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Luca Mercalli: «Il pianeta si salva con meno rifiuti e meno figli»

Il presidente della Società Meteorologica Italiana denuncia le cattive abitudini: «Un clima che si riscalda così tanto e così in fretta ci può far secchi tutti quanti, stop»

Non c’è più tempo, dobbiamo correre ai ripari prima che sia troppo tardi. Ma lo è già, tardi. Per questo Luca Mercalli controlla spesso l’orologio, «perché il tempo inizia a mancare per comprendere che quella climatica e ambientale è un’emergenza di cui dobbiamo preoccuparci e che ci impone soprattutto di agire».

Il tempo e l’ambiente sono infatti le due colonne portanti su cui si regge il festival Il richiamo della foresta organizzato dai ragazzi dell’associazione Gli urogalli e dallo scrittore Paolo Cognetti (Il ragazzo selvatico, Le otto montagne, Senza mai arrivare in cima) nel bosco di larici di Estoul, in Val d’Ayas, che comincia oggi (fino al 21 luglio) sul prato del Plan dell’Orgionot.
Definirlo un festival di montagna potrebbe essere riduttivo, quantomeno perché c’è un’idea stereotipata dei festival di montagna. Qui invece l’arte, i libri, il teatro e la musica entrano in connessione con la dimensione della montagna aprendo così nuove traiettorie, nuovi sentieri nelle terre alte. Al festival si discute di migranti, di rifugiati, delle storie di chi passa e di chi resta. Si parla delle avventure dei due montanari Arturo e Oreste Squinobal, guide alpine di Gressoney. Le sculture ricavate da legni tarlati, consunti, di Bobo Pernettaz, lui li chiama legni esausti, diventano tra i monti di Estoul l’arca di Noè su cui imbarcarsi per sfuggire al diluvio universale. Una barca musicale sonorizzata con cajon, conga, berimbau, violino, organetto, chitarre, armonica e canti.

L’ex CCCP e Consorzio Suonatori Indipendenti, Massimo Zamboni, il 20 luglio, porta nel bosco i sogni e i sintomi di un mondo che brucia, il mondo adesso. Un’onda improvvisa di calore che spaventa Luca Mercalli. Il meteorologo e climatologo col papillon, presidente della Società Meteorologica Italiana, si occupa di cambiamento climatico, denunciando le nostre cattive abitudini. Al festival porterà il suo punto di vista su clima ed ecologia.

Il venerdì è il giorno della settimana in cui ci si mobilita per combattere e denunciare le cause del cambiamento climatico. Pensi che il venerdì sia diventato il giorno migliore della settimana?
Tutti i giorni sono buoni per salvare il clima e l’umanità dal collasso ambientale. L’emergenza è adesso. Siamo un pezzo di natura, lo dice la scienza ecologica, e se la natura si degrada anche noi facciamo la stessa fine. Partiamo da dove posiamo i nostri piedi. Il riscaldamento globale sta inducendo fenomeni meteorologici estremi, alluvioni, siccità, ritiro dei ghiacciai e aumento dei livelli marini, minaccia il nostro presente e il nostro futuro.

Tu vivi in montagna, dove stai provando a sperimentare un nuovo stile di vita più rispettoso dell’ambiente. Come ci riesci?
L’ho sempre fatto anche a quota più bassa, ma ora ho voluto alzare l’asticella delle prestazioni ambientali: sostenibilità, autosufficienza energetica e in parte alimentare con agricoltura locale. Sono pratiche che aiutano a risparmiare energia evitando di aggravare l’inquinamento atmosferico o per non sprecare inutilmente le risorse naturali che scarseggiano.

Perché clima e futuro sono temi inscindibili?
Perché un clima che si riscalda così tanto e così in fretta ci può far secchi tutti quanti, stop.

Mettersi a fare l’orto in campagna, in montagna o su un terreno in collina, o anche in qualche angolo di una grande città, può migliorare la salute della Terra?
Migliora prima di tutto la tua, di salute: attività fisica, zero pesticidi, alimenti freschi pieni di proprietà nutrizionali intatte. E poi, non sottovalutiamo gli altri benefici che ne derivano: vuol dire meno imballaggi e quindi meno rifiuti, meno viaggi e meno emissioni di co2 e inquinanti. Vero cibo a chilometro zero, filiera corta e autosufficienza.

Che cosa possiamo fare nel quotidiano per dare una mano al pianeta?
La mano la dobbiamo dare a noi stessi. La prospettiva deve essere questa. Il pianeta sul lungo periodo se la caverà, siamo noi, e i figli e nipoti, che rischiamo la batosta. Dobbiamo sprecare meno, essere più efficienti, eliminare il superfluo e garantirci il necessario, usare energie rinnovabili, usar mezzi di trasporto non inquinanti, fare meno rifiuti e meno figli, perché ormai siamo quasi otto miliardi. E tutti insieme dobbiamo cambiare la politica e l’economia: basta con la crescita infinita, che non è possibile in un mondo finito.

Luoghi come il bosco al Plan dell’Orgionot, e così molti altri boschi di montagna, perché sono una “riserva” e come tale vanno difesi?
Sono una riserva di carbonio, e abbiamo bisogno di questi serbatoi naturali per catturarne il più possibile dall’aria, e sono una riserva di biodiversità, che ci serve per garantire il funzionamento della biosfera. E poi sono una riserva di benessere per la nostra psiche sempre più abbrutita dai panorami urbani da cui siamo circondati.

L’acqua che sgorga dalle vecchie fontane di pietra in frazioni o borgate di montagna, a che cosa ti fa pensare?
A me fa venire in mente i beni comuni.

Pensi che ci sarà una fuga verso le montagne dalle città in un futuro neanche troppo lontano?
Sta già avvenendo e io ne sono testimone diretto: in pianura padana ormai ci sono quaranta gradi d’estate, e sarà sempre peggio, così ho deciso di migrare in alta quota, in una piccola borgata rurale dell’Alta Val di Susa. È la mia risposta concreta di adattamento al cambiamento climatico.

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