È vero, come dice il regista Ryan White, che non suona esattamente convincente, vendere un documentario come “una storia d’amore sulla mortalità, una commedia romantica sul cancro, con la poesia nel mezzo”. È vero ma è anche onesto: perché non c’è sinossi migliore per presentare Come See Me In The Good Light, che arriva oggi su Apple TV+. Dove due poetesse – non è corretto, mi scuso a prescindere, visto che una delle due persone coinvolte, Andrea Gibson, utilizzava pronomi non-binari; quindi da qui in poi alla bisogna preferirò il plurale poeti – affrontano una diagnosi di cancro ovarico in metastasi e si preparano alla dissoluzione dalla materia di Andrea Gibson, Poet Laureate del Colorado.
La poesia non versa in grandi condizioni, oggi, in Italia. Paradossale, dato che il celebrato curriculum di studio anacronistico dei nostri licei è composto, nella sezione di italianistica, in gran parte da poesia. I poeti laureati, in Italia, non si vedono da un po’: dai mecenati, dalle corti, da quando l’arte aveva potere e funzione sociale; nel 2025, evidentemente, ce la siamo persa per strada. Il poeta laureato era un tesoro, per la sua comunità. Qualcuno il cui mestiere, e ricordiamo che far poesia è lavoro da fabbri, era dare parola all’inesprimibile. Ai disastri umani e naturali. A quelli del cuore e del corpo. All’attentato contro le Torri Gemelle – il poeta laureato degli Stati Uniti, nel 2001, era Billy Collins, e il Governo gli chiese una lirica nazionale, per tradurre in lingua umana quel lutto esistenziale.
Questo per dire che non è strano affatto, che da un Paese privo di spunti per la poesia non nasca lo spunto per osservare la poesia anche in altri luoghi geografici. Perciò non è affatto bizzarro non conoscere Andrea Gibson, nonostante il suo ruolo di primo piano nella letteratura contemporanea.

Andrea Gibson. Foto cortesia di Apple TV+
Andrea Gibson nacque il 13 agosto 1975 e, durante il suo tempo da questa parte del visibile, divenne la rockstar della spoken word poetry, dalle nostre parti più comunemente conosciute come slam poetry. Gibson conosceva “poche parole” per sua stessa ammissione. Le (di nuovo, il pronome è sbagliato: Gibson usava they, ed è importante sottolinearlo per conservare la sua eredità) fu fatto notare più volte che il suo lessico era povero. Nacque da una famiglia di estrazione operaia. Gibson era piccina ma aveva un controllo completo del palco: il suo pubblico piangeva, si baciava, esultava, rideva. Le performance di “poesia recitata” di Gibson erano stand-up comedy, Ted Talk, presenza, arte. Andrea Gibson ha cambiato la poesia contemporanea, e ha sofferto per tutta la vita di ansia e depressione. Finché non ha ricevuto, nel 2021, una diagnosi di cancro ovarico. D’un tratto, ha cominciato a essere leggera. Fino a nebulizzarsi nel tempo, luglio di quest’anno, anni 50 non ancora compiuti.
Come See Me In The Good Light è il racconto di questa vita, e di quella prima. Di tutto quello che è rimasto e che rimarrà. È la storia della vita di Gibson insieme a sua moglie, Megan Falley, poetessa e autrice a sua volta. È una storia di incastri, riconoscimenti. Di un giro perfettamente compiuto speso insieme. Ed è una narrazione composta da certe parole e quelle soltanto. Specifiche, eteree, coraggiose. La frase, perfetta e qui da me infedelmente riproposta, arriva da Gibson: che cosa dovrebbero mai fare i poeti se non mettere il dolore in bella copia?
Idealizzare le relazioni romantiche delle altre persone è lo sport nazionale degli egocentrici e dei teneri di cuore, e che stiate tra questi o quelli, la tentazione di romanzare le faccende tra Gibson e Falley sarà notevole. Per fortuna ci pensano loro, a spezzare l’incantesimo. Mostrando gli alti e i bassi come un cuore sulla manica; però sempre detto bene. Il che è una gran cosa, per una parentesi storica dove l’argomentazione è svenduta all’algoritmo e la persuasione dura quanto il gioco del giorno e della notte.

Megan Falley. Foto cortesia di Apple TV+
Per guardare attraverso servono raccoglimento, e una certa misura a disposizione. Squinternare gli occhi e through my body you can see the light, è quel corpo che vive ora più che mai, che serve ora più che mai, perché il dubbio è la misura di esistenza al di là (aldilà) di esso. Se l’incertezza attanaglia anche il poeta, verso l’ora che non ritorna, che cosa potrebbero dire gli altri? Se pure chi esercita nella trascendenza torna animale, sangue e organi. La sfida è qui, infatti: rimanere poeti fino alla fine. Celebrare e celebrarsi come costume, vocazione, necessità. Non lasciare andare la bellezza, che detta così pare un Bacio Perugina, invece per nulla, è l’unica verità, l’unica realtà presente a se stessa.
Quindi che fanno, due poeti innamorati di fronte alla morte? Trovano le parole per dirla. Battibeccano e si editano a vicenda. Battono sulle frasi per temprarle e renderle immuni ai secoli. I Romantici (ma pure il Rinascimento, ma pure l’Antichità classica) dicevano che questa era l’unica vera immortalità: sarà? Anche qui, sta tutto nelle idee. Per abbassarci, è meglio seguire le maree della quotidianità di Andrea e Megan, dove vien fuori che il poeta (ma va’?) non deve per forza esser Leopardi, ma può pure avere un gran senso del ridicolo. Fatevi più amici poeti e passateci insieme più tempo, insomma.

Foto cortesia di Apple TV+
C’è un destino tragico, almeno dalla prospettiva di chi non lo condivide, che accomuna alcuni. Sta nel sangue: dice che si lascia perdere la sofferenza, e la preoccupazione, e il senso di condanna proprio quando, in teoria, ne si riceve una. Mia nonna soffriva di depressione: da un punto di vista esterno, aveva sempre qualcosa che non funzionava. Sempre una lamentela, una fatica, un’oscurità profonda e risucchiante. Una preoccupazione con cui impegnarsi la testa. Una nostalgia. Un pozzo senza acqua al suo fondo.
Gli unici anni di serenità, per mia nonna, mi sono sembrati quelli che hanno fatto seguito alla sua diagnosi di tumore. Non credo fosse spaventata; mi pareva, piuttosto, sollevata. Infine, finalmente, la profezia che l’aveva inseguita tutta la vita era giunta a compimento. Ad attenderla, a Samarcanda, c’era davvero un male incurabile; una personificazione del grumo terribile che si portava dentro. “Te l’avevo detto” non deve essere mai suonato così dolce, mi immagino.
Quindi io poi, vedete, vorrei capire tante cose. Vorrei capire mia nonna, Andrea Gibson, Megan Falley e la maledizione di una vita che continua; la differenza tra living e alive, cioè tra le cose che vedi e le cose che rimangono anche scomparendo; vorrei capire la poesia perché a volte non risuona; vorrei sparire anche io per stare al fondo di quel pozzo.
Ma a queste cose che strizzano non c’è rimedio. Ci sono sollievi, farmaci, però. Come il video di una poesia scritta d Andrea per Megan, recitata da Andrea per Megan. Ve lo lascio qui sotto. Sperando che i santi della nazionale tornino davvero a essere i poeti. È una proposta modesta; ma spero che qualcuno la possa trovare interessante.
PS. Mi scuso con chiunque pensasse che questo fosse un articolo su Pier Paolo Pasolini. Quella è del tutto un’altra storia.













