«Non chiamateli scarabocchi». Intervista al writer Spice, pioniere della scena milanese | Rolling Stone Italia
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«Non chiamateli scarabocchi». Intervista al writer Spice, pioniere della scena milanese

Perché rischiare tutto solo per tracciare il proprio nome su un pezzo di cemento o di metallo? Ce lo spiega uno dei veterani del graffitismo italiano

«Non chiamateli scarabocchi». Intervista al writer Spice, pioniere della scena milanese

Foto per gentile concessione di Spice

«Il concetto resta estraneo per te se non hai il codice», rappava Kaos One nel lontano 1996 in riferimento al mondo del writing. Valeva allora e vale ancora oggi: se molte altre subculture e forme artistiche nate dal basso sono state ampiamente sdoganate, il mondo dei graffiti – quello vero, non le opere pop di Banksy o di Keith Haring – resta in larga parte misconosciuto. Probabilmente la causa è da ricercare in un mix di fattori. Il fatto che la maggior parte degli esponenti più famosi siano per tradizione molto schivi; l’antipatia istintiva di chi non trova differenze tra la scritta sgangherata «Buon compleanno cucciola!!!» e una tag dal lettering elaborato; un vocabolario settoriale che spesso risulta ostico ai profani. Nonostante le difficoltà, c’è chi non rinuncia all’idea di raccontare e divulgare una disciplina nata nel Bronx degli anni ’70 e da allora approdata nelle strade, e nelle gallerie d’arte, di tutto il mondo.

Tra loro c’è Spice, veterano milanese e dal 1997 tra i membri fondatori della crew Lordz of Vetra. Il suo primo libro, appena uscito, appartiene alla collana Style Diary, in cui ciascun volume raccoglierà gli sketch preparatori (o le bozze, come si dice in gergo) di un diverso artista. L’idea iniziale era di concepire un’opera unicamente illustrata, ma quella che doveva essere una semplice prefazione si è trasformata in un flusso di coscienza che prosegue per tutte le pagine, e che ci regala uno scorcio inedito del processo creativo di un writer. «Abbiamo cercato di usare la terminologia specifica, ma usando un linguaggio il più possibile largo e comprensibile» spiega il diretto interessato, che vorrebbe parlare a tutti coloro che, almeno una volta nella vita, si sono fermati ad ammirare un disegno o una scritta su un muro. «Il writing è tante cose insieme: è il ragazzo armato di pennarello che fa solo tag, è lo street artist che entra di nascosto in una fabbrica abbandonata e disegna un ragno in prospettiva in un angolo, è l’artista specializzato in muralismo» osserva. «A volte è un ambiente in cui si sta stretti e a volte si sgomita, ogni tanto capita di sentire qualcuno che si lamenta di quello di fianco, ma credo ci sia spazio per tutti».

Il suo Style Diary è un lavoro molto personale. «Non contiene la ricetta del graffito perfetto, per intenderci!» ride Spice. «Ho cercato di raccontare esperienze e sensazioni che possono essere comuni anche a molti altri colleghi. Le bozze sono il lato più privato di un’arte che nasce per essere molto pubblica». Prima di dipingere direttamente su un muro o su un treno, i writer hanno spesso l’abitudine di tracciare un bozzetto su carta, in cui elaborano forme e linee. «Ne ho sempre fatte un sacco fin dall’inizio, anche se non ho mai avuto il classico black book, più che altro perché sono molto disordinato» aggiunge riferendosi al classico quaderno-feticcio, in genere con copertina nera rigida, in cui i writer conservano le bozze più belle e pregiate in una sorta di portfolio. La folgorazione avviene negli anni ’90 all’istituto di grafica pubblicitaria milanese Caterina da Siena, una scuola che hanno frequentato moltissime firme celebri del settore – letteralmente e in senso figurato. «Andavo in giro per Milano e vedevo i graffiti in metropolitana, poi arrivavo in classe e vedevo le stesse scritte sugli zaini dei miei compagni. Ho cominciato ad associare i nomi alle facce, e per curiosità ho voluto provare anch’io» racconta.

Tutte le foto per gentile concessione di Spice

Era un periodo di grande fermento per il writing a Milano. Ogni mattina la città si svegliava con un’invasione disordinata di colori e forme che marcava il passaggio delle varie crew: decifrando quei bizzarri geroglifici che comparivano a ciclo continuo su quasi ogni superficie disponibile, era possibile ricostruirne i movimenti notturni, le nuove alleanze e gli scazzi in corso. In gergo questo abbellimento urbano non richiesto (quantomeno non richiesto dal Comune, ma adorato da molti dei suoi cittadini più giovani) si definisce «bombing», ed è un fenomeno difficile da capire e apprezzare per chi non è cresciuto all’interno di questa cultura, riconosce Spice. «È respingente: qualcosa che comunica disagio, casino. Spesso la motivazione che spinge un bomber è distruttiva, non vuole generare qualcosa di gradevole. Io che ho un occhio tecnico riesco a trovare del bello anche in ciò che vedo per strada, ma mi incuriosisce anche il “bruttismo”, come lo chiama Dee’mo» ride, citando un altro pioniere dell’hip hop, oggi art director molto richiesto. Già, perché a furia di distruggere parecchi writer hanno trovato una via per creare, e con risultati notevoli. In primis molti compagni di crew dello stesso Spice: tra i membri di spicco dei Lordz of Vetra è doveroso citare Lord Bean (oggi noto come il calligrafo di fama mondiale Luca Barcellona), Shampo (alias Sha Ribeiro, famoso fotografo che ha spesso scattato anche per Rolling Stone), Mind (creatore di Mindoner, apprezzatissimo brand di gioielleria handmade). Oltre a tanti altri creativi come il leggendario bomber Dumbo, il produttore Fritz da Cat, il dj Rash e il rapper Egreen, uno degli acquisti più recenti del collettivo.

La passione dei Lordz of Vetra però sono sempre stati i treni, soprattutto. «Per noi scrivere per la città era il lato B della faccenda: ci capitava mentre stavamo andando o tornando dai depositi ferroviari. Non era qualcosa di pianificato» ricorda Spice. «Fare i treni, invece, richiede metodo: pianificare la logistica, accollarsi il rischio… Ci voleva tanto studio». Far girare il proprio nome su un treno, e quindi metaforicamente e letteralmente farlo arrivare il più lontano possibile, è il traguardo più agognato da moltissimi writer. Con tanto di sfottò ai potenziali rivali: è rimasta negli annali la volta che una crew della remota provincia lombarda «spedì» nel capoluogo una carrozza che recava a caratteri cubitali il messaggio «FUCK MILANO», innescando una serie di reazioni a catena e messaggi incrociati che viaggiarono su rotaia per mesi. «C’era un po’ di campanilismo, ma era normale, eravamo ragazzini. Ognuno dipingeva nel capolinea più vicino a casa: noi di Milano, però, come capolinea non avevamo una stazioncina in mezzo al nulla, ma quella di Cadorna, in pieno centro. Il che era un gran casino, logisticamente parlando!» ride. «Quindi dovevamo spostarci nei capolinea degli altri, e questo creava qualche rivalità. Ma era una rivalità sana, perché metteva in circolo un sacco di creatività».

Oggi Spice è un uomo adulto e ha una famiglia, quindi ha smesso con i pezzi illegali. Continua però a comprendere bene la motivazione che spinge chi rischia tutto solo per tracciare il proprio nome su un pezzo di cemento o di metallo, vedi il caso della crew abruzzese-marchigiana che di recente è stata arrestata ad Ahmedaba, in India, per aver dipinto su un convoglio locale. «I writer non amano solo fare graffiti, ma anche collezionare foto delle loro opere (belle o brutte che siano) sui treni e sui muri di tutto il mondo. E più sono posti strani e difficili, più sono felici. Quindi, per arrivare dove nessun altro aveva ancora dipinto, probabilmente hanno deciso di andare in India, e non nella capitale, ma in una città super sconosciuta». Spedizioni del genere le ha fatte anche lui, in gioventù. «La bandierina più lontana l’ho piantata nella metropolitana di New York. Siamo partiti con quell’obbiettivo in testa, tant’è che ci eravamo addirittura portati gli spray dall’Italia!» scoppia a ridere. «Era il 1999, i controlli in aeroporto erano molto più blandi. Paradossalmente abbiamo avuto più problemi quando da turisti siamo andati a visitare Liberty Island e passando sotto il metal detector ci hanno trovato le bombole nello zaino. Ce le hanno restituite, ma ci hanno fatto tallonare per tutta la visita da una persona della security, per essere sicuri che non avremmo taggato sulla Statua della Libertà». Cosa che comunque non avrebbero mai fatto: i veri writer non vandalizzano mai i monumenti.

La scena del writing a Milano è cambiata radicalmente attorno al 2015: con Expo alle porte, la repressione è stata massiccia. «Ha imposto ai writer attivi all’epoca di smettere di scrivere sui muri o di fare i treni, o addirittura di cambiare stile e nome per non essere riconosciuti. Ai tempi è stata istituita una vandal squad che ha schedato i pezzi, e in parte è riuscita ad associare i nomi alle tag. Quindi, in linea teorica, se beccano i tuoi graffiti in giro dovrebbero venire a citofonarti a casa e darti una multa» spiega Spice. Inoltre la pulizia delle carrozze è molto più rapida ed efficiente, e i gestori di ferrovie e le metropolitane tende a evitare di mandare in giro treni dipinti, per evitare l’effetto emulazione. Le regole del gioco, insomma, sono state minate alla base. «C’è ancora tanta gente che dipinge anche illegalmente, insomma, ma non è più un movimento percepibile da chi gira per la città» conclude Spice. «Noi nerd della materia lo capiamo perché ogni giorno vengono pubblicate sui social un sacco di foto di pezzi nuovi».

A distanza di trent’anni da quando ha iniziato a dipingere, e a 25 dalla fondazione dei Lordz of Vetra, Spice è ancora orgogliosissimo dei suoi trascorsi. «Incontrare il writing ti cambia per sempre come persona. È un po’ come chi fa uno sport in maniera agonistica: ti assorbe completamente e pone le basi per una mentalità per cui, se credi in qualcosa e la pratichi con costanza, raggiungi degli obbiettivi importanti» commenta. Gli capita di incontrare ragazzi che vorrebbero seguire le sue orme. Riconosce che ai suoi tempi aveva intrapreso un percorso non privo di rischi, ma «non posso certo dissuaderli o reprimerli, dati i miei trascorsi. Ho optato per passare direttamente alla fase successiva, quella delle raccomandazioni: “Se vuoi andare a scrivere sui muri e sui treni, stai attento a questo e quest’altro…”» sorride. «In generale consiglierei di pensare soprattutto a divertirsi, di essere pionieri a modo loro». Il libro vuole essere anche un’ispirazione per le nuove generazioni, dice. «La speranza è che ne nascano tanti altri, e che arrivino fuori dalla bolla del writing. Sarebbe bello fare capire alla gente che quelli che facciamo non sono soltanto scarabocchi».

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