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La rivoluzione di Bernie Sanders

Sembrava che un vecchio socialista come lui non avesse chance. Invece il candidato a sorpresa alle primarie macina consensi parlando di assistenza ai poveri e vendetta contro Wall Street

Bernie Sanders, al dibattito dei candidati democratici alla presidenza degli Stati Uniti a Charleston, South Carolina. Foto Patrick T. Fallon/Bloomberg

Bernie Sanders, al dibattito dei candidati democratici alla presidenza degli Stati Uniti a Charleston, South Carolina. Foto Patrick T. Fallon/Bloomberg

Il senatore del Vermont Bernie Sanders, per i suoi sostenitori semplicemente “Bernie”, è la sorpresa più atipica della politica americana. Si è autodefinito un “democratico socialista”. Ha condannato un sistema economico “truccato” e una politica corrotta dai ricchi. Ha rifiutato il sistema di finanziamento elettorale Super PAC in base al quale i comitati possono sostenere un candidato con donazioni illimitate spesso anonime, scegliendo invece di basare la sua campagna su circa 750.000 donatori provenienti dai movimenti di base che hanno versato in media 30 dollari ciascuno. Sanders si è fatto forza su questi fondi per impostare una campagna contro la corazzata Hillary Clinton e ha finito per alterare il corso delle elezioni presidenziali del 2016.
Rolling Stone ha incontrato Sanders nel suo ufficio in Senato. Nella sala d’aspetto c’è una mucca di cartapesta a grandezza naturale. Lo studio è sommerso dalle carte, vicino alla finestra c’è una targa che celebra Eugene V. Debs, il socialista che si è candidato alla presidenza nel 1920 mentre era in prigione per essersi opposto alla Prima Guerra Mondiale. Non è un tipo da cerimonie e ostentazioni. Si toglie la giacca, la butta sul divano dietro di lui e resta in felpa blu del Burlington College. Appoggia le scarpe con la suola di gomma sul tavolino di fianco a una copia del nuovo libro di Robert Reich Come salvare il capitalismo. Sembra un professore del college impegnato in una discussione: si concentra per raccogliere le idee con gli occhi che si muovono ritmicamente come un metronomo dietro alle lenti bifocali degli occhiali. È visibilmente stressato. Gli impegni combinati della campagna elettorale e della carica al Senato sarebbero faticosi anche per un politico con la metà dei suoi anni. Ma niente può oscurare il suo pensiero o frenare il suo senso dell’umorismo. Dopo l’intervista lo aspetta un incontro con i rappresentanti delle forze di opposizione ad Assad in Siria, e se non acceleriamo i tempi, dice, probabilmente: «Entreranno qui dentro e cominceranno a sparare».

Cosa l’ha spinta a candidarsi alla presidenza?
Sono il senatore indipendente in carica da più tempo nella storia del Congresso. Nel 1990 sono stato il primo democratico socialista eletto in 40 anni, il mio percorso politico è molto inusuale. Non avrei mai pensato di diventare sindaco, o membro del congresso o senatore. Mi candido per una semplice ragione: questo Paese sta affrontando delle crisi straordinarie: il cambiamento climatico, l’iniquità dei salari e della distribuzione della ricchezza, un sistema politico corrotto che va verso l’oligarchia, il collasso della classe media, una politica sull’immigrazione che ha evidentemente fallito. Non credo che la politica tradizionale sia in grado di affrontare questi problemi.

Questo ci porta subito alla domanda principale: perché i Democratici dovrebbero votare per lei e non per Hillary Clinton?
Conosco Hillary da 25 anni, da quando era la First Lady. Non siamo migliori amici, ma la conosco bene. È una donna di forte impatto, molto intelligente e con una grande esperienza. Ma nessuno può negare che Hillary Clinton sia l’espressione della politica tradizionale. Si finanzia con i Super PAC, riceve donazioni da un numero significativo di persone molto ricche e rappresenta gli interessi delle corporation. Io non dico: “Votate Bernie Sanders, risolverà tutti i problemi”. È necessario che milioni di persone scendano in campo chiedendo che il governo rappresenti tutti i cittadini e non solo l’uno percento. Sto cercando di creare un movimento. Questo è il senso della mia campagna elettorale. Quella di Hillary Clinton invece è una campagna elettorale del sistema.

Nessun amministratore delegato di una corporation è stato arrestato. Questa è una delle ragioni per cui la gente si è allontanata dalla politica

 

Per affrontare le disparità economiche lei propone una piattaforma democratica-socialista. Cos’è?
Il nostro obiettivo dovrebbe essere creare una società in cui tutti i cittadini hanno la possibilità di vivere decentemente. Un sistema sanitario nazionale che garantisca assistenza medica a tutti, educazione pubblica di alto livello dall’età prescolare alla laurea. Eliminare le tasse scolastiche nei college e nelle università statali. Ogni cittadino, a prescindere dal suo reddito, deve essere in grado di accedere a un’istruzione di qualità. Il salario minimo deve essere alzato in modo da garantire la sopravvivenza a tutti. Senti, nessuno conosce la formula magica per la felicità. Ma se hai una certa sicurezza economica la tua vità sarà sicuramente migliore. Ci sono milioni di persone in questo Paese che sono costrette a lavorare tantissimo perché il loro salario è inadeguato. Dovremmo fare quello che hanno fatto a Seattle o a Los Angeles e che stanno pensando di fare anche a New York: alzare il salario minimo a 15 dollari l’ora. Hillary Clinton ha detto che questa proposta potrebbe funzionare a Seattle o a New York ma non sarebbe giusta se fosse applicata dappertutto. Beh, io non sono d’accordo. Sia che vivi a New York sia che vivi in una zona rurale hai bisogno di un’entrata economica dignitosa per provvedere in modo adeguato alla tua famiglia. E 15 dollari all’ora è l’obiettivo a cui stiamo puntando.

Ha definito il riscaldamento globale come la minaccia più grave che abbiamo davanti. Come pensa di affrontarla?
Per l’America il cambiamento climatico è una minaccia più grave del terrorismo. Non voglio dire che il terrorismo non sia un problema serio, ma investiamo 600 miliardi di dollari all’anno nelle spese militari. Dobbiamo far convergere le risorse economiche e la volontà politica. È un problema internazionale, non può essere affrontato solo dagli Stati Uniti. Dobbiamo essere i leader, ma dobbiamo guidare con le azioni e non solo con le parole. Dobbiamo avere il coraggio di trasformare il nostro sistema energetico e allontanarlo dal combustibile fossile. Allo stesso tempo, consapevoli del fatto che ci saranno delle ripercussioni sull’industria del carbone e del petrolio, dobbiamo proteggere i lavoratori di questo settore. Dobbiamo fare in modo che abbiano dei nuovi posti di lavoro, dobbiamo svoltare in modo aggressivo verso l’energia solare. Il vento: in Iowa molto presto il 40 per cento dell’elettricità verrà prodotta dall’energia eolica. Dobbiamo farlo in tutti gli Stati Uniti.

Ha definito Obamacare «Una buona riforma Repubblicana». La considera un fallimento?
No, non può essere un fallimento quanlcosa che garantisce la copertura assicurativa a 15 milioni di persone che prima non ce l’avevano. Credo che Obamacare abbia fatto del bene, ma che ci sia ancora molta strada da fare. Dobbiamo arrivare a una copertura sanitaria nazionale esteso a tutti e finanziato con fondi pubblici. Ma non posso dire che questo avverrà il primo giorno della mia amministrazione.

Bernie Sanders insieme a Killer Mike dei Run the Jewels (a sinistra), suo sostenitore. Foto di Joshua Lott/Getty Images

Bernie Sanders insieme a Killer Mike dei Run the Jewels (a sinistra), suo sostenitore. Foto di Joshua Lott/Getty Images

Ha detto anche che a Wall Street «La frode è un modello di business». Corriamo ancora il rischio di una bolla speculativa?
Assolutamente. Abbiamo salvato Wall Street perché le banche erano “troppo grandi per fallire”. Oggi, tre delle quattro banche più potenti d’America sono ancora più potenti di quando erano già troppo grandi per fallire. Sono preoccupato della possibilità che saremo costretti a salvarle ancora? Sì. Il Congresso non controlla Wall Street, è Wall Street che controlla il Congresso. È troppo potente. Lo dico perché ne sono convinto, non è solo retorica. Se le banche sono troppo grandi per fallire, come in effetti sono, allora sono troppo grandi anche per esistere.

L’amministrazione Obama è stata ampiamente criticata per non aver processato i dirigenti di Wall Street in carica durante la crisi finanziaria. Lei avrebbe tentato di mandarli in galera?
Apprezzo molto il Presidente e sono un suo sostenitore, abbiamo lavorato parecchio insieme. Ma a volte siamo in disaccordo. Il popolo americano è stato schiacciato dall’avidità e dal comportamento illegale della gente di Wall Street, giusto? I cittadini vogliono giustizia. Lo abbiamo detto a Obama, non sono stato l’unico a farlo: “Signor Presidente, deve fare qualcosa. Deve essere duro su questa questione”. Risultato: sono passati sette anni e nessun amministratore delegato è in galera. Ci sono ragazzini che hanno la fedina penale sporca per aver fumato marijuana, ma nessun amministratore delegato di una corporation è stato arrestato. Questa è una delle ragioni per cui la gente si è allontanata dalla politica. Non vedono giustizia.

Cosa avrebbe dovuto fare?
Dal giorno uno io avrei nominato una commissione speciale per investigare sui crimini di Wall Street. Bisogna agire in fretta, e se qualcuno viene riconosciuto colpevole deve andare in galera. Nessuno è al di sopra della legge in America. È questo quello che ha fatto Obama? Non mi sembra.

C’è qualche candidato Repubblicano che secondo lei potrebbe essere un presidente valido?
Se consideriamo i candidati nel loro insieme vediamo un partito che si è spostato molto, molto, molto a destra. Un partito in cui le persone mentono in continuazione per coprire gli interessi che rappresentano. Tolte le sottigliezze politiche, ecco quello che rimane: più tagli alle tasse per i miliardari, quasi tutti pensano che dovremmo tagliare la previdenza sociale, alcuni dicono addirittura che dovremmo privatizzarla. Tagliare Medicare, tagliare i fondi federali per l’educazione e per le mense scolastiche. Inoltre a quanto pare molti di loro sono interessati a trascinarsi in un’altra guerra in Medio Oriente. Potrei dire che in alcune circostanze Rand Paul ha detto qualcosa di sensato. Ma d’altra parte, cosa ha detto recentemente? Che io sono come Pol Pot? Però ha mostrato una certa attenzione verso il problema della violazione del nostro diritto alla privacy da parte del Governo e delle multinazionali ed è molto più riluttante dei suoi compagni di partito a farci andare in guerra.

Bernie Sanders ad Atlanta con i suoi sostenitori, foto di Prince Williams/WireImage

Bernie Sanders ad Atlanta con i suoi sostenitori, foto di Prince Williams/WireImage

Cambiamo argomento. Che musica ascolta?
Sul mio iPad ho tutte le sinfonie di Beethoven. Mi piace la musica classica. Sono figlio degli anni ’60, quindi mi piace il suono della Motown, le Supremes e i Temptations. Sono anche uno dei pochi esseri umani al mondo ad amare la disco music e lo dico anche se so che non verrà accolto con favore dai lettori di Rolling Stone! Mi piacciono gli Abba. Li abbiamo ascoltati anche durante il mio matrimonio. Mi piacciono i Bee Gees. Ho dei gusti abbastanza vari, mi piace Celine Dion e mi piace il country.

Come ha influito la sua educazione ebraica sulla sua visione politica?
Uno dei fattori che mi ha influenzato di più è la consapevolezza che la famiglia di mio padre, anche quella di mia madre probabilmente ma ho più informazioni su quella di mio padre, è stata sterminata da Hitler. Lo so da quando avevo sette anni. È una cosa che mi ha fatto pensare che la politica sia in grado di fare la differenza e di cambiare il corso della storia. Hitler e i nazisti sono stati eletti in Germania. E per causa loro 50 milioni di persone sono morte durante la Seconda Guerra Mondiale, compresi 6 milioni di ebrei.È lo stesso motivo per cui gli afroamericani sono molto attenti alla politica. È stata la politica a permettere la segregazione razziale. Ecco perché mi sono avvicinato a questo mestiere, è stata una questione di istinto. O se preferisci di sentimenti.

Recentemente ha fatto scalpore la sua proposta di una norma federale che protegga la legalizzazione della marijuana in alcuni stati.
Sarebbe un grande passo avanti togliere la marijuana dal Controlled Substances Act (le leggi federali antidroga) e permettere ai quattro stati, più D.C. e gli altri che li seguiranno, di legalizzare la marijuana.

Concederebbe la grazia ai condannati per crimini non violenti legati al consumo di droga?
Certamente. Non voglio essere il presidente di una nazione che ha più carcerati di qualsiasi altro Paese al mondo. Per fortuna c’è un crescente consenso bi-partisan sul fatto che il sistema penale sia al collasso. Non si possono spendere 80 miliardi di dollari all’anno per mettere le persone dietro alle sbarre. L’obiettivo è eliminare le corporation dal business delle prigioni, demilitarizzare la polizia locale e fare in modo che venga considerata parte integrante della comunità, non una forza repressiva. L’obiettivo è eliminare le sentenze minime fissate per legge. C’è davvero tanto, tantissimo da fare, ma abbiamo l’opportunità di fare progressi reali in questo settore.

Nessuno conosce la formula magica per la felicità. Ma se hai una certa sicurezza economica la tua vità sarà sicuramente migliore.

 

I Democratici sono d’accordo sul fatto che la National Rifle Association abbia il potere di bloccare ogni legge sul controllo delle armi. Come pensa di limitare la sua influenza su Washington?
La NRA è una lobby molto potente, ma non rappresenta necessariamente il punto di vista dei possessori di armi o di alcuni dei suoi membri. Bisogna trovare un obiettivo comune, avvicinare le posizioni di chi difende il diritto a possedere armi e di chi sostiene il controllo delle armi e lavorare per creare un consenso.

Ha elogiato le sentenze contro le aziende del tabacco che ne hanno indebolito il potere. Perché la questione delle armi è diversa? Perché nel 2005 sotto George W. Bush ha votato la PLCAA (Protection of Lawful Commerce in Arms Act) che di fatto limita il diritto di citare in giudizio i produttori di armi?
Facciamo un esempio: il Signor Smith, titolare di un negozio di armi, ti vende legalmente una pistola. Controlla i tuoi precedenti e se è tutto regolare compri la pistola. Poi esci dal negozio e spari a tua moglie. Succede. Il venditore di armi deve essere considerato responsabile per averti venduto la pistola? Io non credo. Come non dovrebbe esserlo la persona che ti ha venduto questo tavolino se tu me lo spacchi in testa e mi uccidi. Sappiamo bene cosa fanno le armi. Uccidono le persone. Ma io non credo che chi vende in modo legale una pistola a qualcun altro sia responsabile se questo la usa in modo sbagliato. Ci sono delle clausole di quella legge su cui non sono d’accordo, sicuramente la esaminerò e cercherò di eliminare gli aspetti più dannosi.

Come si relazionerà il Presidente Sanders con Israele?
Gli Stati Uniti appoggiano la sicurezza di Israele, aiutano Israele a combattere i terroristi e a mantenere la sua indipendenza. Ma io credo nella soluzione dei due stati: la Palestina deve avere la sua nazione e Israele la garanzia della sicurezza. Credo che Israele abbia esagerato e causato danni ai civili più di quanto fosse necessario. Il loro punto è fare in modo che i cittadini non siano in pericolo e io lo rispetto. Ma il risultato è che molti civili sono stati uccisi e molte case sono state distrutte.

Ha parlato di una nazione afflitta da una crisi dopo l’altra: «Le sfide che dobbiamo affrontare sono le più tremende della nostra storia». Cosa le dà speranza?
I giovani mi danno grande fiducia nel futuro. Vedere le loro facce irremovibili contro ogni forma di razzismo, di omofobia, di sessismo, vedere il loro desiderio di vivere in un mondo di pace e non di guerra. Lo vedo in tutto il Paese, vedo molta bellezza là fuori. Persone buone che vogliono trasformare questo paese e renderlo molto diverso da come è adesso.

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