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Intervista con il cyborg

Manel De Aguas è un artista spagnolo che non si sente al 100% umano – e per questo si è installato dei sensori ai lati della testa con cui percepisce pressione atmosferica, umidità e temperatura

Intervista con il cyborg

“Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” si domandava Philip K. Dick nel 1968 mentre scriveva il romanzo da cui poi Ridley Scott avrebbe tratto Blade Runner nel 1982. Un universo immaginario di uomini, androidi e cyborg, ma soprattutto un’interrogazione profonda della società, dell’uomo disumanizzato e del suo rapporto con la tecnologia; che può diventare uno strumento di autodeterminazione della propria identità se utilizzato con creatività.

Manel De Aguas è un artista cyborg catalano, ha 25 anni e affronta questi temi con profondità nella sua sperimentazione artistica. Lo fa mettendosi in gioco in prima persona: si è installato dei sensori, delle pinne, ai lati della testa grazie alle quali può percepire la pressione atmosferica, l’umidità e la temperatura. Una piccola stazione meteorologica che gli permette di prevedere il cambiamento del tempo e che gli restituisce continuamente un suono all’interno della testa, che varia in base al meteo. Manel ha fondato una associazione dedicata alla Transpecie, per chi non si sente al 100% umano e mi ha raccontato un po’ del suo lavoro e su come questo contribuisca alla lotta in favore della diversity.

Quando ho visto il tuo profilo Instagram mi sono posta una domanda: l’aver impiantato due pinne sulla tua testa è solo arte o si tratta proprio di un nuovo modo di essere?
Entrambe le cose. Faccio parte di un momento artistico, siamo artisti cyborg. Creiamo nuovi organi cibernetici che ci impiantiamo e che ci permettono di avere nuovi sensi, ma grazie a questi abbiamo una nuova esperienza della realtà.

E grazie ai tuoi nuovi organi che tipo di esperienza vivi?
Le mie pinne estendono la mia percezione del meteo. Si tratta di un modo per connettermi in un modo diverso con il mondo circostante. Nella mia testa sento suoni, che ho composto io stesso, correlati all’umidità, alla temperatura e alla pressione. I suoni cambiano in base a come cambia il tempo. Posso anche prevedere i cambiamenti del meteo o se è in arrivo un temporale in base a quello che sento nella mia testa. Gli impianti sfruttano la stessa tecnologia che utilizza chi ha problemi di udito, solo che io la utilizzo non per sentire meglio, ma per sentire qualcosa di diverso.

Senti il meteo…!
Sì, ma per me comunque si tratta di un’esperienza poetica degli eventi atmosferici. Mi concentro molto anche sul sound designing di ciò che sento. Ho associato per esempio l’umidità al suono delle bolle, se c’è tanta umidità è come se fossi con le orecchie sott’acqua. Se qualcuno dovesse creare dei sensori simili, lo farebbe comunque in un modo diverso. Questo rende tutto veramente unico ed è qui che si tratta di arte: ognuno esprime sé stesso.

Pubblicherai in futuro questi suoni per farli ascoltare anche a chi non ha i tuoi sensori?
Sì, sto lavorando a un progetto che uscirà nel corso dell’anno. Un ep di musica elettronica che include anche i suoni che percepisco attraverso i miei organi cyborg. Canterò per la prima volta e racconterò anche la mia esperienza attraverso i testi. Ho fondato con gli amici e artisti Neil Harbisson e Moon Ribas un’associazione, la Transpecies Society, e questo sarà un Transpecies Ep. Se il covid lo permetterà conto di portarlo anche in giro, come ho fatto in passato viaggiando in giro per il mondo per parlare della mia esperienza.

Foto: Marcelina Dvorak

Ti va di dirmi qualcosa di più sulla Transpecies Society?
Abbiamo pensato di creare uno spazio in cui lavorare alla creazione di nuovi organi e nuovi sensi. Volevamo anche poter parlare dell’identità. Essere transpecie non significa solo avere parti del corpo cyborg impiantate, ma può significare anche non identificarsi al 100% con la specie umana. Questo è uno spazio sicuro in cui interrogarsi a proposito della propria identità.

Come è nato il tuo interesse per questi aspetti dell’identità?
Quando ho scoperto questo movimento artistico mi sono subito incuriosito, volevo iniziare a esplorare. Nel processo ho capito che non mi sento al 100% umano. Ho cambiato attraverso questa sperimentazione artistica anche il mio modo di guardare a me stesso, la mia identità. Si è trattato di una trasformazione.

Hai mai sperimentato delle difficoltà nella vita o nel lavoro per questa trasformazione? Le persone capiscono?
Le persone per strada mi guardano con curiosità, ma non mi è mai capitato di trovarmi in situazioni aggressive. Molti non capiscono, ma c’è rispetto. Qualche volta magari mi capita di avere problemi a entrare in qualche luogo pubblico come alla Cattedrale di Barcellona e i controlli aeroportuali sono molto più complicati, perché le persone non capiscono che quelle sono parti del corpo, non un cappellino che posso togliere, ma solo online mi è capitato di avere dei veri e propri attacchi hater. Si tratta di qualcosa di nuovo e come ogni cosa nuova incontra delle rimostranze, però offline le persone sono curiose, online si lasciano andare all’odio.

Pensi che la tua esperienza come cyborg può avvantaggiare anche altre minoranze?
Penso di sì. Anzi, estremizzando, aver introdotto qualcosa di nuovo rende altre cose in automatico più ordinarie: agli occhi di chi ha problemi a essere inclusivo magari chi è transpecie è una novità rispetto a chi è transessuale. Ad ogni modo, schierarsi per la diversity e per l’inclusività significa rendere chiaro che ognuno merita rispetto al di là delle sue caratteristiche peculiari.