Emiliano Ponzi lo rifarebbe ancora e ancora, di illustrare la riedizione de La vita è adesso, il sogno è sempre di Claudio Baglioni, nonostante tutto (arriveranno spiegazioni). Questa, almeno, è la mia interpretazione della nostra chiacchierata, che avviene dopo che l’edizione speciale contenente il lavoro di Ponzi, uscita il 6 giugno di quest’anno (cioè del quarantennale del capolavoro del cantautore, album più venduto di sempre in Italia) per Edizioni Curci, ha già attecchito tra i fan irriducibili. «Sbircio i commenti sai, quello che scrivono sui social. C’è un amore per Baglioni, per le sue parole… Non è una cosa che non sai, naturalmente, ma toccarla così con mano mi ha colpito e, ammetto, emozionato».
Emiliano Ponzi è uno dei principali e in un certo (meritato) senso più illustri, perdonate il gioco di parole, illustratori italiani di oggi. Non ancora canone, non più esordiente, pare costantemente all’apice della sua fase creativa. Da qualche anno fa pianta fissa a New York, «sull’America ci sono un sacco di cose da dire» e infatti ce le diremo, durante una chiacchierata tra due persone nate entrambe a Reggio Emilia – pura coincidenza: la famiglia di Ponzi non è di quelle parti, si trasferiranno a Ferrara ai suoi due anni d’età; una costellazione bizzarra che però si fa notare.
Lo avrete visto firmare il manifesto del Salone del Libro di Torino nel 2022, illustrare il festival Pensavo Peccioli del Post, in mostra al MAXXI, a disegnare le copertina di Corraini Edizioni ma anche di Feltrinelli ed Einaudi, e ha già, pure, lavorato ad alcune copertine di dischi (con Paolo Fresu per esempio, poi c’è un progetto corrente di cui proprio non può parlare); a corredare articoli del New Yorker, dello LA Times, di Vanity Fair, del New York Times (a puro titolo esemplificativo). Forse l’avete conosciuto grazie al libro La grande mappa della metropolitana di New York, commissionato dal MoMA di New York insieme al New York Transit Museum, storia del grafico e designer italiano Massimo Vignelli e di come disegnò la mappa della metropolitana della Big Apple su incarico della Metropolitan Transportation Authority (era il 1972).
Se abitate proprio a NY, invece, potreste averlo visto camminare per strada con il suo Boston Terrier «italiano, ha l’accento di Bergamo e non parla inglese». Chances are, come si dice da quelle parti, che Ponzi l’abbiate incrociato, in qualche maniera. E ora, come a sancire questa onnipresenza, eccolo anche espandere le parole di Baglioni, mai a descriverle o a copiarle. Ricercando la sinestesia, come dice lui stesso. Mettersi a giocare la stessa partita dei fan di uno dei maggiori artisti italiani, d’altronde, è una persa in partenza. Conviene dare un motivo per restare, attraverso quella notte e quel giorno descritti attraverso l’album. E sentirsi un po’ come Baglioni stesso: quando da una terrazza si immagina ciò che accade sotto di lui, attorno a lui. Le canta, e la storia si fa così.

La copertina del cofanetto ‘La vita è adesso, il sogno è sempre’ di Claudio Baglioni ed Emiliano Ponzi. Crediti: Edizioni Curci

La copertina del libro ‘La vita è adesso, il sogno è sempre’ di Claudio Baglioni ed Emiliano Ponzi. Crediti: Edizioni Curci
Una bella sfida, misurarsi con quest’album. Com’è andata?
Una bella sfida per davvero. Ho lavorato con Giulia Zoavo, una graphic designer bravissima, anche lei abita a New York. Volevamo fare un prodotto sideralmente alto: c’è un cofanetto che contiene tutto, e dentro si trovano il libro d’artista, un doppio vinile, il booklet, una cartolina autografata da Baglioni, il separatore… Insomma, proprio come il disco, anche la “confezione” doveva essere un concept. In più il titolo del cofanetto è scavato, diciamo. È stata una scelta di Giulia, fa in modo che ci siano ombre diverse a seconda delle diverse condizioni di luce. Che cambi con il cambiare del giorno, proprio come succede nel movimento tra la notte e il giorno in La vita è adesso, il sogno è sempre.
Una sfida artistica, o anche pratica?
Anche pratica, meccanica. Incastrare tutto quanto non è stato per nulla semplice, bisognava tenere in conto sia la praticità per l’utente, che la sicurezza dei vinili, per esempio, così che non avessero gioco e rischiassero di rovinarsi. Ci sono due copertine diciamo, una di notte e una di giorno, una del cofanetto e una del libro d’artista. È lo skyline di Roma, immaginando il punto di vista di Baglioni dalla terrazza. Il lavoro per far combaciare tutto all’apertura è stato notevole. Naturalmente si tratta di un prodotto premium, da collezione, e come tale lo abbiamo trattato. Tutto è su misura, è un oggetto in sé per sé.
Devo farti questa domanda: tu saresti tra questi fan di Baglioni che comprano l’edizione limitata?
Classica storia: ascoltavo Baglioni con i miei genitori in macchina, mentre andavamo verso il Sud Italia per le vacanze. Mi ricordo la copertina di questo disco, lui con una chioma gigante, nera, la camicia bianca e la chitarra… mi era rimasta impressa, ma in generale sono canzoni che ti rimangono scolpite nel DNA. E riascoltandole ora per il progetto, quindi a scopo anche lavorativo e non puramente ludico, ho ri-conosciuto un grande autore, e questo di sicuro non l’avevo così ben presente, prima. D’altronde la permanenza nel tempo è sempre sinonimo di consistenza, a prescindere dai gusti personali.

‘Amori in corso’, illustrazione di Emiliano Ponzi. Crediti: Edizioni Curci

‘La vita è adesso’, illustrazione di Emiliano Ponzi. Crediti: Edizioni Curci

‘Il sogno è sempre’, illustrazione di Emiliano Ponzi. Crediti: Edizioni Curci
Come hai lavorato su questi brani ri-scoperti?
Parlando della struttura editoriale del progetto, eravamo partiti dall’idea di una conversazione. Creare qualcosa che potesse esaltare i 40 anni de La vita è adesso, il sogno è sempre, ma non solo, anche il fatto che Baglioni l’avesse registrato a nuovo, ricantandolo con l’orchestra e tutto. Per questa edizione si parla proprio di una nuova partitura. Per cui avere un asset visivo diverso ad accomparla era una cosa valevole sia a livello artistico, che di edizione. Abbiamo discusso un po’ con Edizioni Curci, e siamo arrivati alla conclusione che la cosa migliore fosse fare un libro d’artista. Questo per spiegarti il dietro le quinte. Per arrivare al punto: ho cercato di instaurare delle sinestesie, per coinvolgere sensi diversi a partire dall’illustrazione. È un oggetto dedicato ai superfan, persone che conoscono l’album a menadito. Volevo dar loro qualcosa di più, completare a non ripetere la musica e le parole. E alla fine, ti dirò di più…
Sì?
…può suonare strano, ma trovarmi davanti a Baglioni, alla sua fisicità dopo che ne vivi il mito per tutta la vita, è stato bellissimo e surreale. Sono stato a cena da lui e dalla moglie, sono due persone eleganti, di un’altra sensibilità, di una grande intuizione. Ma quando parlo di fisicità dico proprio, insomma, vederlo dare un cracker al cane quando la moglie gli dice di no… ecco, le cose così. E poi ti accorgi che è una persona di grande convivialità, per nulla distaccato. Ci siamo incontrati per lavoro, è vero, ma non ho mai percepito uno spirito di “azienda”. Soprattutto, ho avuto mano libera sul progetto. È il segno di un’intelligenza che sa che non deve dimostrare nulla, o comunque, che non è quello il punto.
Senti, ma la tua dieta musicale?
Sono quello che “ascolta un po’ di tutto”. Passo dalla classica, Sakamoto per esempio, alle playlist precompilate su Spotify, anche molto pop. La musica per me è fondamentale quando lavoro. Mi crea uno strato di ovatta intorno. Mi fa rimanere concentrato.
A che fare con l’ispirazione, quindi?
In realtà è diverso. Sai, molti dicono di avere questo problema, del trovare l’ispirazione. Io credo di avere l’opposto: riuscire a staccarmi dal flusso di pensieri e di idee per mettermi a realizzarle, queste cose che penso. La musica mi aiuta in questo senso, mi chiude fuori dalla mia testa. Essere creativi, mi viene a volte da dire, is a condition, cioè una malattia.
Nemo profeta in patria: è per questo che è meglio trasferirsi negli Stati Uniti?
Nel mio caso per fortuna no, anche se è un meccanismo verosimile. In Italia ho sempre avuto le opportunità giuste al momento giusto, ovvero quando i tempi erano maturi anche per me, non so se mi spiego. Poi certo, stare in America ha il vantaggio di farti lavorare con persone diverse e anche di più, ho lavorato in tutto il mondo. Poi c’è anche il tema della presenza, nel senso: è vero che con una mail posso raggiungere chiunque possiede un account email, ma la fisicità, l’essere uno di fianco all’altro, è un’altra cosa. E a me serviva quella fisicità dall’altra parte dell’Atlantico rispetto a dove ero nato. Proprio perché siamo nell’era dei social e proprio perché i social sono democratici, la smaterializzazione è alla portata di tutti. Trovarsi in prossimità fisica con le persone, no, e mi sembra invece fondamentale.
Questo “digitale” che ormai è solo “la realtà” ha cambiato la tua professione?
Ci sono due discorsi da fare, qui il primo. Se si parla di digitale nell’ottica delle possibilità di diffusione di un’opera, allora penso che sia sempre una cosa positiva. Non si tratta di download che vengono usati a fini commerciali. Per me i social sono stati e sono uno strumento importante, nonostante tutto. Solo non cerco di diventare, perdonami il termine, uno di quei personaggi che incontri quando scorri il feed. Meglio rimanere una persona, e vale soprattutto nel campo della propria professione. Non mi interessa mettermi a fare un video in time lapse in cui mostro come faccio un disegno, mi interessa pubblicare quel disegno una volta pronto. Altrimenti sarebbe un teatrino per me stesso prima che per gli altri, e quello non sono io.
E il secondo discorso?
È quello sull’Intelligenza Artificiale. Penso ci travolgerà tutti, forse siamo già travolti. Ogni invenzione tecnologica che ha dietro un beneficio finanziario, ha già vinto. Noi possiamo dare qualsiasi giudizio morale, possiamo fare le leggi, ma la verità è che finché non cambieremo il modello economico, cosi sarà. Le mitragliatrici sono per caso una cosa utile? Comunque, non c’è dubbio, ora l’AI potrà anche non essere abbastanza creativa per alcune cose, ma è una questione di tempo. Ci regoleremo di conseguenza.
Ci sperimenti creativamente, come dicono?
Ho trovato a fare qualcosina, però il punto è che quel momento in cui dici Eureka… È il microsecondo in cui dici wow, e arriva perché tu, attraverso una serie di passaggi, anche che ti fanno incazzare eccetera, arrivi a quella soluzione partendo da un’intuizione e su quella costruendo ragionamenti deduttivi. Che ne so, fai uno schizzo, poi metti un blu, quel blu ti fa venire in mente che il giallo ci starebbe bene, poi il giallo lo cambi perché in realtà hai sbagliato, ti arrabbi perché hai perso tempo ma alla fine capisci che nel disegno sta meglio il rosso. È sia intuizione che deduzione, ed è lì che arriva la soddisfazione. Quindi la cosa che mi dà fastidio è leggere le definizioni che qualcuno si dà, AI artist per esempio. Scrivere un prompt non è la stessa cosa che passare attraverso il processo creativo.
E ora?
Bella domanda. Vorrei portare avanti la pittura, che ho recentemente ripreso, a un altro livello. In realtà è un processo che serve soprattutto a me stesso, stai lì a lavorare e capisci qualcosa in più su di te. Perciò dico la pittura perché è un progetto che sazia a lungo. A vole le cose tendono ad accumularsi, invece ora ne vorrei avere una che mi facesse essere me stesso il più a lungo possibile. Ha senso?













