Pier Vittorio Tondelli, 70 anni di scoramenti | Rolling Stone Italia
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Pier Vittorio Tondelli, 70 anni di scoramenti

Abbiamo parlato dello scrittore, nato il 14 settembre 1955, con Enrico Brizzi che lo ha raccontato in modo quasi enciclopedico nel nuovo ‘SuperTondelli. Il mio amico segreto’, tra politica, sessualità e innovazione stilistica

Pier Vittorio Tondelli, 70 anni di scoramenti

Pier Vittorio Tondelli

Foto: Alberto Roveri/Mondadori via Getty Images

Mi sono imbattuto in Pier Vittorio Tondelli a 15 anni. La seconda volta che ho letto Jack Frusciante è uscito dal gruppo – l’epico romanzo “rock parrocchiale” di esordio del 19enne Enrico Brizzi – mi sono soffermato su quella dedica a pagina due.

Per Andrea P. e T.,
che hanno disegnato e scritto.

Andrea Pazienza e Pier Vittorio Tondelli. Avendo sempre avuto difficoltà nella lettura dei fumetti (Topolino a parte) ignorai Paz – lo avrei scoperto molto più tardi – e optai per i libri di Tondelli. Passai dagli scoramenti di Alex P. a quelli del Gigi, della Sylvia, e del Miro, dal “presto sarebbe volato via pure quello stupido febbraio al disastrato squagliamento che sono queste giornate di febbraio”, da Martino che non c’è più a Thomas, dalle pedalate del vecchio Alex con “l’energia disperata d’un Girardengo appena appena più basso e rock” alla bicicletta regalo di compleanno di Dilo e “fino a sera pedalare un po’ ubriachi quel magnifico quattordici settembre, un caldo primaverile, una luce schietta che quando il sole va giù i mattoni di Bologna avvampano rossi come se la città dovesse da un momento all’altro bruciare”.

Oggi Pier Vittorio Tondelli avrebbe compiuto 70 anni. Ma è morto a 36, di AIDS. Era il 1991. Enrico Brizzi – che con l’autore di Correggio ha sempre avuto un conto in sospeso – ha scelto di omaggiarlo con un libro in uscita il 26 settembre per HarperCollins. SuperTondelli. Il mio amico segreto è un’enciclopedia tondelliana, un lavoro di maniacale ricerca, che trasuda entusiasmo, stima e passione vera. Un volume che tiene insieme il ragazzo, l’autore, il contesto storico di quell’Italia, e rimette in ordine quelli che evidentemente sono trent’anni di appunti, curiosità, spunti, scambi, conversazioni, testimonianze, riuscendo a restituire un’immagine a tutto tondo del suo (che – per quello che vale – è anche il mio) scrittore di riferimento.

Quella che segue è un’intervista su Tondelli ad Enrico Brizzi, in cui io – l’intervistatore – cerco di conoscere Tondelli tramite Brizzi, che in verità – Pier Vittorio – non l’ha mai incontrato. Ma leggendo il suo libro, risulta difficile crederci. Un telefono senza fili e senza tempo tra tre autori: due veri, di cui uno assente giustificato, e un altro (io) più un fan e scribacchino per gioco, a cui piace parlare del triangolo Gran Trojaio Bologna-Modena-Ferrara.

Per Andrea P. e T., dedica criptica: ma con me ha funzionato.
La cosa bella è quella di seminare, no? Quando è uscito Jack Frusciante tutti mi facevano notare: ma ci sono un sacco di citazioni! Tondelli, Pazienza, i Clash, gli Smith, i Cure. La perplessità era: sei sicuro che parlare di queste cose dando per scontato che tutti le conoscano sia una buona idea? E dal mio punto di vista – quello da fanzinaro del Liceo Caimani – la risposta era: chi se ne frega se tutti li conoscono o no, facciamoli conoscere perché meritano. E se uno non li conosce non è una vergogna, anzi, diventa una possibilità di regalarli a qualcuno che non sai che faccia abbia, ma che magari potrebbe essere il tuo migliore amico domani o il tuo migliore amico in una vita parallela. A me sono sempre piaciuti i dischi che contengono riferimenti ad altri dischi e ti fanno venire voglia di ascoltare qualcos’altro di nuovo.

Come si sono intersecati il tuo mondo e quello di Tondelli?
SuperTondelli è un tentativo di rendere omaggio a una persona che per me è stata fondamentale. Mi ha insegnato quella che è l’attività più importante della mia vita: la scrittura. L’articolo di Tondelli Gli scarti su Linus, in cui spiega e dà consigli agli aspiranti narratori, per me è stato una rivoluzione copernicana. Io a 17 anni pensavo di scrivere una storia d’avventura ambientata in un futuro distopico, con protagonista un giovane cacciatore di taglie che – oltre a fare il mazzo ai cattivi – va alla nobile ricerca delle verità nascoste. Il classico testo velleitario di minchia perché sei inesperto e fai le cose così come ti vengono. Trama che ovviamente non aveva nulla a che fare con la mia vita: che cazzo ne sapevo io di come era fatto un fucile a pompa o una moto a neutrini? Finiva che inventavi tutto e il risultato era un ingenuo fumettone.

Leggere in Scarti – parafrasando – “Ehi ragazzi, raccontate quello che fate, che sentite: i vostri tormenti, i vostri rapporti a scuola. Scrivete di quello che conoscete, scrivete delle vostre vite, scrivete della scuola, dello zaino di scuola” è stato fondamentale. Il Jolly Invicta di Jack Frusciante è un omaggio proprio a quella roba lì: far diventare protagonista anche lo zaino di scuola. Leggere quelle parole per me è stato come ascoltare Never Mind the Bollocks o quei momenti in cui pensi: cazzo, non avevo capito niente, è dall’altra parte che devo guardare. La mia vita, che mi sembrava banale ed era oggettivamente banale – come quella di quasi tutti noi altri – poteva diventare qualcosa da raccontare. Me l’ha spiegato Tondelli dall’oltretomba – quando ho letto quei consigli erano passati due mesi dalla sua morte: fa quasi accapponare la pelle e pensarci. Come mi fa accapponare la pelle pensare che la persona che mi mise in mano quei consigli era Massimo Canalini – venuto a mancare l’anno scorso – l’editore di Transeuropa con cui lui, nei cinque anni precedenti, aveva lavorato ai tre volumi di Under 25.

Il Progetto Under 25 nasce nell’85 da quell’articolo di Tondelli, una sorta di chiamata alle armi.
Il progetto si concretizza in tre volumi con la casa editrice Transeuropa, che durante l’uscita del primo volume ancora si chiamava Il lavoro editoriale. Tondelli fa un appello sui giornali e arrivano 400/500 racconti. Canalini a una prima scrematura e i racconti che passano vanno in mano a Tondelli, per la scelta finale. Con questi ragazzi viene fatto un lavoro di editing, esattamente quello che Tondelli aveva imparato a sue spese quando consegnò la sua prima velleitaria versione di Altri libertini di 400 pagine, a Feltrinelli e Aldo Tagliaferri.

Con Tagliaferri capirà che tra lui e la pubblicazione c’è praticamente un maestro Jedi che gli deve insegnare tutto. E di questo maestro Jedi per prima cosa ti devi fidare. Ricordiamo che aveva 24 anni, un ragazzo molto posato, molto intelligente, eccetera, però un ragazzo con gli istinti da ragazzo. Sentirsi uno che dice: “Guarda il lavoro che hai fatto negli ultimi cinque anni, amico mio, siamo di fronte a un bivio: o lo buttiamo nel cestino, oppure cerchiamo di trarne qualcosa di buono da salvare”. Parole pesanti che ti fanno pensare che l’80% di quello che hai fatto non sia servito a un cazzo. Se resisti, in realtà poi capisci che tutto quel giro ti è servito per arrivare esattamente dove sei arrivato e che quindi non è un lavoro da buttare. Però lì, sul momento, è come se davanti agli occhi ti buttassero giù con la ruspa la casa che avevi faticosamente costruito insieme ai tuoi due fratelli porcellini.

Sostanzialmente si riparte da zero, e con che esiti?
Inizi a lavorare davvero sul testo e ti accorgi che migliora. Sensibilmente. Come fare le prove con la tua band. Un altro grande merito di Tondelli è quello di portare via un’aura di misticismo alla scrittura, all’idea dell’ispirazione. Sai, come quando ti immagini Byron a petto nudo con la camicia da apostolo aperta, fuori ci sono i fulmini, è notte, piove e lui scrive un romanzo perfetto in 8 ore.

Il laboratorio Under 25 de-romanticizza la narrativa. E Tondelli ci mette la faccia, e molto del suo tempo.
Tondelli guida il progetto fino alla fine di fatto, perché stavano ancora arrivando testi quando si scopre che lui è malato. Si mette di persona a lavorare con i 10/12 autori selezionati. Lavora con loro sul testo, e senza dirlo esplicitamente, ma proprio desumendo, confrontando il suo racconto di cosa fa con Tagliaferri nel ’79, e cosa fa lui quei ragazzi: sono le stesse cose, cioè insegna il lavoro sul testo.

E poi arriva Brizzi.
Prima c’è stato un grosso break esistenziale, Tondelli se ne va. Transeuropa continua a ricevere questi testi. Continua a essere il punto di riferimento dei ragazzi che hanno pubblicato, di Silvia Ballestra, Giuseppe Culicchia, di quelli che hanno pubblicato negli Under 25 e che stanno pubblicando i loro primi romanzi. Per me ricevere la chiamata di Transeuropa è stato come entrare in contatto con la casa discografica indie più figa del mondo, come se ti chiama la Rough Trade, e pensi «Cazzo quella che fa gli Smiths vuole me, non ci credo». Se anche è solo per andare a fare un giro e vedere che aria tira, ci vado di corsa.

Diventò molto più di così. Entrai nel gruppo dei giovani “reduci” di Under 25, che si trovano quasi ogni weekend, si leggevano le proprie storie, ognuno dava un’opinione agli altri. Le riunioni di lettura il sabato e la domenica che andavano avanti tutta la notte in ambienti fumosissimi, la gente che portava da bere, si cenava a orari assurdi per una città come Ancona. Dovevi anche sbatterti a trovare i posti, pizzerie sul lungomare a Falconara alle tre di notte. Io avevo 17 anni, lì c’erano ragazzi di 22, 23 anni. Essere in mezzo a loro, che mi chiedevano un’opinione sui loro testi inediti, con lì la sedia in cui sedeva Tondelli giusto un paio d’anni prima, era già incredibile. Ma poi avere la loro attenzione mentre io leggevo le mie cose, non lo so, non vorrei fare paragoni assurdi, ma era un’emozione tipo il primo bacio, o la prima volta che poghi a un concerto.

Un giovane Brizzi, oggi, a quale casa editrice busserebbe per portare il suo dattiloscritto? Da chi sarebbe pubblicato?
Non lo pubblicherà nessuno, o meglio, forse giusto un piccolo editore. Il problema è che è cambiata una cosa fondamentale. Le tre antologie Under 25 escono per la sconosciuta – ai non addetti ai lavori – casa editrice, in pochissime copie. Nel giro di pochi anni, non solo quei tre volumi, ma, Il compleanno dell’iguana e La guerra degli Antò di Silvia Ballestra, libri di autori che oggi sono meno ricordati, ma per me sono stati compagni di strada fondamentali, – come Lorenzo Marzaduri – questi autori sconosciuti, esordienti, pubblicati con la piccola casa editrice, vengono ripresi da Mondadori negli Oscar, cioè la più popolare collana economica del paese. E questo funzionava perché in Mondadori c’era un editore illuminato che era Ferruccio Parazzoli.

Ma oggi il salto dall’indie alla major non avviene più per un fatto semplice: una volta le major riconoscevano il lavoro di scouting che facevano i piccoli editori. Massimo Canalini era un grande editor, ma non era un filantropo. Come viveva? Come campava? Campava facendo fare la gavetta, facendo fare l’apprendistato a 10 autori sperando che almeno uno di questi sfondasse, perché lui poi, se il libro veniva ripreso da una major, aveva il 50% dei diritti sull’operazione. Era un patto ovviamente sottoscritto liberamente da ognuno di noi. Che ci stava tutto secondo me, e anche col senno di oggi ci starebbe tutto. Quindi, detta in breve, marxianamente, il sistema di produzione era questo: grande casa editrice pubblica i suoi grandi autori già noti. Quelli nuovi arrivano dalle piccole case editrici, come Transeuropa di Ancona, Theoria di Roma. I grandi compravano da lì, i piccoli campavano con quello che riuscivano a vendere ai grandi.

Perché oggi non è più così? Perché i grandi non comprano più dai piccoli. Non comprano più ragazzi formati da due, tre anni di editing su un testo. Oggi il grande editore cerca i nuovi autori sui social. Tra gli influencer di TikTok, tra i personaggi di X Factor, su Wattpad. E a questi nessuno farà un apprendistato, perché li hanno presi e hanno detto «Ehi, ci interessa un tuo libro, ecco un ghostwriter, ecco qua il libro». E quindi manca il tornaconto economico all’eventuale Massimo Canalini o Repetti. Chi paga il lavoro che fanno sui giovani autori se nessuno compra gli autori che svezzano, se i nuovi autori vengono già presi da Instagram? Il sistema, a livello economico, non sta più in piedi.

Tempi diversissimi. Altri libertini lancia Tondelli a 24 anni. Jack Frusciante lancia Brizzi a 19.
Se la tua vita passa dall’essere quella di un liceale o una matricola universitaria che cerca di scrivere, a tua zia che improvvisamente ti vede al Maurizio Costanzo Show e, anche se non ti cagava da sei mesi, vuole che vai a prendere il tè con le sue amiche, o alla ragazza che non voleva uscire con te, ma che all’improvviso, cambia idea, non serve essere un rabdomante per capire che nessuno ti sta dando queste cose gratis e il momento di massima esposizione finirà. Ti ritrovi così davanti a due scelte.

La prima è fare il personaggio. Andare in TV a parlare dei giovani, cosa pensano dei Nirvana, cosa pensano della guerra, cosa pensano della droga. Che poi già Kurt Cobain diceva “Non sono un fottuto portavoce”, pensa quando venivano a chiedere a me cosa pensano i giovani: cioè, che domanda di merda è? Cosa ne so io di cosa fanno i giovani. Io so cosa fanno i miei amici. Tondelli ha messo molto spesso in guardia su questo: non giudicate i giovani, se vi interessa ascoltateli e provateci ad avere un rapporto, ma rimettersi nei panni di Catone il Censore che diceva già alla sua epoca «I giovani di oggi non sono come quelli di quando ero ragazzo io che saltavamo i fossi per la lunga». Dai, è una parte un po’ patetica.

La seconda opzione è quella di provare a continuare a scrivere, che è la cosa che ti ha portato lì e che è quella che ti piace. Ora io non ho niente contro chi fa il prezzemolino in TV, però anche in questo Tondelli è stata una guida: lui in TV c’è andato poche volte, e ha sempre detto delle robe secondo me clamorose. Se ti trovi come mi son trovato io a vent’anni in mezzo a una ridda mediatica enorme, a un certo punto o te ne tiri fuori o non hai banalmente più il tempo per scrivere. Non hai più occasioni di cui scrivere perché vedi soltanto una realtà fasulla, parli solo con segretari di produzione. Non vedi più i tuoi amici, non vedi più le persone di Bolo con cui sei cresciuto. Finisci per esaurire la tua vena da solo, la stai sprecando per l’anima del cazzo.

È molto più figo, secondo me, fare una scommessa sulla lunghezza di quello che puoi fare, sapendo bene che ci saranno dei successi e dei clamorosi insuccessi e dei medi successi, ma non è quello che ti importa, almeno a me. A me quello che importa è stare vicino al fuoco della scrittura e della narrazione. Provare a fare ogni volta quello che ti sento di fare tipo. Dal momento in cui crei, scrivi, al momento in cui presenti un libro.

A modo tuo: come i reading rock di Jack Frusciante e Due che stai portando in giro.
Quando ho detto che questi libri li volevo presentare con dei reading rock, con i miei amici della band intorno, le librerie sarebbero state più contente se gli avessi detto che gli portavano un bue che gli avrebbe cacato nell’atrio. Ma poi l’ho fatto. E Tondelli in questo non è un autore a caso. È uno che parla di brutto della narrazione orale, e di come il testo emotivo debba poter essere riassumibile e raccontabile oralmente. Perché è cresciuto nella tradizione emiliana che noi conosciamo bene, in una convivialità in cui le persone stanno insieme intorno ai racconti, stanno insieme intorno alle storie. È per questo che ci piace salire sul palco e dare voce alle storie, perché è come ce le siamo immaginate quando le abbiamo ascoltate.

Dare voce alle storie. Restituire quel “sound del linguaggio parlato” tanto caro ad Arbasino, Celati, e poi Tondelli.
Il ritmo e la musica della pagina sono una componente non accessoria, ma proprio centrale. Io non ne ho alcun dubbio ed è proprio la scuola in cui sono cresciuto. E poi l’importanza degli ascolti durante la scrittura. C’è grande differenza, secondo me, se scrivi ascoltando una cosa in quattro quarti, piuttosto che in tre quarti. Se ascolti i tempi dispari dei Primus o i drittoni in quattro quarti dei Damned. Sono sound diversi che ti ispirano cose diverse. Il mio rituale di inizio lavorazione prevede computer, bicchiere d’acqua, e che musica mi serve oggi?

La leggenda di Tondelli come cantore del ‘77. Gli Indiani Metropolitani, Radio Alice, e i carri armati di Kossiga. Dove si colloca Tondelli nei confronti del Movimento?
In quel clima di violenza Tondelli non era affatto a suo agio. È uno che scrive «Cazzo a Bologna si stava di merda perché c’era troppa violenza, mi cagavo in mano ed ero sempre in paranoia». Stiamo parlando di un ragazzo della parrocchia di Correggio. Sicuramente una parrocchia progressista, di una terra che è l’Emilia, con delle caratteristiche di vicinanza sociale a Don Camillo e Peppone ovvie. Ma lui non è un politicizzato. Non dice nemmeno: io voto PCI. Chi lo conosceva meglio diceva che probabilmente le sue simpatie erano per i radicali. Ma i radicali erano considerati sì dei pionieri delle lotte sui diritti civili, ma certamente, molto moderati da chi militava in Avanguardia Operaia o Potere Operaio.

Era un ragazzo che ti diceva che leggeva Lotta continua, ma Lotta continua era il giornale più letto in Italia a sinistra del PCI. Lo leggevano in tantissimi, compresi quelli che venivano dalla parrocchia e che infatti dicono: noi eravamo quelli di Don Camillo, ma poi al liceo, quando si votava per l’occupazione o meno, la manifestazione o meno, contro il golpe in Cile, votavano insieme a quelli della FGCI (Federazione Giovanile Comunista Italiana).

Defilato non solo dalla politica, ma anche un profilo bassissimo circa le condizioni degli omosessuali, nonostante la natura dei suoi romanzi – in cui era sempre un tema centrale.
Lui era defilato perfino sulle lotte civili degli omosessuali. Bologna era diversa da Correggio. Evidentemente uno si porta dentro anche il senso del pudore e i sensi di colpa con cui arriva all’età adulta, è difficile che cambi clamorosamente a trenta o quarant’anni. Tondelli aveva un modello di omosessuale chiarissimo, che era uno dei suoi autori di culto, Arbasino. Nessuno poteva dubitare del fatto che Arbasino fosse gay. Ma non ha mai fatto coming out, o partecipato a attività del Fuori! o dell’Arcigay. Era un omosessuale che rivendicava il fatto di poter apparire omosessuale, ma senza farne una bandiera, e nient’altro. Tra le testimonianze raccolte c’è quella di Tony Farinelli, il vecchio Tony, il bassista con cui spesso suono. Era un amico d’infanzia di Tondelli, era il suo vicino di casa più piccolo. Mi ha raccontato delle cose preziosissime, tra cui come Tondelli reagiva alle voci malevole dei pettegoli a Correggio.

Profilo basso quindi, ma attento ed acuto osservatore. Soprattutto con riguardo al fenomeno dell’eroina. Il racconto Postoristoro è di una crudezza lancinante. Sceglie di entrare nel dettaglio tetro, in maniera maniacale e – a tratti, se letto superficialmente – sadica. Mi è stato più volte chiesto – a me, grande appassionato: ma è davvero necessario descrivere in questo modo così radicale? Serve davvero questa durezza?
Quanti libri c’erano che raccontavano e descrivevano la tragedia dell’eroina in Italia? In una fase in cui gli eroinomani passano – già nel ’76 – da 0 a 30 mila. E nell’80, a 100 mila. Nell’85 saranno addirittura 300 mila in Italia. Scrivere di eroina era necessario in un mondo in cui i ragazzi morivano nei bagni delle stazioni e nessuno ne parlava. Mi sarebbe sembrato più innaturale non scriverne. Gli anni ‘70 italiani erano questo.

Ci stupiamo che i gruppi di giovani maschi, disagiati, e esclusi dalla società in cui si sono trasferiti per lavorare. siano più inclini all’illegalità? Non lo so. Negli anni ’70 gli stupri, le rapine, i rapimenti, erano a livelli ad oggi inimmaginabili. Lui stava raccontando qualcosa che poteva essere successo alla sua compagna con cui andava in corriera a scuola e non avrebbe inventato proprio niente. Sono storie di ragazzi come lui. E soltanto un ragazzo di buon cuore può fare un calcolo del genere, che se non viene dall’intelligenza, viene proprio dal sentirsi chiamato a raccontare i diseredati.

Magari c’è molto del ragazzo di parrocchia, forse c’è uno spirito francescano, probabilmente c’è lo spirito di chi leggeva le lettere di Lotta Continua e che aveva la caratteristica di raccontare storie molto crude di quegli anni. “Il mio ragazzo è tentato dalla lotta armata”. Oppure, “Ho iniziato a farmi delle ranze di roba il sabato sera coi miei amici, promettendo che sarebbe stato solo il sabato sera, poi non ci faceva più un cazzo, siamo passati a fumarla, poi non ci faceva un cazzo, mo’ ci stiamo sotto con le spade”. Stava raccontando le storie tra cui era cresciuto. È la coda degli anni ’70 raccontata nel 1980, in sostanza, oltre a temi che invece sono perfettamente attuali perché fuori dal tempo. Gli studenti fuori sede, lo stato sospeso dell’universitario nella società, il pendolarismo dei ragazzi di provincia.

Tondelli, per alcuni, sopravvalutato.
Più che sopravvalutato, c’è chi critica un presunto culto per Tondelli, evidenziandone imperfezioni e limiti. È chiaro che Pao Pao non ha la stessa urgenza di Altri libertini; è chiaro che Rimini va molto nella direzione del neo-minimalismo di quegli anni che lui stesso contemporaneamente recensiva; è altrettanto chiaro che con Camere separate prende ancora un’altra direzione. Quando penso alla massima di Hemingway, “se volete scrivere un buon romanzo è facile, basta mettersi alla macchina da scrivere e sanguinare”, in relazione a Camere separate trovo che sia stata una prova veramente estrema. Con ciò non voglio essere acritico e dire che ha scritto solo capolavori, o che è stato tutto importantissimo, che io ho capito, che va letto solo in prospettiva cattolica o solo in prospettiva dei diritti civili o solo in prospettiva del progressismo della società italiana.

Ognuno si tenga il Tondelli che vuole. Però volevo mettere dei punti fermi circa il fatto che ha vissuto in maniera problematica la sua omosessualità in anni in cui vivere l’omosessualità era più problematico di oggi. Che si è rivolto contemporaneamente a esperienze cattoliche e a esperienze a sinistra del PCI, almeno come interessi culturali, e non ci vedo niente di strano, perché io andavo agli scout cattolici e facevo volantinaggio per democrazia proletaria e nessuno mi sgridava per questo, tranne mia nonna andreottiana. Ognuno si tenga il Tondelli che vuole, per quel che mi riguarda è troppo facile essere ingenerosi con uno che se n’è andato a 36 anni, e ha avuto solo 10 anni di tempo per dire la sua.