Zerocalcare, intervista: «I pischelli vengano a me» | Rolling Stone Italia
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Zerocalcare: «I pischelli vengano a me»

Zerocalcare torna dopo sei mesi alle sue “Macerie Prime”, edito come sempre da BAO Publishing. Con un nuovo mentore in via d’estinzione e il solito confronto costante con i lettori. Soprattutto i più giovani.

Zerocalcare: «I pischelli vengano a me»

Cinghiale è diventato padre. Katia e Deprecabile si stanno per lasciare. Sarah odia Secco, perché inspiegabilmente lui fa il lavoro che avrebbe voluto fare lei. Giulia Cometti e amica Lemure non rispondono più al telefono, potrebbero essere andate a combattere coi curdi. E il bando di concorso per “un progetto sulle seconde generazioni”? Tornano le Macere Prime di Zerocalcare, epica negativa della generazione che aveva poco meno di 20 anni nel 2000 e adesso fatevi due conti (edito ancora una volta da BAO Publishing, nda). Sottotitolo: sei mesi dopo. Sei mesi sono passati per davvero. «Avevo un po’ di scetticismo nei confronti del lettore», spiega Michele. «Ho pensato che si sarebbe scordato la prima parte, il racconto si sarebbe sfilacciato. Ma il libro era troppo lungo e una pagina nera tra le due parti non sarebbe stata abbastanza. E mi piaceva l’idea che il tempo della pausa narrativa passasse anche nella vita dei lettori».

L’attesa è un concetto strano, in tempi di binge watching…
Non per me. Anche se di una serie ho tutto quanto disponibile io vedo una puntata al giorno e non di più.

Stai invecchiando?
Boh. Penso soltanto che quello sia il modo migliore di guardare una serie.

Intanto c’è una novità: la coscienza di Zerocalcare non è più l’armadillo, ma un panda. Hai scritto che è “un ciccione coi colori della Juve”. Anche un po’ berlusconiano. Ma è la liberazione dagli accolli, finalmente.
A me sembra evidente che il panda rappresenti qualcosa di cattivo, sbagliato. È umano, certo. Dice cose di grande egoismo e ci può stare che uno le pensi, ma non lo volevo proporre come nuovo manifesto di valori.

Invece il lettore ci casca. Dice: “Zerocalcare è cresciuto, era ora”.
Peggio. Qualcuno l’ha presa come un’evoluzione superpositiva. Un sacco di gente durante le presentazioni mi ha chiesto di disegnargli il panda. “Famme er panda… er panda me rappresenta…”. Curioso. Anche i miei lettori storici, che incontro a ogni presentazione.

Perché il panda è ambiguo. È seduttivo, si sta estinguendo.
Be’, l’ambiguità era importante per non svelare il colpo di scena finale.

Che non sveleremo. L’unica cosa che il panda non riesce a fare è convincere Zerocalcare a smettere di guardare tutti i commenti su di lui ogni mattina in Rete.
Non è tanto per gli insulti a me, perché io alla fine penso che usare la Rete per insultare i “personaggi” vada benissimo. A me preoccupano di più i paladini del decoro. Quelli che per dire “non buttare la carta a terra” scrivono in Rete cose mostruose: “sciogliere nell’acido, buttare la chiave”. Mi fa paura che si comporti così chi pensa di essere per bene e avere buon senso.

Anche il tuo panda usa dei piccoli mantra, dialettali ma molto chiari: “Se deve ammazza’”, “Mo’ morono”.
Non è bello.

A parte tutto, riesci ancora a chiacchierare con le persone nelle presentazioni?
La cosa carina è che quando disegno trovo sempre quel minuto e mezzo in cui si può parlare. Mi stupisce trovare di fronte persone mediamente più istruite di me. Tieni conto che non ho fatto l’università e sono supercomplessato, ma questi hanno fatto i master, i dottorati… Trovo tanta gente diversa da me, come esperienze, come età.

Questo feedback continuo con i lettori è importante per te?
Un botto. Io se non ho quella roba non riesco ad andare avanti. È una droga. Stare in camera tua per anni a scrivere un libro senza nessuno che ti dica niente, ma come si fa? Questo libro è diviso in due parti, perché così ho potuto sentire i commenti a metà. E mi sono serviti.

C’era un’altra piccola sfida narrativa dietro Macerie Prime: Michele ha scritto veramente il secondo libro dopo l’uscita del primo. «Non l’ho neppure riletto, prima di cominciare», aggiunge. «Infatti sono terrorizzato dagli errori, dai buchi di sceneggiatura, dalle contraddizioni». Perdonato in anticipo: non ce ne sono. Ma Zerocalcare sembra davvero affascinato dalle sfide in questo periodo. Il mese scorso sulla sua pagina Facebook è comparsa una rudimentale animazione: lui con sua madre Lady Cocca, seduti sul divano davanti alla tv stile Beavis e Butt-head. “Cambia, questo è un cojone”, ripete Calcare come un mantra. È il titolo. Idea meravigliosa, una serie tv a cartoni firmata Zerocalcare. Possibile che nessun produttore abbia ancora chiamato? «Ma io la vedo più come una cosa che posso controllare dall’inizio alla fine, e da settembre vorrei cominciare a ragionarci sopra. Pure andare fuori da Roma a fare un corso per animatori, se serve. Che per me, come sai, è la morte». Ma non sarebbe il caso di superare il trauma Rebibbia? «Conta che adesso devo andare a San Diego e in Brasile, e ho litigato con tutti, perché non volevo stare più di quattro notti fuori». Non l’ho detto, ma era sottointeso: siamo in un bar di Rebibbia fuori dalla fermata della metropolitana, è mattina presto e Michele è in tenuta da jogging.
Ultimo film visto? «Florida Project mi è piaciuto molto». Hai cambiato idea sulla trap, che ti faceva schifo? «No, però ho sentito gli H501. Mi interessano, mi piace il loro rapporto con il quartiere». La Roma vincerà la Champions League? «Ho il divieto assoluto di parlare di AS Roma, perché porto sfiga, come si sa. Non posso neanche telefonare agli amici miei, quando c’è la partita».
In edicola c’è la sua copertina dell’Espresso sui curdi e la guerra in Siria. È la seconda, dopo la graphic novel sull’antifascismo uscita poco prima delle elezioni. «È stato un successo di pubblico da un lato, e un grosso fallimento dall’altro. Un sacco di ragazzini mi hanno scritto, hanno postato le tavole su Instagram, è stata letta nelle scuole. Ma io l’avevo scritta per parlare ai giornalisti che si erano prestati a legittimare i neofascisti, facendo dibattiti con loro e cose del genere. Da loro non è venuta nessuna reazione».

Hai fatto la copertina sui curdi, dopo l’invasione di Afrin.
Queste per me sono “operazioni”. Non sono come un libro, o il blog che faccio quando mi va. Se penso che serva a noi, allora questa cosa la faccio.

A che serve questo ruolo politico, oltre al tuo di narratore?
Per esempio ad aprire degli spazi di discussione, senza ritrovarci schiacciati dalle dinamiche cattivi contro buoni. Se tu la questione dell’antifascismo la discuti un po’ e la settimana dopo ti trovi a giudicare un corteo, hai una disposizione d’animo un po’ diversa e magari non lo consideri una guerra tra bande o una rissa tra balordi. Non penso di cambiare la società, se è questo che intendi. Penso più che altro al pischello che se lo leggerà.

Punti al pischello, non alla società. Questa è anche una delle morali di Macerie Prime.
Io ci spero, nei pischelli.

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