intendo non solo quelli mainstream, anche questioni come: “Perché le rose per quella prima ballerina erano più belle delle mie?”». Ride Maina, alta come Balanchine la scelse, sottile come una danzatrice indiana, star della coreografia Bhakti infatti, che Maurice Béjart cucì sulla sua personalità.

Maina Gielgud. Foto press
Quei “problemi politici” affrontati da Porcile nel secolo scorso le sono più chiari adesso che è consulente artistica (artistic advisor) del direttore Jacopo Bellussi, nonché coach di quasi tutte le coreografie in scena nel Gala. «L’abbiamo trovata quella bacchetta magica, cosa credi?», aggiunge più sorridente e serena oggi, a fine festival, e pronta a chiudere in bellezza con la sequenza di star che animerà il gran finale di domenica 27 luglio. Il direttore Jacopo Bellussi, maglietta polo violetta che lo esclude dagli artisti scaramantici, commenta che è «il lavoro» la sua bacchetta magica. Non si veste in lino bianco, non indossa il panama, ma come Porcile c’è sempre, e crediamo che sia questo, in fondo, il segreto di ogni successo.
To be there, ripetono Maina e Jacopo, anche quando il palco è scivoloso, pur ammettendo che «non era un tema a quei tempi, ballavamo e basta, mettevamo Coca-Cola sulle punte», ricorda Maina. Esserci sempre, come faceva Porcile, anche quando un serpente sembrava bighellonare nei parchi, erano gli anni Settanta, minacciando di entrare in scena. «Porcile ebbe successo perché fece quello che nessuno aveva osato fare: accendere un riflettore sulla danza, invitare le migliori compagnie del mondo, rendere il balletto glamour. Il Festival di Nervi, per noi danzatori, era un imperativo: il posto dove bisognava essere, per anni», conclude Maina.
A minacciare la prima edizione del Festival firmato Belussi-Gielgud invece non è stato soltanto il, chiamiamolo, “cambiamento climatico”, o l’ansia di non riempire la platea, o la difficoltà di gestire due location: i Parchi all’aperto e il teatro Carlo Felice, rifugio all’umidità. La cosa più difficile, ricorda Bellussi, è restare se stessi. «Io mi sento sempre e solo Jacopo, una persona che ha avuto la fortuna di trovare nella danza la sua vocazione. Per me ogni volta è la prima e l’ultima, sarà banale, ma è così che mi sento».
Sarà il pubblico a decidere se il suo lavoro è magico, come promette, e a consacrarlo ancora una volta anche come danzatore, quando si esibirà domenica nel famoso Chant d’un compagnon errant (in coppia con Matthew Ball, principal dancer del Royal Ballet), creazione di Maurice Béjart, su musiche di Gustav Mahler, che debuttò nel 1971 con il duo Paolo Bortoluzzi, in rosso come il Destino, e Rudolf Nureyev, in bianco, come un romantico giovane, il nostro Jacopo, in cerca del suo maestro.
Con Maurice Béjart fu un colpo di fulmine? Lo chiedo a Maina, che risponde: «Sì!», prima che riesca a completare la domanda. «Io ero una ballerina classica, non avevo mai visto niente del genere! Prima di lui, non esisteva nulla come la sua danza contemporanea. Aveva una cultura immensa, da cui traeva spunti. Per me vederlo creare, partendo da una suggestione musicale, era qualcosa di inedito».
Formazione classica, cervello visionario, esterofilo, Maurice Béjart fu “scoperto” in Italia grazie a Balletti di Nervi, e all’intuito di Mario Porcile. L’omaggio al Maestro francese, che perfino la sottoscritta vide alla sbarra ai Parchi di Nervi, è soltanto una delle coreografie che animeranno l’ultima serata del Festival. Il sipario estivo si aprirà con il romantico Pas de quatre di Jules Perrot (1845), danzato da Ida Praetorius, Cassandra Trenary, Aliya Tanikpaeva e Jessica Xuan, quintessenza di virtuosismo classico, di ghirlande in capo e tutù vaporosi, seguito dagli omaggi a Béjart, dalla porta scricchiolante (Squeakydoor) di Forme et ligne, assolo di Ksenia Ovsyanick, prima ballerina dello Staatsballett di Berlino, al viandante romantico interpretato da Bellussi e Matthew Ball.

Mario Porcile e Alicia Alonso. Foto press
Il pubblico esperto ma anche quello sognatore sperano di emozionarsi e piangere, com’è successo pochi giorni fa con il Romeo e Giulietta della compagnia tedesca del Balletto di Stoccarda, rivivendo l’intramontabile scena del balcone e Romeo “avvolto nella notte” e poi ancora pas de deux con Giselle, Les trois Gnossiennes (su musica di Erik Satie) e lo strappacore passo a due della Dame aux camélias, con cui Bellussi/Armand chiuderà sul palco la prima edizione del suo Festival.
Un’edizione ricca di nomi, gambe infinite (non dimenticatevi di seguire l’eterna Lucia Lacarra, se la vedete in cartellone con lo spettacolo Lost Letters nelle vostre città), di giovani talentuosi del Bayerisches Junior Ballett di Monaco, e di incontri al Fuori Festival, scarpette firmate, allieve innamorate del principal dancer, madri in tiro per la serata a teatro, appassionati e nostalgici finalmente appagati da un programma “alla Porcile”.
Essere direttore artistico di questo Festival, pieno di mostri sacri che ti guardano e aspettative che ti pressano, è come “avere una lama nel petto” o come guardare “gli occhi azzurri della persona amata” (cit. Mahler)?, chiedo infine a Jacopo Belussi, guardandolo dritto nei suoi languidi occhi chiari: «Entrambi», risponde lui. «Così è l’amore, no?».








