Wanna Marchi e Stefania Nobile: «Non abbiamo paura di essere cattive» | Rolling Stone Italia
La banalità del male

Wanna Marchi e Stefania Nobile: «Non abbiamo paura di essere cattive»

Sono spietate e ne vanno fiere, sono (state) pregiudicate e ora sono icone pop: di Wanna Marchi e Stefania Nobile si può dire tutto, ma rimangono le protagoniste di un’epoca pre-social, di «un mondo reale che non faceva paura». Almeno fin quando non intervenivano loro a crearle, le paure...

Wanna Marchi e Stefania Nobile: «Non abbiamo paura di essere cattive»

Quasi come 'Scarface': Stefania Nobile e Wanna Marchi

Foto: Gabriele Micalizzi

Il male, se visto da lontano, ha un potere perversamente seducente: affascina in modo subdolo, scatena una curiosità al limite del morboso e stuzzica la nostra immaginazione, portandoci a costruire narrazioni potenti e talvolta geniali su chi lo compie. Il male, se visto da vicino, è spesso estremamente banale: viene commesso da persone che potrebbero essere chiunque, prive di idee, inconsapevoli, spaventosamente normali. Che Wanna Marchi e Stefania Nobile abbiano fatto del male l’ha decretato il Tribunale di Milano, condannandole a nove anni e mezzo di reclusione per associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata: li hanno scontati tutti, nonostante lamentino «il pregiudizio tipico italiano secondo cui se esci dal carcere sarai sempre un criminale».

Che Wanna Marchi e Stefania Nobile siano due personaggi fuori dall’ordinario l’ha stabilito la cultura di massa – Netflix in primis con la miniserie Wanna, dedicata alla loro vicenda umana, imprenditoriale e giudiziaria – che le ha elevate non senza un certo pericolo al ruolo di icone pop. Amate o odiate, imitate o temute, idolatrate o sbeffeggiate, Wanna e Stefania sono state tra le protagoniste indiscusse di un’epoca pre-internet e pre-Instagram, di un mondo «che esisteva, mentre oggi la gente ha paura di non riuscire a far parte di un mondo che non esiste».

Le abbiamo incontrate in quanto vere e proprie “esperte delle paure del pubblico”, per cercare di circoscrivere le paure di coloro che si rivolgevano al mago do Nascimento – chiedendo sali, amuleti, rametti d’edera, numeri – e le paure odierne, curate a suon di cuoricini, filtri (non magici), psicoterapia, chirurgia estetica, settimane di ritiro e digiuno vendute a più di 2000 euro. E la prima risposta, come da copione, è stata spiazzante.

Wanna Marchi: Voi credete davvero che questi avessero delle paure?

Cos’erano?
Marchi: Io sentivo solo donne che avevano l’amante.
Stefania Nobile: Alcune volevano conquistare l’amante. C’erano tanti uomini impotenti o che comunque avevano paura di fallire.
Marchi: Molte donne che volevano sapere di chi era il figlio che avevano nella pancia
perché andavano a letto con quattro, cinque, e non erano sicure.

Be’ queste erano tutte paure, no?
Nobile: Certo. Venivano da noi per diverse cose, pure banalissime: ragazzi che dovevano affrontare l’esame di guida e volevano la forza per superarlo; noi gli davamo una cosa da stringere in mano e loro lo superavano.

Dove finiva l’accettazione della realtà e dove iniziava il pensiero magico?
Nobile: Quello che abbiamo fatto noi non è diverso da quello che una persona va a chiedere in chiesa o da quello che molte volte richiedono a un medico. Uno psicologo è un mago, secondo me.
Marchi: E lo psicologo stesso ha bisogno anche lui di uno psicologo. Sai quante psicologhe chiamavano il mago che avevamo noi in televisione? Uh! Centinaia!
Nobile: Tutto parte dalla solitudine, che rimane la paura più grande per chiunque. Molte donne – e molti uomini – sono gelose del pensiero, dello sguardo: sono tutte insicurezze, sono tutte paure, ma tu non puoi comprare l’amore, il sesso, il desiderio, l’amicizia.

Però voi le illudevate di poterlo fare.
Nobile: Certo. Ma tanto avrebbero continuato a farlo pure senza di noi. Ora non lo fanno più con do Nascimento, lo fanno con altri. Il desiderio rimane sempre lo stesso: essere realizzate, amate, accettate.

Foto: Gabriele Micalizzi

Loro, d’altronde, ti dicono o di non aver mai avuto paura di nulla (Wanna), o di aver provato «terrore» (e non paura) quando in carcere furono divise, o di ricordare qualche paura in passato (Stefania) che poi è sparita. Sebbene sia poi la stessa Stefania a raccontare d’essersi sentita ostracizzata, di averci (probabilmente) sofferto, di aver (presumibilmente) provato paura e d’aver (innegabilmente) reagito con l’aggressività che avrebbe poi sublimato da adulta nelle televendite.

Nobile: Il giudizio degli altri? Non me ne può fregare di meno. Non me ne è mai fregato nulla. Fin da bambina. Quando mi prendevano in giro perché ero figlia di separati, io li menavo. Menavo tutti. Ho dato tante di quelle botte nella mia vita che adesso quasi mi manca un po’. Forse è ora che ricominci.

Magari dopo questa intervista (ridono entrambe).
Nobile: I bambini sono cattivi, eh. Diabolici. Sono i bambini che fanno venire i primi complessi.

Tua mamma non ti rimproverava quando tornavi a casa e le raccontavi di aver fatto a botte?
Nobile: Solo una volta si arrabbiò, quando andavo in prima liceo e ho buttato giù dalle scale la preside. Ma avevo i miei motivi.

Cos’era successo?
Nobile: Io da piccola sognavo di fare la giornalista, vivevamo a Bologna e dopo le medie scelsi di fare il liceo linguistico. Solo che ai tempi c’era solo privato, quindi lei fece dei sacrifici enormi per mandarmici perché costava una follia. Io mi resi presto conto che i miei compagni non andavano a scuola per studiare, ma per fare gli idioti: c’era chi esibiva la scarpina, chi la borsina, e mi ricordo che un giorno la preside mi riprese per un qualche cosa. Io ero bravissima a scuola: nel momento in cui mi rimproverò vidi davanti a me tutti i sacrifici di mia mamma, e le diedi una spinta. Non mi sono mai pentita, ho fatto bene. Avrei dovuto dargliela prima: una preside ha il dovere di far rispettare lo studio in una scuola, non le scarpe o la borsa. Mi ha fatto sentire diversa. Si è divertita a umiliarmi.
Marchi: Poi a Bologna, figurati!
Nobile: Una città stronza. A Bologna magari hanno la luce staccata in casa ma vanno a vestirsi e a mangiare in certi posti, è una città così.

Le apparenze, le truffe, i filtri, i social: è un parallelismo azzardato, certo, ma se nel 2022 non c’è più Wanna Marchi che rifila lo scioglipancia a chi vuole dimagrire, al suo posto ci sono le influencer che pubblicizzano creme, sieri e fondotinta con la promessa sottintesa che acquistando quei prodotti potrai essere bella come loro. Wanna e Stefania, quindi, sono state Instagram prima di Instagram?
Nobile: Assolutamente sì. È una cosa molto squallida questa di Instagram, perché chiunque può fare tutto. Quanto mi dai per tre storie? Quanto mi dai per un mese di collaborazione?
Marchi: Io gli darei delle pacche nel cervello! Capito? Sono quattro sgallettate che vanno a fare ‘ste robe con le tette e il culo di fuori: è uno schifo dai, onestamente parlando.

È con Instagram dunque che oggi si sfruttano le paure?
Nobile: Be’, sì. Sicuramente Instagram ti permette anche di mascherare le tue paure, perché con i filtri sono tutte bellissime e tutti stupendi, però c’è un problema. Che quando le vedi dal vivo arriva un’altra persona, non quella che uno ha visto su Instagram. Quindi è un mondo che tende a isolare sempre di più perché le ragazze si sentono fighe con i filtri, senza non hanno la stessa certezza – e i ragazzi idem. È un mondo di filtri, una delusione, una truffa.

Però il filtro di Instagram, a differenza vostra, non ricorre a meccanismi ricattatori.
Nobile: Se una persona ha delle paure, non è che le paure gliele faceva venire Wanna Marchi. Il mondo di una volta – degli anni ’80, ’90 e di inizio Duemila – era molto più felice di oggi. Wanna Marchi non c’è più dal 2001: come mai la gente è talmente fuori di testa da entrare in un supermercato, rubare un coltello, ammazzare qualcuno e dire «Li vedevo felici»? Lo capite che è il mondo oggi a essere sbagliato? Il mondo di allora era molto sereno, bello, gioviale, tranquillo: le paure sono quelle di oggi, è il mondo di oggi che fa paura. Se Wanna Marchi e Stefania tornassero in televisione a vendere, le paure sparirebbero per il 70%. La gente ha paura di non riuscire a far parte di un mondo che non esiste: il nostro mondo esiste; è il loro a non esistere. Non possono essere tutte fighe e fare le troie a Dubai, capite? Il mondo reale è un’altra cosa: c’è la povera cicciotta di paese che Dubai non la vedrà mai nemmeno in cartolina, ma noi non parlavamo di questo, noi le aspettavamo – sapete dove dicevamo che le aspettavamo? – al casello di Melegnano. Non a Dubai. Noi dicevamo: «Ci mettiamo al casello di Melegnano con una bilancia e vi aspettiamo». Il casello di Melegnano esiste, la bilancia esiste, Dubai per la stragrande maggioranza della gente no. E le paure gliele inculcano oggi, non le inculcavamo noi.

Se a vostro parere non avete fatto nulla di male, perché le persone avevano paura di voi?
Nobile: Se la gente aveva paura, era un problema loro. A noi non risulta, anzi: la gente trovava le certezze in noi. Persone di 150 chili compravano lo scioglipancia, erano sempre grasse ma si sentivano magre. Persone pelate compravano la lozione per i capelli e si sentivano i capelli lunghi fino al culo. Non avevano paura: da noi acquistavano sicurezza. Facciamo un nome tanto per, può essere lei come un’altra: Taylor Mega – bellissima, bella anche senza filtri – oppure prendiamo Belén, qualunque bella donna: se compri l’illusione di diventare come loro, be’, questa è la vera truffa.
Marchi: Allora sei davvero un coglione, o no?
Nobile: Noi non siamo né Belén, né Taylor Mega: davamo sicurezza in quanto mamma e figlia, in quanto persone preparate su quello che dicevamo, persone sicure che c’erano sempre come ci sono oggi per un dialogo. Non facevamo paura, davamo certezze.

Foto: Gabriele Micalizzi

L’aspetto forse più disarmante e insieme intrigante della coppia Marchi-Nobile continua a essere la totale assenza di senso di colpa, di pentimento, di rammarico. Nonostante si professino entrambe credenti («Non crediamo ai preti, crediamo in Dio»), quando gli fai presente la contraddizione che – se risolta – potrebbe renderle meno temibili e più umane, regalandoci una (forse) finta e magra consolazione, loro alzano gli occhi al cielo e s’innervosiscono.

Marchi: Ancora con questo pentimento? Ma che due palle però!
Nobile: Tanto è quello che ci chiedono tutti, sta sul cazzo ‘sto non-pentimento. Non ci si pente nella vita: una cosa l’hai fatta, punto. Soprattutto non ci si pente per una cosa che probabilmente avrebbe meritato una pena di un anno – esageriamo? Due al massimo – e per cui ti fai nove anni e mezzo di carcere. Mi devo pentire? No, mi devo incazzare. La fase dell’incazzatura l’ho superata, ma pentirmi no. Io odio i pentiti: adesso va di moda, vedi il caso della Zanicchi. Dice ad alta voce un suo pensiero, «troia», il pensiero viene ripreso ed è tutto un «mi pento». Ma cosa ti penti? L’hai detto!

Be’ il pentimento è l’autostrada per la riabilitazione pubblica. E voi quell’autostrada non avete voluto imboccarla.
Nobile: L’altro giorno una persona per noi molto importante ci ha detto: «ai tempi non l’avevo capito, oggi invece vi dico: avete fatto bene a mantenere la stessa linea, perché avete dimostrato che siete così». La gente si vende per un applauso, per una parolina, io no. Se oggi dicessi che mi pento – e prima di tutto non mi devo pentire di niente – mi pentirei per che cosa? Per far star bene Giletti? Mi sentirei cogliona. Io non ho complessi: mi accetto come sono, mi piaccio come sono, sto bene con me stessa.

Però recitare la parte delle vittime vi avrebbe certamente fatto comodo.
Nobile: Siamo state anche accusate di essere andate in tribunale vestite bene. Noi siamo sempre vestite bene. Come avremmo dovuto andare? Vestite come San Francesco? Vestite di stracci, coperte di cenere? Noi siamo e saremo sempre noi. Conosco gente che ha commesso errori, anche grandi, che poi cerca di fare compassione. Per carità. A Bologna si dice: l’è mej fa schif che cumpasiòn. Mai. Piuttosto dimmi che mi schifi, ma mai che ti faccio compassione.
Marchi: È brutta la pena.

Un conto è la pena, la compassione è diversa, è un «patire insieme».
Nobile: No no, noi siamo così. Ci hanno disegnato così. Tante volte ci avrebbe fatto comodo. Sai quanti calci mi son presa dal mio avvocato? Mi ha distrutto le caviglie durante il processo. Ora è il mio migliore amico, Liborio Cataliotti. Io mi alzavo di continuo per dire «Ma che cazzo dice questa?». E lui: «Stai zitta!». Ho sentito di quelle cose che veramente. Avrei dovuto dire «Mi spiace». Il giudice mi diceva «La faccio uscire». Io esco, se devo sentire ‘ste cagate io esco. Perché hanno detto un mare di cagate. È andata così dai, son passati vent’anni.
Marchi: Vent’anni. Dobbiamo ancora parlarne?
Nobile: Siamo anche persone diverse: se tu adesso mi dicessi di fare una televendita ti manderei a fare in culo.

Foto: Gabriele Micalizzi

Non ci manda a fare in culo – ma il rischio è palpabile – quando domandiamo come s’accorgessero del margine che possedevano sulle persone che chiamavano la Ascié con la speranza di risolvere le proprie paure, malgrado pure questo risulti un ulteriore aggancio per far valere la loro tesi: è il coglione a scavare la sua personale fossa in quanto coglione, noi non possiamo davvero farci nulla.

Nobile: Guarda cosa mi ha mandato il mio amico oggi (mostra una foto su WhatsApp, nda): sensitivo Hermes, trent’anni di esperienza, esperto nel ritorno della persona amata, elimina malefici. Cosa fa di diverso da Wanna Marchi? Io lo chiedo a voi. Perché questo può farlo? Perché non ha il carisma di Wanna Marchi. Perché è un povero coglione. Oggi al tg hanno raccontato di un’altra truffa: questi dall’Albania chiamavano la gente dicendo «Dammi mille euro che ti faccio diventare miliardario». Tu glieli daresti? Se uno glieli dà, cosa gli dici?

Voi però, dopo che uno ve li dava la prima volta, iniziavate a ricattarlo.
Nobile: Come loro. Se io sono un broker e mi dai 100 mila euro, me li devi dare tutti.
Marchi: Tutti, anche la giacca che hai addosso.
Nobile: È uguale: quello che contestano a noi lo fa chiunque. Se vai a comprare una poltrona e il venditore capisce che ha margine, ti vende tutto il negozio. Se è bravo. Se è deficiente, deve cambiar lavoro.

Come vi accorgevate di avere margine?
Marchi: Te lo dicono loro, non hai bisogno di capire.
Nobile: Continuavano a chiamare il mago: chi si fa fare le carte, se le fa fare tutti i giorni. Poi non si accontentano più delle carte e vogliono i numeri. Andate in Brera a vedere quanti deficienti si fanno fare le carte.
Marchi: Pensate che i politici non si facciano fare le carte?
Nobile: Della maga Ester, la maga di Berlusconi, si diceva «Non si muove foglia che maga Ester non voglia». Aveva incorniciato nel suo studio il primo assegno che le diede Berlusconi. Quindi, tutti ci vanno? Dov’è il problema? È come uno che va a puttane: ma che ce frega. Perché dobbiamo dirigere la vita degli altri? Che cazzo te ne frega a te se lei vuole andare da un mago? O se lui vuole andare a puttane o a prenderlo nel culo?

Ognuno i suoi soldi li spende come vuole, ma una persona che non ha i mezzi non va in qualche modo tutelata?
Marchi: Tutelata da chi?
Nobile: Perché? Cosa intendete con non avere i mezzi?

Cognitivi.
Nobile: Sono tutti pazzi in Italia allora.

No, non sono tutti pazzi. Ma forse dovremmo distinguere tra chi va dal mago in maniera volontaria e consapevole rispetto a chi ci finisce dentro e non riesce a uscirne.
Marchi: Se non ci arriva, che vada in manicomio.

Non ci sono più.
Nobile: Come dice Sgarbi: dal momento in cui hai un codice fiscale, sei grande e vaccinato e fai quello che vuoi fare. Se uno non ci arriva non è problema mio, io non faccio il medico. Se uno mi chiama al telefono e mi dice «mio marito mi fa le corna» io non faccio le diagnosi. Anche perché una persona che non ha i mezzi non dovrebbe manco avere il telefono. Non posso accollarmi i problemi degli altri, altrimenti al manicomio ci vado io. Io vedo tutti normali, non vedo queste difficoltà che volete vedere voi. Altrimenti non facciamoli votare.

È una sorta di darwinismo sociale?
Nobile: Bravi. Io non mi sono mai sposata, odio i contratti. E odio essere cornuta. Se uno si sposa e sarà cornuto glielo devo dire io? Saranno cazzi suoi. Io non l’ho mai fatto, il per sempre non c’è. Conoscete una presa per il culo più grande di questa? Andiamo dal prete a chiedere se son normali mentre si fanno fare i pompini dalla testimone nel bagno?

Ok, però se ragioniamo così rischiamo di essere totalmente disillusi.
Marchi: Chissenefrega.
Nobile: Per me esisto solo io e la mia famiglia. Il resto facciano quello che vogliono. Se una mi dicesse «Tutto quello che ho lo voglio spendere in uomini», io le direi: brava, fai bene. La vita è una, e già è impegnativa.

Foto: Gabriele Micalizzi

Il Marchi-pensiero è un fiume in piena inarrestabile, che travolge e spesso lascia in balìa delle correnti: c’è una giustificazione e una spiegazione (a loro parere) logica a ogni azione, un solipsismo estremo, una manipolazione della realtà che fa più paura degli scioglipancia, del sale, dei talismani, dei vari «signora, lei non dorme più». E se il ragionamento spesso conduce a un laconico «mal comune, mezzo gaudio», Wanna e Stefania non si fermano mai nemmeno lì, e rincarano la dose con l’intenzione non tanto di propugnare innocenza, quanto complicità con un sistema che è malato di suo e al quale non c’è motivo di opporsi.

Nobile: Quello che facevamo noi erano i Flintstones. Poi i Flintstones, da «Wilma dammi la clava», son passati a «Ti punto la pistola». È diverso. Io non ti dico che mal comune mezzo gaudio, ma ti ribadisco: se uno si vuol drogare, si droghi. Vuole andare a puttane? Vada a puttane. Vuole fare sesso col prete? Faccia sesso col prete. Vogliamo parlare degli scambi di coppie? Son tutti poverini anche questi che portano le moglie a farsi fare dagli altri e loro guardano? Son poverine anche loro? Lo capite che è il mondo che è malato? Non è Wanna Marchi che ha dei problemi. È il mondo che ha dei problemi. Pieno di pazzi, irrisolti, complessati. Sai chi è per me che fa le vere truffe? Gli psicologi. Io non ho bisogno di spendere dei soldi per parlare. Sto parlando anche con voi adesso.

Però magari quella chiacchiera ti aiuta a risolvere qualcosa.
Nobile: Le truffe sono tante. Conosco gente che da anni si fa aprire i cassetti della mente. E spendono 5000, 10 mila euro. E ti dicono che hanno aperto i cassetti. Io quando devo pulire chiamo la ragazza che già viene a casa mia. Le truffe sono un conto, ma le paure sono un’altra cosa. La paura è una mamma che ha paura per un figlio drogato, la mamma che ha paura perché le viene detto che il bambino che ha dentro la pancia ha dei problemi. Quelle sono paure. Un mago non rappresenta nessuna paura.

Sono vizi dei nostri tempi, più che paure?
Nobile: Certo. Noi siamo un popolo di viziosi, ragazzi.

Però se mi rivolgo a un mago e poi scatta un meccanismo di estorsione, scatta anche la paura.
Nobile: Attenzione. L’estorsione sono io che ti brucio un negozio, ti brucio l’attività e ti chiedo i soldi. Ma se tu mi chiami e mi dici «Io voglio quella donna a tutti i costi», non è estorsione. Perché io ti rispondo «Ok, vuoi quella donna? Io voglio un milione di lire». Tu me lo dai. È estorsione? Basta riagganciare il telefono. L’estorsione è un’altra cosa: infatti, quando hanno provato a darla a noi, l’hanno dovuta derubricare dopo dodici ore.

La realtà di Wanna Marchi e Stefania Nobile è molto più semplice – e in tal senso fa molta più paura perché estremamente concreta e sincera – di quella che credevamo:«Con la lealtà e la legittimità non vendi niente».

Nobile: Se vendessi un prodotto e dicessi: «Diciamo che puoi perdere un chilo ogni sei mesi», secondo te lo vendo? È normale che devo dire che col mio prodotto perdi venti chili in un mese. Ma venti chili in un mese li perdi solo se ti butti nell’Oceano Indiano con gli squali. Però se tu ci credi, cazzi tuoi. Una nostra amica paga 2300 euro per stare a digiuno.
Marchi: Per non mangiare una settimana! Questi che fanno questa cosa io li ammiro.
Nobile: Son dei numeri uno. Poi lo fanno ad Assisi, la terra dei santi, di San Francesco.
Marchi: Quando avevo vent’anni esisteva in Romagna un certo Gustin, che adesso ovviamente è morto. Lui diceva che curava il mal di schiena, lo conoscevano tutti in Romagna. Dava un sacco di botte e bastonate nella schiena. La gente spendeva un sacco di soldi e usciva felice. Perché stavano bene, lui li aveva menati e dicevano «però a m’a det che stag mej!» Questo era il numero uno, faceva bene, la gente va inculata. Sono d’accordissimo.
Nobile: Noi siamo cattive ragazzi, siamo realiste. Non vogliamo dipingerci di buono. Siamo cattive. A me questo mondo così com’è non piace, per cui vi ripeto, i vizi. L’avete visto l’Avvocato del diavolo? Il peccato più grande è la vanità, è verissimo. Mai come in questi anni. Per cui: se bella vuoi apparire, un po’ devi soffrire.

E alla fine, chissà perché, pensi davvero che lo scioglipancia fosse il minore dei mali.

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Foto: Gabriele Micalizzi
Ph. Assistants: Francesca Malfatti, Brigida Brancale, Giorgio Dirindin, Giovanni Spreafico, Marco Durante, Augusto Bondio
Producer: Maria Rosaria Cautilli
Talents Mua & Hair Stylist: Amy Kourouma

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