La tv è il diavolo: da ‘Il giovane Berlusconi’ allo spauracchio del Sanremo con Pino Insegno, Povia e Mogol | Rolling Stone Italia
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La tv è il diavolo: da ‘Il giovane Berlusconi’ allo spauracchio del Sanremo con Pino Insegno, Povia e Mogol

Mentre su Netflix impazza la docu serie con Mike Bongiorno che – in tempi non sospetti – chiede a Silvio: “Non hai mai pensato di fare politica?” e si parla delle pressioni su Amadeus per il Festival, per fortuna nell'aria c'è il ritorno di una nuova forma di fricchettonismo, pop e comunitario, giovane e per nulla nostalgico

La tv è il diavolo: da ‘Il giovane Berlusconi’ allo spauracchio del Sanremo con Pino Insegno, Povia e Mogol

Un'immagine della docu serie 'Il giovane Berlusconi'

Foto: Netflix

Giovanni Robertini: Giovedì sera sono andato al concerto di Cosmo e all’entrata mi hanno appiccicato un adesivo, un cavallo alato come quello della copertina dell’ultimo disco, sulla telecamera del telefono. Era un invito gentile e progressista a non far riprese o foto durante il live e a godersi l’atmosfera immersiva e sudata della performance. Ecco, non l’ho ancora tolto e non credo di farlo, soprattutto ora che si avvicina la Design Week ovvero il campo largo della milanesità, timidi e ricchi creativi di seggiole e scrocconi di pizzette e cocktail agli eventi. È dai tempi di brand:new che bullizziamo consapevolmente la manifestazione, una critica da sinistra (crediamoci!), un allenamento in ritiro a casa (di qualche parente, ché la nostra l’abbiamo affittata a caro prezzo su Airbnb) in preparazione del 25 aprile. Oggi, sarà l’età, sarà la grancassa delle anticipazioni degli eventi manco fosse una puntata di Belve, tenersene fuori sembra un’impresa ardua. Per fortuna è arrivato in soccorso il nuovo album di Shabaka Perceive Its Beauty, Acknowledge Its Grace, viaggione spiritual jazz elegantemente fricchettone, pace, amore e flauto shakuhachi. Suona bene anche dalle casse del telefonino, ora che la fotocamera è oscurata, potremmo silenziare le notifiche e usarlo come un vecchio IPod. L’ultima che mi è arrivata da Corriere.it è che Lazza allo stadio ha cantato il coro “voi siete napoletani” ai tifosi milanisti… la trap italiana sempre più Rete 4 del ghetto.

Alberto Piccinini: Come diceva il nostro amico Calcutta? “Ho fatto uno svastica in centro a Bologna ma era solo per litigare”. In realtà ho visto che Lazza si è profuso in qualche scusa anche perché al giorno d’oggi i like sono volatili, basta un niente. A proposito ho visto una puntata e mezza della serie di Netflix del momento, Il giovane Berlusconi, pensa te come stiamo messi. Sai cosa diceva il giovane Berlusconi intervistato a Bologna metà anni ‘80 in giro a vendere pubblicità? Faceva i complimenti alle belle ragazze di Bologna, “presenti in percentuale maggiore che in ogni città di Italia”. Lo ripeteva ovunque andava, penso. Il grande seduttore. Di ogni cliente voleva sapere almeno una cosa personale per cominciare la conversazione proprio con quella. Roba da venditori di enciclopedia, da fruttaroli al mercato. Ma com’è stato possibile? Ha detto qualcuno che alla serie manca il dark side, la mafia, i soldi sporchi, i conti segreti, i rapporti con la politica. In realtà il repertorio dice parecchio. Fenomenale il fuori onda dell’intervista a Mike Bongiorno in cui Silvio controlla che i capelli non gli sporgano troppo dietro (davanti è quasi in piazza, il suo punto debole) e Mike genio del male domanda: “Non hai mai pensato di fare politica?”. Lo stile generale è tra Scarface e i video di David Bowie anni ‘80, colonna new wave elettronica tipo New Order/Cecchetto però copiata. Iva Zanicchi presa per sfinimento con le canzoni francesi al pianoforte, Bettino Craxi, la storia dei puffi messi in onda all’ora del telegiornale Rai perché i bambini cenassero senza rompere i coglioni, perciò quando le tv furono oscurate rivolta generale di bambini, genitori e nonne. Ma a Silvio, questo è chiaro, di bambini, genitori e nonne non gliene fregava niente. Lui faceva i soldi e basta. Ho spento quando Dell’Utri (il dark side) spiegava che a un certo punto aveva istruito i venditori di Publitalia a convincere i clienti parlando di arte e di filosofia. “Firmavamo i contratti parlando di Platone”, dice. Aiuto. Capisci, scusa il salto e qui chiudo, perché io sono quasi certo che un Sanremo con Pino Insegno, Hoara Borselli, Povia e Mogol come direttore artistico avrebbe fatto lo stesso il 75% di share? La tv è il diavolo.

GR: Sarà l’estate che ci sta bussando a quasi 30 grandi, mamma che sudata!, ma sento il ritorno di una nuova forma di fricchettonismo, pop e comunitario, giovane e per nulla nostalgico: il club come TAZ (zona temporaneamente autonoma) di Cosmo, i Thru Collected in tour, il saggio di Irene Soave Lo Statuto delle lavoratrici, il disco di Mace registrato in una comune nella campagna toscana, e il film Gloria! di Margherita Vicario. L’hai visto? Una storia di sorellanza ambientata a Venezia alla fine del Settecento in un collegio femminile la cui cantina diventa una sala prove hippie per canzonette rivoluzionarie. Se, e l’abbiamo scritto allo sfinimento, la trap di questi ultimi anni ha ben fotografato il mondo in cui siamo, ora col caldo viene forte la tentazione di scappare, ma non da soli – che ansia! – e nemmeno in un gruppetto sparuto di reduci consapevoli troppo di tutto: meglio in tantissimi, così da riempire i concerti, i cinema e scalare le classifiche, raggranellando due spicci e un po’ di speranza per andarsene altrove.

AP: L’ho visto sì il film di Margherita Vicario. Ho letto anche il mega profile cover story qui su RS, belle foto, allegro. Il film mi piace, bella la storia, bella l’idea che ragazzine del ‘700 nel segreto notturno della cantina di un orfanotrofio inventino canzoni dei giorni nostri, come un musical americano, uno di quei vecchi musicarelli antimatusa con Mina o Caterina Caselli. Oddio, che nessuno si offenda, le canzoni non mi hanno particolarmente colpito, e a parte i miei gusti questo forse potrebbe essere un problema. Per dire: Cortellesi usa Lucio Dalla e Daniele Silvestri in un film ambientato nel 1945, siccome le canzoni le conosciamo bene l’effetto è garantito. Adesso ti stupirò: sono andato all’opera qui a Roma a vedere La sonnambula di Bellini, con Lisette Oropesa che è una delle soprano superstar di questi tempi. Sai di che si tratta? Nel bel mezzo di un matrimonio in un assurdo paesino svizzero arriva un forestiero ricco, fa il galante, lo sposo si ingelosisce della sposina, la sposina gli giura amore eterno ma siccome è sonnambula la trovano di notte nella stanza del forestiero. Disastro. EÈ un’opera strepitosa, una commedia di femmine folli, contro i moralisti, antipatriarcato, sulla gelosia tossica dei maschi e la fuga delle ragazze, un’opera woke altrochè, svegliatevi bambine, una banda di paese che a un certo punto si rompe in mille pezzi e viene fuori Maria Callas. Alle signore dietro di me la regia moderna non è piaciuta ma questo è un classico all’opera. Perché te lo racconto? Boh non lo so. Brava Margherita Vicario. Brava Lisette Oropesa. Bravo Bellini.

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