Laura Formenti: «A volte vorrei entrare sui social con il lanciafiamme» | Rolling Stone Italia
Drama queen

Laura Formenti: «A volte vorrei entrare sui social con il lanciafiamme»

Un monologo virale sui social, il quinto spettacolo in tour, il podcast in classifica Spotify e una battaglia contro il vittimismo: intervista a una stand-up comedian sui trampoli

Laura Formenti: «A volte vorrei entrare sui social con il lanciafiamme»

Laura Formenti

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Da un paesino di provincia è riuscita a esibirsi in tutto il mondo e non con le sue battute, come potreste pensare, ma prima ce l’hanno portata dei trampoli. In Tv non ci voleva andare e poi la partecipazione a Italia’s Got Talent le ha cambiato la vita. Sui social ha preso «veramente tanta merda» dagli hater, anche se li considera «un osservatorio umano meraviglioso» e ogni tanto, ammette, «per rispondergli ti viene in mente una battuta da cui nasce un monologo». Lei è Laura Formenti, stand-up comedian in ascesa che si trova in tour con il suo nuovo spettacolo Drama Queen, non a caso uno spaccato della vita al tempo dei social fra drammi («che fanno vendere»), nuovi trend e vittimismo prêt-à-porter, oltre a proseguire con la seconda stagione del podcast Humor Nero che, all’esordio, è finito alla decima posizione dei podcast più ascoltati su Spotify. Abbiamo provato a conoscerla meglio e ci ha anche messo in guardia dagli esordienti che, credendo basti salire sul palco e spararla grossa, finiscono nella sua personale classifica: «È arrivato quello che si scopa i morti».

La tua biografia inizia così: “Nasco a San Martino Siccomario, provincia di Pavia, un paese così piccolo che per entrare serve la tessera Arci”. Sei fuggita dalla provincia?
Devo dire la verità, quando cresci in un piccolo paese ti sembra persino strano sognare in grande. Infatti non pensavo che avrei mai lavorato come stand-up comedian. Al tempo stesso la provincia ti fa venire una certa fame, quella curiosità e quel desiderio di vedere cosa c’è oltre. Per chi fa il mio mestiere è una condizione molto stimolante, qualcosa che ti sprona a cambiare. Se invece trovi la pappa pronta potresti avere meno voglia di tirare fuori le unghie.

Anche perché oggi c’è parecchia concorrenza nella stand-up comedy.
Tantissima! Quando ho iniziato io eravamo quattro gatti. Era circa dieci anni fa e ricordo che moltissima gente mi diceva “con questa attività figurati se ci campi”. Mi consigliavano di scrivere cose che piacessero di più alla gente, un po’ più pop. E ricordo di aver discusso con quelle persone. Per fortuna ho un coautore con cui scrivo, che si chiama Giuseppe Della Misericordia, a cui devo parecchio per quanto ha creduto che potessi diventare una comica.

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Che cosa ti ha spinto a non mollare?
Il mio grandissimo amore per la stand-up e il fare comicità inserendo anche dei contenuti. Quando cercavano di farmi desistere rispondevo: “Piuttosto resto nei Circoli Arci tutta la vita”. Perché all’epoca, effettivamente, facevo quelli e venivano al massimo dieci persone.

C’è un artista che ha rappresentato una fonte di ispirazione?
Quando vidi per la prima volta Sarah Silverman e ascoltai alcune sue battute mi dissi, tra me e me: “Ammazza questa quanto osa”. Però all’inizio è come se avessi avuto un piccolo shock. Non che mi abbia scandalizzato, ma ho proprio pensato: wow. Anche perché diceva cose fortissime. Poi col tempo il mio orecchio si è abituato a quel tipo di comicità e ha cominciato a piacermi parecchio, sia per le modalità che per i contenuti.

La percezione è molto cambiata, ma c’è ancora chi si stupisce se è una donna a fare certe battute e non un uomo?
Sì, ancora c’è questa percezione. Non a caso cerco di parlare sempre meno della differenza fra l’essere una comica e l’essere un comico. Perché a volte siamo noi stesse a sottolineare questa differenza. E finché continuiamo non cambierà mai niente. Insomma, sarebbe ora di finirla con la donna nel ruolo della piccola fiammiferaia.

Ti chiedono quanto è difficile fare la comica essendo donna?
Ma certo, anche perché ci sono alcune che continuano a fare battute dove passiamo per poverine. Mentre ai colleghi maschi viene chiesto se le donne fanno ridere veramente, come se fossero in una sorta di posizione di superiorità. Così anche nei commenti questa visione è molto presente. Se una donna usa una parola forte, fa un certo tipo di battuta o utilizza una parolaccia, la gente si indigna un po’ di più. Allora ti accusano di parlare come un uomo, oppure resiste il mito che le donne parlano solo di sesso o solo di cose da donne. Eppure anche gli uomini parlano di cose da uomini, però forse con le donne siamo meno abituati.

Le frasi da non dire a una single - Laura Formenti - Stand Up Comedy - Comedy Central

Sempre dalla tua biografia: “Stand-up comedian, attrice e trampoliera”. L’ultima è un’aggiunta ironica?
No no, non l’ho scritto per scherzare. Ho fatto e faccio ancora la trampoliera. Il mio è un percorso strano, che ha attraversato il teatro per ragazzi e il teatro di strada. Sono arrivata alla comicità tramite la clownerie e la prima volta che sono stata in tv era per uno sketch visual muto circa 15 anni fa. Arrivando da un paesino, e non avendo molti soldi, ho scoperto che come trampoliera pagavano bene e ho imparato. Sono in una compagnia internazionale ed è fighissimo. Mi ha permesso partecipare a spettacoli in tutto il mondo, dalla Cina alla Russia.

E invece il primo impatto con Milano, com’è stato?
Ormai vivo a Milano da 7 anni e prima ho frequentato qui l’università, ma la prima volta in auto in tangenziale mi sono detta: “Devo entrare lì dentro? Voi siete pazzi!”. Ero abituata alle stradine di campagna.

Il punto di svolta della tua carriera è nel 2021 con la partecipazione a Italia’s Got Talent o pensi che, nonostante quel talent, ce l’avresti fatta lo stesso?
Voglio pensare che ce l’avrei fatta lo stesso, ma quello è stato il segno che bisogna provare a buttarsi. Mi hanno chiamato per i provini dopo avermi visto in giro e all’inizio non volevo andare. Mi hanno dovuta convincere, perché mantenevo l’atteggiamento da stand-up comedian dura e pura che non si fa contaminare dai talent. Invece è stata una bellissima esperienza che mi ha dato la possibilità di provare ad arrivare oltre al Circolo Arci.

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E così il tuo nuovo spettacolo Drama Queen, che stai portando in giro per l’Italia, affronta il politicamente corretto e le controversie al tempo dei social.
Mi sono resa conto che, come tutti i miei spettacoli, questo è il quinto, è la fotografia del momento in cui l’ho scritto. Stavolta mi concentro sul vittimismo e io stessa, a volte, mi dipingo come una vittima. Spesso siamo noi stessi a crearci ad arte dei drammi. In più siamo in un momento storico nel quale il dramma vende, sui social o in televisione. In fondo, chi non ha un dramma di cui parlare? Quindi lo spettacolo tratta del nostro dramma quotidiano, che poi è sempre un dramma molto relativo se ci guardiamo attorno nel mondo.

Invece qual è lo stato di salute della stand-up comedy in Italia? Ormai siamo oltre al picco, non sarà che si rischia un po’ di stagnazione?
Non credo, perché in Italia siamo cinquant’anni indietro, e forse sono generosa, rispetto all’America. Adesso succede quello che succede quando si è innescata un’ondata. Ne ho parlato con dei musicisti e sembra la stessa cosa che era successa con il rap. Era stato considerato un’americanata, poi i primi hanno cominciato a farlo e piano piano hanno voluto provarci tutti. In questo calderone della stand-up ci sono i bravi, i bravissimi, i medi e dei cani tremendi. Però dalla quantità saltano fuori anche dei fenomeni.

Fra chi ha sdoganato il genere, qualche tempo fa Giorgio Montanini ci disse: “Ho fondato l’Impero di Giorgio I. Aspetto che le province (i colleghi) vengano a rendere omaggio all’Imperatore”.
Intanto ognuno è giusto che si costruisca il proprio personaggio. Non conosco personalmente Montanini, ma sono convinta che sia un comico straordinario. Fa parte del suo personaggio questo tipo di sparata. Io sono convinta che più la stand-up si allarga e più noi ricorderemo le personalità. E sicuramente chi ha più personalità sarà differenziarsi e quindi rimanere. Adesso il segreto per i giovani sarebbe quello di risultare unici, di fare o dire qualcosa che non fa o non dice nessuno. Appunto come sostenere che sei Giorgio I e che gli altri devono sucare!

Visto che hai parlato di giovani, quali sono gli errori che proprio non dovrebbe fare uno stand-up comedian alle prime armi?
Ci sono vari errori all’inizio, ma quelli classici sono due. Il primo è la predica, perché pensano che tanto nella stand-up non servano le battute. Invece prima di tutto devi far ridere. Il secondo è la volgarità gratuita, segno caratteristico di chi sta iniziando. Per esempio lo sparare a zero sulle persone con disabilità o sui luoghi comuni. Scherzando lo dico spesso: “È arrivato quello che si scopa i morti”. Credono che, siccome la stand-up è trasgressiva, basta dire che ti scopi quelli che non dovresti scoparti. Ma è segno di immaturità.

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C’è invece qualcosa su cui non sei ancora riuscita a scherzare?
Non mi sembra, per ora mi sono tolta tutte le soddisfazioni riuscendo a parlare persino di aborto e di suicidio nei miei spettacoli. Non c’è un argomento tabù. Mi sto anche togliendo un po’ di sfizi con il podcast Humor Nero, che parla di drammi in modo comico. Sono alla seconda stagione e mi piace basarmi molto su questo concetto: “La comicità è il dramma visto di spalle”. Così vado a frugare nei drammi personali o altrui per provare a farli diventare comici. Per il momento grossi drammi, oltre a quelli che ho già affrontato, non mi mancano.

La politica fa parte dei drammi o degli argomenti scontati?
Secondo me è difficile parlarne bene, perché si rischia di cadere nel luogo comune dei politici che rubano a tutti. Se te la prendi con la politica in Italia non crei dissenso, ma consenso. Perché a tutti stanno sul cazzo i politici. Per questo non è coraggioso trattarla. Allora preferisco altri argomenti divisivi, come l’aborto. Io credo che la politica faccia schifo perché noi stessi facciamo schifo. È troppo facile dire che quello ha rubato visto che la metà di noi, al suo posto, farebbero lo stesso. Sono più interessata a capire perché la metà di noi farebbe così. Preferisco concentrarmi sulla natura umana e la politica è solo una sua conseguenza.

Scusa se torno alla biografia che hai sul sito, ma in poche righe hai condensato diverse cose davvero curiose. A un certo punto scrivi: “Colleziono sui social centinaia di migliaia di follower, 34 hater e qualche stalker”. Li hai contati davvero?
(Ride) Adesso sono molti di più gli hater. Negli ultimi anni ho preso veramente tanta merda sui social. Nello stesso tempo, quando vedi mille commenti sotto i tuoi post, con la gente che si scanna, vuol dire che hai toccato qualcosa di forte. Non una cosa a caso, ma un tema che fa discutere e soprattutto che hai dato fastidio a qualcuno.

C’è mai stato un commento sui social che ti ha ferito personalmente?
Dipende da come mi sveglio quella mattina. Anche perché tutti i comici hanno dentro un Giorgio I, come Montanini. E io una Laura I che vorrebbe essere quella che gli altri vanno a omaggiare. Così ci sono giorni dove vorrei entrare sui social con il lanciafiamme e i commenti mi fanno perdere un po’ di fiducia nell’umanità. I social sono diventati lo sfogatoio di qualunque cosa. Poi ci penso meglio e mi rendo conto che è un problema loro.

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E per caso qualche commento ti ha ispirato per la stand-up?
Assolutamente sì. I social sono anche un osservatorio umano meraviglioso. Io vengo spesso sgridata da quelli che lavorano con me perché me li leggo tutti i commenti e spesso rispondo. Lo trovo interessante, perché capisci le fissazioni della gente, poi c’è chi dice cose intelligenti, oppure per rispondergli ti viene in mente una battuta da cui nasce un monologo. Non c’è maggior fonte di ispirazione come in quelle cose che ti fanno travasare la bile.

Va bene fare battute, ma dimostri anche che con la comicità si può essere utili in attività serissime come The Impossible Pill, la campagna di informazione e sensibilizzazione promossa da Medici del Mondo sull’aborto farmacologico, di cui sei testimonial.
Sono molto fiera di esserlo, perché è una collaborazione nata dal fatto che mi hanno sentito parlare nel podcast di aborto e gli è piaciuto come stile per la loro campagna, visto che è un argomento trattato sempre in modo tragico. Non affronto la tematica in modo leggero, ma con un linguaggio comico. E sono stati coraggiosi a chiamarmi. Mentre per me è un orgoglio poter dimostrare che una comica può esporsi su temi così delicati.

Quali sono stati i feedback del pubblico?
Ci sono alcuni che mi hanno ringraziato, aggiungendo che «di queste cose non ne avevo mai parlato a nessuno» e a me le raccontano. Sai, tutti vorremmo dire che siamo a favore degli unicorni, dei bambini che soffrono e degli animali abbandonati, però ci vuole qualcuno che provi a ridere del fatto che le persone sono nei guai e si sentono in colpa. Prendo meda sui social, è vero, ma se una battuta fa sentire meno sole le persone ho raggiunto il mio obiettivo.