Anche se non riconoscete il nome di Ed Gein, probabilmente conoscete alcuni aspetti della sua storia. I suoi crimini, infatti, hanno ispirato alcuni dei personaggi più famosi della storia del cinema horror, da Norman Bates di Psycho a Leatherface di Non aprite quella porta, fino a Buffalo Bill de Il silenzio degli innocenti. Ma i riflettori saranno puntati proprio sul cosiddetto “Macellaio folle” in Monster: The Ed Gein Story — la nuova stagione dell’antologia Monster di Ryan Murphy e Ian Brennan, in uscita oggi su Netflix.
Agghiaccianti persino secondo gli standard del true crime, i delitti di Gein — che includevano profanazione di tombe, omicidi e mutilazioni di cadaveri — sconvolsero la piccola comunità di Plainfield, Wisconsin, quando li confessò nel 1957. Ma fu solo nel 1989, cinque anni dopo la sua morte, che Gein raggiunse una fama nazionale, grazie alla pubblicazione di Deviant: The Shocking True Story of the Original “Psycho” di Harold Schechter — il libro di riferimento sulla sua vicenda. Da allora, Gein non ha mai smesso di abitare l’immaginario collettivo.
Parte del fascino duraturo esercitato da Gein nasce dalla curiosità di capire come un tranquillo e apparentemente innocuo contadino del Midwest potesse essere capace di atti tanto raccapriccianti, e perché li avesse commessi. «Nel mezzo di quest’America benevola dell’era Eisenhower, ormai romanticizzata e mitizzata, c’era quest’uomo in una fattoria inquietante che compiva rituali grotteschi», racconta Schechter a Rolling Stone US. «Qualcosa di quasi arcaico si è spezzato nella psiche di Gein, e lui è stato risucchiato in un mondo di sacrifici umani e di trofei ricavati da parti del corpo».
Al di là di questo, che la gente ne sia consapevole o meno, Gein ha avuto un impatto duraturo sulla cultura popolare, diventando la base per personaggi che hanno contribuito a un cambiamento nel genere horror nella seconda metà del XX secolo. Per chi non conosce la storia di Gein, ecco una breve introduzione alla sua vita, ai suoi crimini e alla sua influenza sulla cultura americana.
Quali crimini ha commesso Ed Gein?
Tra il 1947 e il 1952, Gein riesumò i corpi di nove donne. Confessò inoltre di aver ucciso due donne nel 1954 e nel 1957. Portava i corpi di tutte e undici le donne nella sua fattoria man mano che li otteneva, e ne mutilava i cadaveri, tagliandoli a pezzi e conservandoli in casa.
Parte della sua “collezione” era organizzata per parti del corpo: nove vulve in una scatola di scarpe, quattro nasi in un’altra; un contenitore di Quaker Oats pieno di resti. La polizia rinvenne anche ossa, seni, vagine, labbra e teste. Oltre ad aver scorticato i volti, gli scalpi e i capelli di nove delle donne per ricavarne delle maschere, realizzò anche una sorta di “abito femminile” indossabile, ricavato dalla pelle delle gambe e del busto di una donna. C’erano inoltre un cestino, un tamburo e i sedili di quattro sedie, tutti realizzati con pelle umana.
«Viveva in mezzo ai morti», dice Schechter. «Mangiava i suoi fagioli in scatola da ciotole che si era ricavato dai teschi. Aveva scuoiato i volti di alcune vittime e li aveva appesi nella sua camera da letto come decorazioni alle pareti».
In parte, Gein era stato ispirato dagli esperimenti umani dei nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Negli anni Cinquanta, mentre Gein commetteva i suoi crimini, stavano emergendo dettagli sugli orrori nazisti e sui campi di sterminio. «Gein era anche un lettore vorace di quelle riviste maschili economiche e sensazionalistiche che andavano di moda all’epoca, molte delle quali contenevano storie di donne naziste in pelle nera che torturavano prigionieri», spiega Schechter. «Ci sono prove che avesse letto storie su cannibali dei Mari del Sud che scuoiavano le loro vittime e usavano la pelle per fare pompon e oggetti simili. Quindi sembrava essere una combinazione di queste cose».
Data la natura dei suoi crimini, alcuni sospettavano che Gein praticasse anche il cannibalismo. Ma secondo Chloë Manon, co-proprietaria e curatrice del Graveface Museum — un museo di true crime e curiosità a Savannah, in Georgia, che ospita una mostra dedicata a Gein — non ci sono prove che abbia mai mangiato le sue vittime. Delle nove donne riesumate da Gein, la maggior parte era stata imbalsamata, sottolinea Manon, il che rende altamente improbabile che le abbia consumate. Ma restano comunque le due donne che uccise.
«L’unica persona che avrebbe potuto potenzialmente cannibalizzare in qualche modo sarebbe stata la sua prima vittima, Mary Hogan, perché la seconda vittima, Bernice Worden, fu ritrovata relativamente in fretta dopo la sua scomparsa e l’omicidio, e non c’era alcun segno di cannibalismo», spiega Manon.
Quante persone ha ucciso Ed Gein?
Sebbene Gein avesse confessato solo due omicidi — Mary Hogan l’8 dicembre 1954 e Bernice Worden il 16 novembre 1957 — si ritrovò presto sospettato in numerose altre indagini. Subito dopo il suo arresto, poliziotti di altre giurisdizioni si riversarono a Plainfield per interrogarlo riguardo al suo possibile coinvolgimento in almeno altri dieci casi di persone scomparse o sospetti omicidi. Ma i risultati del poligrafo indicarono che non era implicato. Schechter non crede che Gein fosse responsabile di queste altre sparizioni.
«Quando (la polizia, nda) trovò tutte quelle parti umane nella casa di Gein, pensò che fossero tutte vittime di omicidio, perché nessuno immaginava che fosse un profanatore di tombe», racconta. «In realtà, quando rivelò di essere un ladro di cadaveri, fu più difficile da credere che non l’idea che avesse ucciso tutte quelle persone».
Manon è d’accordo, sottolineando che non ci sono prove particolarmente convincenti che colleghino Gein a quei crimini, a parte il fatto che avvennero nello stesso periodo dei suoi due omicidi. «Non sembra proprio il suo modus operandi», afferma. «Mirava principalmente a donne un po’ più anziane e già decedute. In fondo, era più un necrofilo che un assassino. Era più interessato ad avere i resti che a trarre piacere dall’atto di uccidere o di perseguitare qualcuno».
Come fu catturato Ed Gein?
Intorno alle 17 del 16 novembre 1957, Frank Worden entrò nel negozio di ferramenta gestito dai suoi genitori e trovò la cassa — e sua madre — sparite, insieme a macchie di sangue sul pavimento. Controllando gli scontrini della giornata, notò che Gein era stato l’ultimo cliente. Worden avvisò subito la polizia, che perquisì immediatamente la fattoria di Gein.
Quella notte, la polizia di Plainfield trovò il corpo di Bernice Worden, 58 anni, insieme ai cadaveri mutilati di altre dieci donne, tra cui Hogan, che aveva 51 anni quando scomparve nel 1954.
Dopo l’arresto, Gein fu incriminato per omicidio di primo grado, ma si dichiarò non colpevole per infermità mentale. Fu giudicato incapace di affrontare il processo e trascorse gli 11 anni successivi in ospedali psichiatrici. Il processo si tenne nel 1968, quando un giudice stabilì prima che Gein fosse colpevole dell’omicidio di Worden, poi che non fosse colpevole per infermità mentale. «Nulla di altro finì a processo, né i furti di cadaveri né la profanazione dei corpi», spiega Manon. Gein fu quindi trasferito al Mendota Mental Health Institute di Madison, in Wisconsin, dove rimase fino alla sua morte, avvenuta nel 1984 all’età di 77 anni.
Ed Gein aveva un movente?
Si sa poco dell’infanzia di Gein — e quel poco proviene dai suoi racconti alla polizia e agli psichiatri dopo l’arresto, spiega Schechter. «L’aspetto principale della sua infanzia fu l’essere completamente soggiogato da sua madre, Augusta, una donna autoritaria e fanaticamente religiosa, che lo rimproverava costantemente sui mali del mondo moderno e lo teneva legato a sé in maniera soffocante, come stretto ai lacci del suo grembiule», racconta.
Dopo la morte del fratello Henry, nel 1944 a 43 anni, Gein rimase solo con la madre. «Non credo ci fosse nulla di simile a un incesto fisico, ma certamente esisteva un rapporto naturale tra loro in cui Gein, almeno consapevolmente, la venerava», aggiunge Schechter. «In tutte le sue dichiarazioni su di lei, la descrive come una santa, la migliore donna mai vissuta, la sua unica amica. Ma era evidente anche una forte ambivalenza nei suoi confronti, perché penso che le sue atrocità fossero motivate sia dal desiderio di riportarla nella sua vita, sia da un odio represso nei suoi confronti».
Molti, incluso Schechter, credono che il rapporto tormentato con la madre — morta nel 1945 — sia stato la forza trainante dietro i suoi crimini. «Voleva in sostanza resuscitare la madre, e a quanto pare tentò di dissotterrarne il corpo», spiega. Ma lei era sepolta in una tomba con recinzione di cemento, quindi non riuscì a raggiungere la bara. Fu allora che cominciò a cercare altre donne per sostituirla.
«I primi corpi che (Gein, nda) dissotterrò formavano un semicerchio attorno alla tomba di sua madre», afferma Schechter. «Leggeva i necrologi locali, e ogni volta che moriva una donna di mezza età o anziana, si recava al cimitero quella stessa notte, esumava il cadavere, lo portava alla sua fattoria e compiva su di esso atti orribili». Quando esaurì i corpi da riesumare nei cimiteri locali, uccise Worden e Hogan per rimpiazzare le sue “scorte”.
Gein era un serial killer?
Sebbene Gein venga spesso definito un serial killer, Schechter non concorda con questa etichetta.
Il termine “serial killer,” spiega, fu coniato in Germania negli anni Trenta, ma non entrò nel lessico americano fino agli anni Settanta e Ottanta. In quel periodo veniva usato per descrivere assassini sessuali psicopatici — o, come li definisce Schechter, «uomini che traggono il loro piacere perverso dal rapire, torturare e uccidere vittime, e che raggiungono l’apice dell’estasi sessuale infliggendo queste atrocità ai loro prigionieri».
Schechter sostiene che Gein non rientri in quel profilo psicologico, e sia piuttosto un necrofilo. «Non era come John Wayne Gacy, Jeffrey Dahmer, Ted Bundy o Edmund Kemper», dice. «Queste persone commettevano quello che all’epoca veniva definito “omicidio sessuale” od “omicidio di lussuria”, e non era quello il modus operandi di Gein». Invece di torturare le sue vittime mentre erano vive, le uccideva rapidamente per poter smembrare e dissezionare i loro corpi.
Di conseguenza, Gein è ciò che viene definito un “product killer” — qualcuno che uccide perché vuole avere un cadavere — al contrario di un “process killer”, più interessato ai vari passaggi di un omicidio che al corpo risultante.
Che impatto ebbe Gein sulla cultura popolare?
Nel 1957, quando la notizia dei crimini di Gein esplose, lo scrittore Robert Bloch viveva a meno di 30 miglia da Plainfield e fu ispirato a scrivere il romanzo più famoso della sua carriera: Psycho. «Per settimane e settimane, tutte le prime pagine dei giornali parlavano di questo caso e del complesso di Gein nei confronti della madre», spiega Schechter. «Ed è da lì che Bloch trasse tutta l’idea di Norman Bates — “la miglior amica di un ragazzo è sua madre”».
Inoltre, la collocazione geografica dei crimini di Gein influenzò l’ambientazione del libro. «Come lui stesso mi spiegò, la maggior parte dei killer con più vittime doveva spostarsi per trovarle», dice Schechter. «Ma lui sapeva che Gein non lasciava mai Plainfield, quindi doveva trovare un modo per portare le vittime da lui. Ed è così che nacque il Bates Motel».
Il libro, pubblicato nel 1959, contiene anche un riferimento diretto a Gein. «Se si legge il romanzo originale, quando Norman viene arrestato, si paragona a Ed Gein», racconta Schechter.
Ma l’impatto di Gein sulla cultura popolare andò oltre l’ispirazione per il romanzo del 1959 e il film di Alfred Hitchcock del 1960. «Fino a Psycho, tutti i mostri che popolavano il cinema provenivano da altrove: vampiri dalla Transilvania, lupi mannari da Londra, mummie dall’Egitto e invasori marziani», dice Schechter. «Norman Bates fu davvero il primo mostro interamente americano. Quindi, nella misura in cui Gein è dietro Norman Bates, si può dire che Gein abbia davvero “americanizzato” la narrativa e il cinema horror».
Allo stesso modo, Manon afferma che il caso Gein coincise perfettamente — e forse addirittura contribuì — a un cambiamento nel genere horror: quando le creature mostruose degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta lasciarono il posto al tropo dello “psycho killer” nel 1960. «A quel punto, la gente si rese conto che le persone reali possono essere più spaventose dei mostri di fantasia», dice.
E questo era vero per Gein. «Di tanto in tanto compare una figura reale, in carne e ossa, che somiglia così da vicino a un mostro soprannaturale o a una creatura delle fiabe da acquisire uno status mitico e folklorico», osserva Schechter. Molte comunità hanno una casa minacciosa, appartata, di cui i bambini del posto credono sia abitata da una strega o da qualche creatura maligna, ma che in realtà è dimora di qualcuno innocuo. «Nel caso di Gein, si scoprì che era vero», conclude Schechter. «C’era davvero un mostro che viveva in quel remoto casolare».













