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“Pensavo fosse amore invece era Matteo Renzi”, il nuovo libro di Mario Natangelo

Una caricatura riuscita del trentenne italiano tra Troisi e la satira politica. Una nuova graphic novel per il vignettista, in libreria dal 22 ottobre
Mario Natangelo, "Pensavo fosse amore invece era Matteo Renzi"

Mario Natangelo, "Pensavo fosse amore invece era Matteo Renzi"

Mario Natangelo viene da Napoli. Oggi vive a Roma e fa il vignettista per Il Fatto Quotidiano. Parla un misto di napoletano e romanesco; ha la battuta pronta e la risata contagiosa. Per la Magic Press ha scritto il suo nuovo libro, Pensavo fosse amore invece era Matteo Renzi – scherzando, ci ha confessato che se si fosse trattato di un film avrebbe voluto la musica di Pino Daniele come colonna sonora.
Chi conosce poco Natangelo potrebbe pensare che in questo graphic novel ci sia solo politica, invece Renzi e il PD sono solo due spunti da cui Natangelo parte per raccontare un po’ di se stesso – «la storia d’amore», confessa, «è vera. Purtroppo poi è finita male».
La prima cosa che gli abbiamo chiesto è stata perché abbia scelto questo titolo, che è una così chiara citazione al film di Massimo Troisi – in quel caso l’amore si scopriva essere un calesse, non il segretario del Partito Democratico. «All’inizio», ci ha detto «non era questo. Era ‘Ogni santo giorno’. Però dopo un po’ Luca [Ippoliti, di Magic Press] mi ha contattato e mi ha fatto notare che già Zerocalcare aveva scritto Ogni maledetto lunedì».

È per questo allora che sembri avercela con Zerocalcare.
No, quella viene da un’altra cosa, figurati. E poi non ce l’ho con lui: ha dato aria al mercato del fumetto. Il problema è che ogni volta che fai una cosa ti dicono che sei qualcun altro. Prima di Zerocalcare chi c’era? Pazienza? Aaah, Pazienza, il Pazienza dei poveri! Poi fai le vignette: Vauretto, Vaurino, Vauruccio… arriva Zerocalcare e anche con Zerocalcare. Per esempio, la storia del reportage: io non lo sapevo che Zerocalcare fosse in Siria, e mi sono trovato ad uscire con il mio pezzo sull’Ungheria mentre lui pubblicava il suo reportage sulla Siria. E sono arrivati i commenti tipo “Perché fai come lui?”. Ma non è vero!

Torniamo al titolo. Non suona così male, dopotutto.
In effetti questo titolo mi rispecchia molto di più. Mentre con il precedente si faceva molto riferimento al lavoro di ogni giorno, in questo caso ci si concentra di più sul personaggio.

“Pensavo fosse amore invece era Matteo Renzi”, edizioni Magic Press

E Renzi in questa storia fa solo da contorno; anzi, è più uno spunto.
La gente vuole ridere di Renzi. Ma c’è anche altro nella vita di ogni giorno. E nel caso specifico c’è questa storia. Pensandoci bene Renzi nel libro non è nemmeno politico. Faccio subito vedere una sua fotografia, all’inizio, proprio per dire che il mio Renzi è una caricatura, che non ha niente a che fare con quello politico. Il mio è un antagonista che prova a prendersi tutto il possibile.

Diresti che, in questo senso, Renzi – il tuo Renzi – finisce per rappresentarti? Magari nella tua parte più nascosta.
Assolutamente. È narcisista, egocentrico, ambizioso… è rottamatore!

In Pensavo fosse amore invece era Matteo Renzi c’è anche tanto cinema. A cominciare proprio dal titolo e dalla citazione a Massimo Troisi. Ma c’è anche dell’altro. Che cosa ci puoi dire della storia?
Tante scene sono ricalcate su quelle dei film di Troisi. Per esempio la litigata che fanno a letto Nat e la sua fidanzata è ripresa da quella scena fantastica di Napoli – Cesena: lei prova a dirgli che lo ama, ma lui le risponde che anche l’Europa dice che l’Italia sta in crisi. Oppure la scena in cui sono da soli e stanno per parlare, e lei gli dice “se devo essere sincera…” e lui la ferma e le dice “no! Perché? Tanto ci siamo solo io e te”. Mi è venuto spontaneo. Ero un po’ incerto, ma volevo proprio questo. Quindi sì, è permeato nel modo più assoluto da Troisi. Con la storia politica, invece, i riferimenti sono diversi, specie dopo Charlie Hebdo. Qui al giornale [Il Fatto Quotidiano] l’abbiamo vissuta abbastanza sulla nostra pelle… e infatti, quando abbiamo deciso di pubblicare Charlie Hebdo e qui si era riempito di scorta, di polizia, di allarmi, telecamere, codici, c’era spavento. E questo ritorna. È veramente una cosa che ti fa riflettere. Ed è Renzi che incarna questa paura. E nemmeno a farlo apposta io e lei avevamo smesso di sentirci in quel periodo, ma quando successe questa cosa lei mi aveva ricercato.

Da “Pensavo fosse amore invece era Matteo Renzi” di Mario Natangelo

A proposito di Charlie Hebdo, parliamo per un momento di satira. In Italia secondo te se ne fa ancora? E soprattutto c’è una cultura – del lettore più che degli addetti ai lavori – alla satira?
Alla fine, quando parliamo di satira dobbiamo capire innanzitutto di che cosa stiamo parlando. Se stiamo parlando di satira in tv è una cosa, se parliamo di scritti satirici, abbiamo ancora personaggi che valgono… Ora in Italia sembra che il massimo della satira sia Spinoza. Cioè le battute. La gente vuole ridere. Appena provi a fare qualcosa di diverso, devi mettere in conto che a qualcuno non piacerà. Ed è giusto. Il problema è quando piace a tutti. Io, nello specifico, sono fortunato perché lavoro su un giornale. Una volta che mi hanno dato voce, ho provato a fare una cosa mia, personale… Io di politica non mi interesso e infatti nelle mie vignette non ci sono analisi politiche.

Quindi la tua non è satira?
Hai presente i Muppets? Ecco, io ho un gruppo di personaggi che si muovono su uno scenario e decido io che cosa fargli fare. Ed è quello che ci ha convinto quando abbiamo fatto i primi ragionamenti sul libro: parlare di politica in un contesto non-politico. Ellekappa me lo dice sempre: “Sai come la penso sul tuo giornale, ma quando vedo le tue vignette, che hanno i loro personaggi, un’aria così particolare, penso che siano umani. Insomma, tu hai una tua voce e i tuoi lettori ti riconoscono per questo.”

Torniamo al tuo libro. Volendo centrare la trama e i temi che tratti, come li etichetteresti?
Non so se sia chiaro, se sono riuscito a farlo passare, ma per me questo libro è una grande parodia del trentenne. L’amore, lo psicologo… Mi piace molto la parte iniziale, in cui va dal dottore perché ha problemi al pisello. E lì c’è una citazione a Gipi, che io adoro, e a Una vita disegnata male. La cosa più divertente del libro è questa idea dell’autore che si mette a nudo e che si vergogna. Mi sembrava giusto aprire anche io il libro in questo modo, cioè confessando di vergognarmi per quello che stavo per raccontare.

Per chiudere: tu sei un vignettista, un fumettista o semplicemente un elettore scontento del PD?
Innanzitutto sono vignettista. Ci tengo perché è quello che so fare. Di fatto ci campo. A volte mi viene peggio, a volte meglio… ma è quello che so fare. Nel caso del libro, ho cercato di trovare una struttura adatta a me. Mi è servito molto più tempo. Perché è come se il vignettista fosse il centrometrista e il fumettista il maratoneta. La vignetta non è una cosa sminuente, anzi. Riuscire con un solo disegno a dire tante cose quante un altro riesce a dirne in una tavola o due e soprattutto poi quando vuoi vuol dire che hai un’arma più. È una cosa che per me è un vantaggio.

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