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Jim Jefferies è la rockstar della stand up comedy mondiale

È uno dei migliori comici al mondo, nonché uno dei più orgogliosamente volgari. Scherza su tutto: droghe, autismo (il suo), sesso. Si è trovato sotto funghetti con Axl Rose e ha raccontato battute sul sesso anale davanti a Paul McCartney (che ha apprezzato). Arriverà per la prima volta in Italia il 19 aprile a Milano

Foto: Michael S. Schwartz/Getty Images

Ha paragonato sua madre ad un elefante del circo. Ha presentato la sua prima moglie come «la donna che ho pagato per essere una prostituta» (il riferimento qui è alla sua serie tv Legit in cui la moglie aveva il ruolo di una sex worker, ndr). Ha raccontato battute sul sesso anale davanti a Paul McCartney (che le ha apprezzate). Per non parlare di quando Mariah Carey lo ha ‘regalato’ a suo marito per il compleanno che – per la cronaca – non l’ha riconosciuto. Tutto questo spesso sotto l’effetto di cocaina, pillole, alcool. E spesso collassando dopo gli show.

Jim Jefferies nel mondo della stand up comedy è sempre stato una rockstar. Una vita al limite, tra abusi, dipendenze e depressione, prendendo spesso decisioni affrettate (come il suo primo special per HBO che gli costò una penale ben superiore al guadagno) e provando a resistere in un mercato che, di anno in anno, è sempre meno aperto al politicamente scorretto, il campo d’azione di Jefferies. Ma in questi vent’anni, e quindici dal suo primo special, chi lo segue ha visto un enorme cambiamento. Il comico australiano, a 46 anni, si è risposato, ha avuto un secondo figlio e ha smesso con alcool e droghe. L’unico suo vizio ora, oltre i videogame, è l’erba. Da qui il titolo del suo ultimo special, High & Dry (inteso come sballato e sobrio), uscito ieri per Netflix, in cui scherza sulla sua vita matrimoniale (con la moglie che, incinta, voleva far sempre sesso mentre lui la vedeva brutta come E.T.), sul politicamente corretto, sul diventare pelati. E ancora – naturalmente – droghe, sesso e aneddoti incredibili (tra cui uno in cui – per errore – un suo amico gay urla ‘frocio’ durante un discorso di Elthon John al suo tour d’addio) sempre nello stile Jefferies, in cui volgarità e genialità (di visione, tempismo, ribaltamento semantico) si spalleggiano in continuazione. Un comico amato quanto odiato, tanto da prendersi un pugno sul palco ad inizio carriera.

Jim Jefferies arriverà in Italia – per la prima volta – il prossimo 19 aprile al Teatro degli Arcimboldi di Milano con un spettacolo tutto nuovo, Give Em What They Want, un’occasione unica per vedere uno dei migliori stand up comedian sulla piazza. Lo abbiamo intervistato.

Il 19 aprile ti esibirai per la prima volta in Italia. Partiamo da qui allora. Come approcci una platea che non ha l’inglese come prima lingua? Condiziona la tua esibizione?
Ho fatto tre o quattro tour europei e non è mai stato un problema finora, ma è la prima volta che vengo in Italia. Chi viene ai miei spettacoli solitamente ha visto i miei special online, sanno cosa aspettarsi, sanno come parlo e riescono a seguirmi.

Usi qualche trucco per renderti più comprensibile?
Cerco di parlare più lentamente, ammorbidendo il mio accento australiano.

Cambia il modo di ridere o il modo di interagire con il pubblico?
Ho notato che c’è un piccolo ritardo sulla risata rispetto a dove l’inglese è parlato come prima lingua. Sai, le persone devono tradursi la battuta nella propria testa e quindi quel secondino di ritardo lo devo preventivare. Io non parlo nessuna seconda lingua e sono affascinato da chi lo fa, quindi massimo rispetto. Mi chiedo spesso: «Ma come mai sono venuti a sentire uno che parla così male?».

Lo show si chiamerà Give Em What They Want (dagli quello che vogliono, ndr). Il tuo pubblico cosa vuole? E soprattutto, sa ciò che vuole?
No, devi dirgli quello che vogliono! A parte tutto, io so cosa il mio pubblico si aspetta da me: lunghe storie, aneddoti, sex jokes. E io voglio dare al pubblico ciò che vuole: delle sane risate. In questo tour il materiale sarà quasi completamente inedito, sto solo pensando di chiudere lo show con la Gun control routine, che è il mio pezzo più celebre. Non lo porto live da oltre otto anni e quindi lo sto riguardando su YouTube per ricordarmelo. Ma è questo che vogliono e io glielo darò.

In un tuo special, This Is Me Now del 2018, racconti di quando hai eseguito quella routine come regalo di Mariah Carey al suo compagno dell’epoca, James Packer. È stata quella l’ultima volta?
Sì, è stata quella volta! (ride) Vedo che sei preparato!

Quella volta andò malissimo, con Packer e i suoi ospiti (Al Pacino, Di Caprio) che non avevano la più pallida idea di chi tu fossi. Sperò andrà meglio.
Almeno potrò indossare delle scarpe e non sarò costretto a stare a piedi nudi sull’erba come da Mariah!

La Gun control routine, come dicevi, è sicuramente il tuo pezzo più famoso, anche se la tematica – legate al possesso domestico delle armi – è strettamente americana. Come mai che quel pezzo è diventato così celebre secondo te? Cosa rende una routine virale?
Non avrei mai pensato sarebbe potuto diventare così conosciuto; la gente mi riconosce per quello. A volte ho scritto cose che pensavo sarebbero diventate virali e invece – sorprendentemente – a funzionare è stato questo. Solitamente funzionano le battute e le storie che non entrano troppo in dettagli locali e che restano sull’universale; per quello i joke a tema religioso vanno così di moda. È qualcosa di familiare. Anche la Gun control routine è un tema universale, a suo modo, perché tutti ci sentiamo coinvolti quando leggiamo una news di una qualche grande sparatoria come quelle che spesso avvengono negli States. Quando qualcosa risuona, poi eventualmente funziona.

Ci sono state storie o routine che pensavi diventassero virali ma che alla fine non hanno funzionano come ti aspettavi?
Ah sì, è successo spesso. Ma c’è una routine in particolare che pensavo sarebbe diventata virale e che invece è piaciuta, ma senza diventare enorme. In This Is Me Now racconto di quando ho “cucinato” del pollo crudo per me e mio figlio e ci siamo presi un’intossicazione alimentare. Sono convinto sia una delle cose più divertenti che io abbia mai scritto, ma non è andata bene come speravo. È un po’ come per le band, non credi? Pensano di aver un singolo fortissimo e poi però non va, o magari ne parte un altro. È il pubblico che decide, non l’artista.

La storia è molto divertente, ma forse c’è troppo vomito, troppa diarrea, non credi?
Sì, il punto è anche quello! La Gun control routine è qualcosa che puoi passare ad un tuo amico, qualcosa che puoi vedere in ufficio. Molte delle mie battute non sono proprio fatte per essere condivise con tutti, devi far attenzione a chi la mandi. Se mandi un mio video con la battuta sbagliata rischi di essere licenziato o di essere richiamato dalle risorse umane!

È cambiato il tuo modo di scrivere battute in questi anni di carriera?
Non mi son mai seduto a scrivere battute. Solitamente mi annoto la premessa e alcune idee attorno al tema, ma la maggior parte delle mie battute nasce sul palco dove prendo quella premessa e la sviluppo improvvisando, lasciandomi ispirare. Non riuscirei mai a scrivere battute su un quaderno per poi provarle davanti a mia moglie, non penso farebbero ridere.

È stato difficile farsi strada agli esordi?
La persona che porto sul palco funziona quando faccio spettacoli a teatro, ma non altrettanto bene dentro un comedy club o un open mic dove nessuno sa chi sei. Ad inizio carriera sono stato spesso criticato dal pubblico in sala. Ho un linguaggio molto volgare, non piace a tutti. Per funzionare nello stand up devi saper polarizzare, avere persone che ti amano e che ti odiano e che creano conversazioni sul tuo lavoro.

Parlando di odio, una volta un uomo ti ha assalito sul palco e preso a pugni.
Sei mesi fa sono stato al festival di stand up comedy di Netflix e ho incontrato Dave Chappelle. Non ci eravamo mai conosciuti prima. Quando ci siamo visti mi ha preso da parte e mi ha detto «Bill Burr mi ha mostrato un video di te che vieni presi a pugni. Pazzesco. Non ci credo!». E io gli ho risposto: «Son cose che succedono, no?». Il giorno dopo Dave si stava esibendo all’Hollywood Bowl a Los Angeles e un uomo è corso sul palco e l’ha colpito. Quindi, come dire, sembra che queste cose accadano.

Non pensavo accadessero così spesso però.
Da quando sono stato colpito la gente mi chiede se ho paura a fare questo lavoro. Sono sicuro che mi ricapiterà, ma è ancora un lavoro più sicuro rispetto a fare il pompiere. Quindi se nella mia carriera verrò colpito anche solo tre volte in testa lo potrò considerare un successo.

Non ti pesa sapere che ci sono molte persone che ti odiano?
Non mi tocca più adesso. Non guardo né al bene né al male, mi interessa solo far ridere le persone che pagano il biglietto per vedermi.

La tua comicità è molto personale. Hai scherzato su tua moglie, tuo figlio, tua madre, te stesso, anche andandoci giù pesante. E hai anche parecchie battute molto forti su temi sensibili Non pensi che il portare così tanto di te possa creare confusione tra chi è Jim Jefferies nella vita e chi è sul palco?
La mia famiglia e i miei non sempre sono d’accordo con quello che porto sul palco, ma ho capit che se negli spettacoli ti porti come per quello che sei la gente riesce a relazionarsi. Tutti abbiamo fatto errori, tutti facciamo cazzate. Condividerle fa sentire il pubblico a proprio agio. Il comico fa delle osservazioni ironiche sulla realtà e anche se è molto intimo non è che dopo aver visto uno spettacolo puoi dire di conoscerlo meglio come essere umano. Chi mi segue ha sicuramente assistito a molte fasi della mia vita, dalla lotta alle dipendenze con alcol e droghe ai problemi personali legati alle mie relazioni. Mi hanno visto diventare un marito e un padre. Credo che comunque sia complesso tutto questo, il divario tra pubblico e privato, ma per me mostrare le mie cicatrici può essere utile per chi mi segue.

Hai davvero raccontato le peggio cose di te. Riesci ancora a provare imbarazzo?
Non più (ride di gusto, ndr). So che delle battute possono aver ferito alcune persone attorno a me, ma in fondo voglio davvero solo far ridere le persone. Non conosco un lavoro migliore di quello di far ridere le persone. Ne sono molto orgoglioso. Il miglior complimento che puoi ricevere in questo ambiente è sentir qualcuno che ti dice di aver superato un momento triste o depressivo grazie alle tue battute.

Ti capita spesso?
Sì, e credo capiti a molti comici. È il nostro lavoro: non ho l’intento di far cambiare idea su qualcosa in particolare a chi mi guarda, il mio lavoro è sempre solo cercar di far ridere.

Solitamente si dice che i comici nascondano una parte molto triste.
Nella mia carriera ho parlato spesso dei miei problemi con la depressione. Far ridere le persone è comunque uno scambio che può aiutarti a far star meglio. Ma è vero che nel mio ambiente moltissime persone soffrono di depressione. Ci sono studi, ipotesi, ma non saprei davvero dirti perché.

Immagino sia anche un’industria molto competitiva. Tu come la vivi?
Non patisco la competizione, anzi, spero ci siano sempre comici migliori. Penso che la competizione negativa distrugga il mercato e l’ambiente. Tu devi rincorrere il tuo sogno, non pensare alla competizione. E se segui il tuo sogno difficilmente sarai arrabbiato per ciò che accade attorno. Avere dei veri talenti nell’ambiente aiuta a migliorarlo, diventa più facile aver pubblico anche dove prima non esisteva. Più comici diventano popolari, meglio è per tutti noi.

Il miglio comico di sempre?
George Carlin è stato il più grande comico di sempre, la sua comicità è senza età. Tra quelli in vita, Bill Burr. Ma è un periodo incredibile per la stand up comedy ora.

In America c’è un continuo dibattito su ciò che un comico può dire o meno sul palco, con alle spalle questo spettro di essere cancellati. La tua comicità è cambiata in relazione a questo?
Negli ultimi anni, tra cancel e woke culture, è spesso cambiato ciò che si può dire. C’è una sorta di linea da non superare che si muove nel tempo. Il mio lavoro è quello di star sempre il più possibile vicino a quella linea. Ma ad ogni modo in questo mondo c’è sempre qualcuno che si lamenterà o si prenderà male per qualcosa che dici, quindi tanto vale divertirsi e scherzare su tutto ciò che si vuole (ride, ndr). Dieci anni fa era completamente diverso. Ora se dovessi aver l’ansia di essere cancellato per ogni ora battuta non potrei più farne. Quello che cerco di fare, nei miei show, è far capire al pubblico che sto scherzando. Non voglio mica pormi come una guida morale.

Parafrasando un tuo special, non sei un modello e non hai intenzione di candidarti a Presidente. Penso inoltre che questo dibattito sulla comicità e la libertà di parola sia un dibattito molto americano, in cui c’è la pretesa di avere una sorta di egemonia morale. Ma la moralità cambia da cultura in cultura, di stato in stato e soprattutto varia nel tempo. Non esiste una moralità oggettiva transnazionale. Penso anche solo qui in Italia, non direi che esiste una ‘cancel culture’.
Davvero? Allora posso davvero spingere nello show.

Così oltre ad aver riportato la parola ‘cunt’ nella tv americana potrai dire di essere stato il primo ad essere cancellato in Italia.
Magari! (ride)

Tempo fa hai scritto e recitato in una serie davvero divertente, Legit. Cosa ha significato per te? Sei ancora interessato a scrivere per la tv?
Sto lavorando ad una sitcom per Netflix, ma devo ammettere che mi manca molto Legit. Il fatto che sia stata cancellata dopo due stagioni mi fa ancora star male. Avrei voluto fare un’altra stagione, ma il business televisivo è molto difficile e noi forse non eravamo preparati ai tempi. Molti mi chiedono ancora oggi se ci sarà una nuova stagione, ma sarebbe impossibile.

Pensi che avresti potuto scrivere una serie come Legit nella America di oggi?
No, credo proprio di no. Ci sono degli episodi che non potrebbero vedere la luce oggi.

Ieri è uscito High & Dry, il tuo nuovo special su Neflix. Ce ne parli?
Solitamente ho pochi mesi per preparare uno show, cosa che faccio tra un tour e l’altro. Questa volta, a causa del covid, ho avuto due anni a disposizione. L’ho preparato in maniera differente; è molto pungente e penso che ci siano molte cose che potrebbero risuonare in chi guarda. Penso sia il mio special più divertente.

Ospite da Jimmy Fallon hai raccontato di quando hai incontrato Axl Rose mentre eri sotto funghetti. Hai altre storie assurde con personaggi celebri?
Nell’ultimo anno sono diventato molto amico con Kerry King degli Slayer. A me fa ridere perché a pensarlo tu ti immagini questo dio del metal e invece è un orsacchiotto dolce. Ho conosciuto una marea di attori nella mia vita, ma non mi impressionano. Penso sempre: “Se mi impegnassi potrei fare il loro lavoro”. Invece con i musicisti, e gli atleti, ho una sorte di riverenza. Li idolatro. E penso “non riuscirei mai a scrivere una canzone bella come quelle che sento”. E quindi se incontro un musicista divento timido.

È una cosa che hai messo anche in Legit, no? Ricordo una scena dove il tuo personaggio incontra una producer televisiva che gli dice: «Chiunque avrebbe potuto interpretare Chandler di Friends». La differenza tra Matthew Perry e gli altri candidati era che Perry aveva fatto qualcosa che gli altri non avevano fatto: si era concesso a praticare sesso orale a quella producer.
Vero, l’ho scritto per davvero (ride, ndr). Penso che potrei facilmente fare l’attore, ma non sono abbastanza bello per quel lavoro! I musicisti invece hanno un’altra aurea. Una volta dovevo fare uno stand up provando dei pezzi nuovi quando mi han detto che in sala c’era Paul McCartney. Lo sapevo solo io, non il pubblico. Quindi mi son ritrovato sul palco a provare battute sul sesso anale, ma di continuo mi giravo per controllare che non lo stessi offendendo. E invece lui se ne stava lì a ridere di queste battute sul sesso anale. Questo mi ha tirato su di morale (ride, ndr).

Ti faccio ancora una domanda. Hai paura che prima o poi la tua vita diventi noiosa e che alla fine tu finisca il materiale su cui scherzare?
Credo che la vita sia sempre divertente. Quando racconto una storia, quella storia di per sé non è niente di che. La differenza tra un comico e una persona normale è che noi vediamo e troviamo comicità nei piccoli fatti della vita. Momenti in cui tutti possono ritrovarsi e riderne.

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