Nico "Löpez" Bruchi: «L'arte è sempre necessaria, ma il coronavirus cambierà tutto» | Rolling Stone Italia
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Nico “Löpez” Bruchi: «L’arte è sempre necessaria, ma il coronavirus cambierà tutto»

L’artista di Volterra racconta come trasformerà le scuole con la street art, l’impatto della pandemia sui diversi settori della cultura e perché l’arte non verrà mai messa in secondo piano

Nico “Löpez” Bruchi: «L’arte è sempre necessaria, ma il coronavirus cambierà tutto»

Foto: Francesco Tommasi

Nico Bruchi sono anni che si firma LÖPEZ e le sue opere sono sui muri di mezzo mondo. Ha la fissa per ogni sorta di internato, infatti ha lavorato in carcere e nei reparti psichiatrici. D’altronde è di Volterra, città che non solo ha ospitato per decenni uno dei più importanti Ospedali Psichiatrici d’Italia, ma che tra quelle mura ha visto nascere il lavoro dell’artista internato per eccellenza, Oreste Fernando Nannetti aka N.O.F.4, uno street artist ante litteram che per sopravvivere a quel lager faceva graffiti sulle pareti del manicomio.

Nico Bruchi, tra le tante cose, è alla guida di Elektro Domestic Force, crew creativa che come stimolo usa i luoghi, visitati e vissuti, la loro storia, le persone che li abitano o li hanno abitati, le esperienze che esprimono (a partire da quelli della loro terra, proprio come l’ex Manicomio di Volterra o le ex officine Piaggio, che conservano ancora oggi i loro storici graffiti). Lo abbiamo incontrato perché proprio con il suo collettivo Nico Bruchi ha vinto un bando grazie al quale potrà affrontare la prima forma, in un certo senso, di “internamento”: quasi 300 scuole di Roma potranno usufruire di loro per ridare vita alle pareti degli istituti. Ed ecco che la street art, che per antonomasia si prende gioco delle autorità, adesso interviene in particolare nelle periferie per combattere l’abbandono scolastico, perché saranno gli stessi giovani “internati” a dare una mano. «Chiudere una persona in una stanza, in una situazione di degrado e bruttezza – dice Nico – non può essere una soluzione. Non ho la pretesa di risolvere le situazioni degli internati, ma se provochi un interesse, un ascolto, in qualche modo provochi un Natale»

Natale? Che vuol dire?
Mi spiego: il Natale è una conseguenza, un ciclo di imitazioni. Noi verso ottobre cominciamo a vedere i primi matti che mettono fuori alberi, le prime palle colorate. Allora ecco che anche noi ci ricordiamo di dover fare qualcosa e si crea un effetto domino di luci e decorazioni. Io con questi ragazzi vorrei semplicemente innescare un meccanismo, perché capiscano che possono andare avanti da soli per tutta la vita.

Come funziona?
Coinvolgeremo studenti nella progettazione di murales per le facciate e gli interni degli edifici scolastici. Nel tempo abbiamo sviluppato un metodo molto stimolante per i ragazzi, un percorso durante il quale inizialmente gli studenti assumono, in un certo senso, il ruolo di detective, studiano la circostanza e l’ambiente, si fanno domande, fanno ricerche e poi arrivano a tirare giù delle ipotesi scritte, non disegnate. Alla fine di questa loro indagine, noi traduciamo i risultati in segni, stando attenti a trovare anche stilisticamente delle immagini che possano funzionare sia per un pubblico giovane, che per uno più adulto e le dipingiamo sulle pareti. È un aspetto del mio lavoro che adoro, perché mi porta a conoscere un sacco di giovani, a confrontarmi con ambienti difficilissimi e mi permette di portare un piccolo contributo di curatela a questi ambienti e di conseguenza alla crescita degli studenti che li vivono nel quotidiano.

Posso fare il Re Erode della situazione? Io mi scoccio a lavorare con i giovanissimi.
Io no. E poi è solo una piccolissima parte del mio lavoro, non è una cosa quotidiana e non faccio il professore, ma cerco di vivere i ragazzi per quello che sono: ragazzi. È sicuramente una sfida coinvolgerli, ma il fatto che non debba spiegargli perché meno più meno fa più, lo rende più semplice. Spesso sono molto capaci sia di creare fantasticherie inarrivabili, sia pensieri razionali e logico-concettuali raffinati.

E allora giro la domanda: e loro non si scocciano a lavorare con l’ennesimo adulto?
Senti, diciamolo pure, io non è che dentro sia molto più grande di loro. E poi credo che dopo un periodo di squilibrio come questo ci sarà il bisogno di dare loro stimoli nuovi. Soprattutto per chi a casa non ha una vita facile, essere privati dell’ambiente scolastico, di quel tipo di socialità, di confronto, può essere un bel problema. Guardando più in generale, parliamo di relazioni fondamentali della vita, quella tra maestro e discepolo, quella tra compagni di classe, di crescita, di vita, di coinvolgimento. Senza coinvolgimento, senza curiosità, non ci sarà mai grande crescita. Quindi l’obiettivo dovrebbe essere lavorare “per” il coinvolgimento e “con” i ragazzi.

L’architettura scolastica degli ultimi decenni è terribile. Davvero le scuole sembrano carceri e nessuno capisce quanto è importante essere circondati dal bello.
Verissimo! Anche io non riesco a spiegarmelo. I motivi poi sono sempre i soliti: disinteresse nei valori sociali e volontà di economizzare, scarse capacità e conseguente ignoranza empatica. Comunque ci sono anche scuole belle, te l’assicuro. 
Io ho fatto l’Istituto Statale D’Arte di Volterra che è una meraviglia di luogo. Anche se la costruzione di questa è avvenuta (come per molte altre) per conto di uno dei più grandi fascisti della storia.

Hai paura che l’arte sia messa in secondo piano rispetto ad altre urgenze, quando dovremo rimetterci in piedi dopo questo periodo?
Assolutamente no. L’arte è sempre strettamente necessaria, anche se ad insaputa di molti. Ad alcuni andrà meglio, ad altri andrà peggio. Non sarà tutto rose e fiori, ma questo è legato agli aspetti economici, non a quelli artistici.

Sicuramente sarà diverso.
Alcuni settori artistici subiranno dei grandi cambiamenti, tanti artisti dovranno reinventarsi, cambiare abitudini e probabilmente alcuni anche patire la fame, ma non sono condizioni nuove al mondo dell’arte. Mi preoccupano molto di più i settori artistici legati all’intrattenimento (teatri e cinema) e ai lavoratori dello spettacolo. Purtroppo molte compagnie rischieranno di chiudere le attività, tutti i tecnici che in questo momento sono a casa con i calendari azzerati fino al 2021… Ecco queste sono secondo me situazioni più a rischio, ma io confido che riusciremo, con l’aiuto di varie realtà economiche e con il supporto tra artisti a risolvere anche questi deficit.

Quale settore si reinventerà di più?
Non lo so… Forse quello della pubblicità. Tutte le aziende dovranno reinventarsi e quindi rinnovarsi anche nella loro comunicazione.

Quale resterà seduto sugli allori, sempre nell’ambito creativo?
Sai, esistono una moltitudini di mondi creativi, persino nel singolo settore dell’arte visiva. Quelli più grandi, quelli inarrivabili, credo che non subiranno grandi cambiamenti. Il mercato dell’arte ai massimi livelli è per ricchi sfondati, astuti investitori, che non hanno problemi a rimanere a galla. Nei mondi più pop e nei rispettivi mercati personali è difficile prevedere che cosa accadrà, ma se mi permetti di essere sbrigativo ti dico che chi ha le spalle grosse resterà in piedi e chi no facilmente dovrà sapersi rinnovare o cambiare mestiere. I mondi emergenti sono imprevedibili per natura, potrebbero andare a fondo come far nascere correnti pazzesche.

E tu?
Per quanto mi riguarda sono sempre pronto a reinventarmi e a cambiare, vedo questo momento come una grande occasione di cambiamento e questo non deve per forza essere negativo. Dopo aver visto una mostra intitolata Arte e Medicina nel 2010 al Mori Art Museum di Tokyo, dove si evidenziava quanto l’arte sia necessaria per la sanità, ho compreso molto bene che dietro ogni cosa (nel 90% dei settori) c’è sempre qualche artista, che disegna modelli, che pensa soluzioni tecniche, che reinventa. Ogni cosa.

Sento di artisti che dicono che questo momento sia di ispirazione e altri che dicono di non riuscire a fare niente. Tu di quale categoria fai parte?
Sto con i primi. Per me tutto può essere ispirazione, dipende con quale predisposizione guardi le cose. Io vivo sempre con molta intenzione ed intensità, questo è sicuramente faticoso, ma per me è essenziale per poi riuscire a tradurre e trascrivere emozioni o intuizioni con precisione espressiva. 

Ti manca la strada?
No. Tuttavia mi mancano certi sentieri, certi percorsi.

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