La teoria del complotto secondo cui un'azienda di arredamento americana venderebbe bambini rapiti | Rolling Stone Italia
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La teoria del complotto secondo cui un’azienda di arredamento americana venderebbe bambini rapiti

Nelle ultime settimane, l'azienda di mobili Wayfair è al centro di un polverone social dopo che alcuni complottisti si sono convinti che i suoi prodotti in realtà siano una copertura per un traffico di esseri umani

La teoria del complotto secondo cui un’azienda di arredamento americana venderebbe bambini rapiti

Screenshot del sito di Wayfair

Qualche giorno fa, #wayfair è diventato trending topic sul Twitter americano, ma non si parlava di mobili. Le radici del trend erano molto più oscure: una teoria del complotto nata su Reddit r/conspiracy secondo cui l’azienda di arredamento Wayfair fosse al centro di una rete di rapimenti di bambini e stesse usando i suoi armadi come contenitori per spedirli in giro per gli Stati Uniti. Le “prove” a sostegno di questa teoria erano i prezzi di alcuni prodotti nell’ordine dei 12, 14mila dollari e i nomi di questi prodotti, come Yaritza, Alivya e Samiyah, che secondo i complottisti erano i nomi delle vittime.

Quello che è diventato presto nome come “Wayfairgate” si è diffuso presto tra i complottisti americani. Del resto somigliava molto al Pizzagate, un’altra teoria del complotto del 2016 secondo cui alcune figure di spicco del Partito Democratico gestivano segretamente un giro di pedofilia nel retro di una pizzeria di Washington DC. In particolare, il Wayfairgate si è diffuso su Twitter dove, secondo il professor Darren Linvill, un esperto di disinformazione sui social della Clemson University, è stato menzionato 600mila volte in 24 ore (prima, Wayfair venga menzionata 500 volte al giorno).

“Non bisogna pensare alle piattaforme come a spazi separati, social sono tutti collegati uno con l’altro”, spiega Linvill a Rolling Stone. “Questa cosa è nata su Twitter, è esplosa su Reddit, e poi si è diffusa velocemente su diverse altre piattaforme. Si è diffusa tanto velocemente perché in questo momento le persone sono a casa annoiate e perché alcune di loro sono molto stupide”.

Naturalmente la Wayfair ha presto pubblicato una dichiarazione dicendo che non c’era niente di vero nelle affermazioni dei complottisti. “I prodotti in questione sono armati di livello industriale e sono accuratamente prezzati”, ha spiegato l’azienda a Rolling Stone. “Riconosciamo che le descrizioni e le foto fornite sul sito del rivenditore non spiegavano in modo esauriente il perché di quei prezzi e abbiamo temporaneamente rimosso i prodotti per rinominarli e descriverli meglio, con foto che li raffigurano in modo più accurato per rendere anche più chiaro il prezzo”.

La teoria del complotto è stata smentita diverse volte. Un portavoce di Wayfair ha detto a Reuters che l’azienda usa un algoritmo per scegliere il nome dei suoi prodotti, usando “nomi propri, termini geografici e parole di uso comune” e Snopes ha scoperto che molti dei bambini i cui nomi avrebbero secondo i complottisti dato i nomi agli armadi Wayfair in realtà non erano mai stati rapiti. Una delle presunte vittime di traffico, Samiyah Mumin, ha persino fatto una diretta Facebook per smentire lei stessa le voci.

Ma tutto ciò non è stato abbastanza per calmare i complottisti, che hanno continuato a postare contenuti sulla Wayfair, con la teoria che si diffondeva rapidamente da Twitter a Instagram e TikTok. Quest’ultima piattaforma, criticata in passato per aver ospitato contenuti che promuovono teorie del complotto, ha rimosso un buon numero di video su Wayfair, ma l’hashtag #wayfairconspiracy ha ancora oltre 2 milioni di views, e #wayfairgate ne ha quasi 1 milione.

Alcuni di questi video sostenevano la tesi che Ghislaine Maxwell, la collaboratrice di Epstein oggi in carcere, sarebbe in qualche modo coinvolta nel caso, portando come “prova” una foto con lei e il presunto direttore delle operazioni di Wayfair (in realtà, la foto in questione non ritrae il direttore delle operazioni di Wayfair). Un video con 61mila visualizzazioni mostra una ragazza che fa un sunto della teoria del complotto con la descrizione in capslock: “DOBBIAMO FAR LUCE SU QUESTA COSA”.

Contattato da Rolling Stone, un portavoce di TikTok ha detto che la piattaforma ha rimosso i video citati e che ha aggiunto un disclaimer interno alla app per gli utenti che cercano gli hashtag in questione, che ricorda loro i termini del servizio. “Non consentiamo la diffusione di disinformazione, teorie del complotto comprese, che potrebbe causare danni alle persone su TikTok o fuori da esso”, ha detto il portavoce. “In risposta ai contenuti in questione, stiamo rimuovendo il materiale dannoso e continueremo a rafforzare le nostre misure di protezione”.

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