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I demoni di Syd Barrett in una graphic novel

In due anni ha fatto la storia del rock, ma gli eccessi lo hanno divorato, e i Pink Floyd sono andati avanti senza di lui. Ne abbiamo parlato con lo sceneggiatore del fumetto "Wish You Were Here"
Dettaglio della copertina di "Wish You Were Here - La Storia dei Pink Floyd"

Dettaglio della copertina di "Wish You Were Here - La Storia dei Pink Floyd"

Sembra che sia impossibile scindere la storia (nel senso anche didattico del termine) della musica rock dagli eccessi – puzza di cliché, è vero, ma i fatti parlano chiaro. Qualcuno ci ha lasciato le penne, più di uno, altri hanno trascinato i loro problemi fino a una fine piuttosto ingloriosa. Questo è il caso di Syd Barrett, fondatore dei Pink Floyd con Nick Mason, Roger Waters, Richard Wright e Bob Klose, a cui David Gilmour si è unito nel 1968 per sostenere Barrett durante le performance. Presto Barrett ha iniziato ad abusare di droghe (in particolare LSD), e dopo essere diventato totalmente inaffidabile, lascia il gruppo e resta sempre più invischiato nei sui demoni. Questa è la storia che racconta Wish You Were Here – Syd Barrett e i Pink Floyd, la graphic novel disegnata da Luca Lenci e scritta da Danilo Deninotti pubblicata da Edizioni BD. Abbiamo parlato con lo sceneggiatore per capire le ragioni per raccontare questa storia, e come mai ci interessano tanto le vite dei disgraziati.

Conoscevi già la storia di Syd Barrett o l’hai approfondita per questo fumetto?
Conoscevo già bene la storia di Barrett. E’ una figura che mi ha sempre affascinato molto. Pensa che, ormai parecchi anni fa, ero arrivato a desiderare talmente tanto il primo disco dei Pink Floyd – lo avevo ascoltato solo in cassetta, prestata da un amico – che l’ho acquistato spendendo l’intera paga di una giornata di lavoro da standista a una fiera.

Al di là dell’aneddoto, sapevo che, dopo Cobain, volevo raccontare una storia che continuasse a esplorare i legami e l’amicizia, ma in una polarità opposta, fatta di distanze e assenza. E in questo, la storia di Barrett e dei Pink Floyd era perfetta.
Chiaramente poi, prima di mettermi a scrivere, ho passato un paio di mesi a studiare i testi che non avevo letto e recuperare filmati e documentari che non avevo visto.

Nonostante l’epica riguardo al periodo, la fase finale degli anni ’60 non è stata solo amore e libertà, e la storia di Barrett ne è un simbolo. In un certo senso ha pagato il conto anche per gli eccessi degli altri?
Sicuramente la vicenda di Barrett, ma anche le fini tragiche di Hendrix o di Janis Joplin, sono esempi di come tutto quel periodo e la sua mitologia avesse anche un lato decisamente oscuro, che sul finire del decennio ha riscosso un conto salato. Ma credo sia esagerato definirlo così. Moltissimi eccedevano e lui ha avuto più sfortuna di altri. Alla fine, ogni persona, a prescindere dall’epoca in cui vive, ha a che fare i propri demoni, i propri fantasmi e le proprie paure. Qualcuno supera gli ostacoli, qualcuno impara a conviverci, altri, purtroppo, non ce la fanno.

I Pink Floyd, dal fumetto “Wish You Were Here”

Come consideri la “gestione” dei problemi di Barrett fatta dagli altri componenti dei Pink Floyd?
Sai, vero, che qualsiasi risposta rischia di valermi una denuncia dall’avvocato di Roger Waters? [ride] Tutti conoscono l’aneddoto in cui, un giorno, gli altri Pink Floyd non sono andati a prendere Syd prima di un concerto ponendo, di fatto, fine alla sua presenza nella band. Sono dinamiche classiche e tipici cliché del rock: un componente della band non è più gestibile e se vuoi andare avanti devi fare qualcosa. Può essere triste ed egoista, soprattutto se quello che viene fatto fuori è un tuo amico; ma è così che funziona da sempre.

C’è però anche l’altro lato della medaglia. Gli stessi Floyd sono i primi che hanno cercato più volte e senza successo di portare Barrett da un medico. Io credo che ci abbiano davvero provato a fare qualcosa per lui, che non lo abbiano abbandonato (ne sono dimostrazione gli sforzi di Gilmour e Waters nella registrazione dei suoi album solisti) e che gli abbiano sempre voluto bene. Ma, come faccio anche dire a Waters nel fumetto – che è poi ciò che è accaduto a Syd – “quello di ognuno di noi, è un viaggio solitario”.

Questo è il secondo fumetto musicale che hai scritto, dopo Kurt Cobain – Quando ero un alieno. Ti piacciono i disgraziati di talento?
Mi ha sempre affascinano come spesso sia impossibile sopravvivere a un certo tipo di talento unico. Come grazie a un talento eccezionale, determinati artisti riescano ad arrivare in spazi che prima si pensavano irraggiungibili o creare cose che solo loro potevano fare, e come lo stesso talento finisca però per autodistruggerli. Oltre a questo, tra i due fumetti c’è anche un legame. Quando ero un alieno finiva prima del successo, Wish you were here racconta invece che cosa succede dopo.

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