Cos’hanno in comune il casco d’oro di Caterina Caselli, ‘Gioca jouer’ e le inchieste su Piazza Fontana? | Rolling Stone Italia
Interviste Culture

Cos’hanno in comune il casco d’oro di Caterina Caselli, ‘Gioca jouer’ e le inchieste su Piazza Fontana?

Hanno colto lo spirito del tempo di generazioni diverse, come racconta Giulia Cavaliere in 'Noi siamo i Giovani', un podcast sui giovani come categoria generazionale che attraversa il dopoguerra, il boom economico e gli anni Settanta e Ottanta, per arrivare fino ai giorni nostri. L'abbiamo intervistata

Cos’hanno in comune il casco d’oro di Caterina Caselli, ‘Gioca jouer’ e le inchieste su Piazza Fontana?

Caterina Caselli nel 1966

Foto: IPA

È l’epoca d’oro del giornalismo musicale, o meglio, della riscoperta di quella particolare tipologia di saggistica – nella grande maggioranza dei casi, battente bandiera britannica – che concepisce la musica non come un territorio d’analisi meramente tecnico, ma come un gradiente attraverso cui leggere la società, metterne in luce le tendenze e denunciarne le storture.

Basta passeggiare in una libreria – badate bene: una qualsiasi, non la piccola isoletta d’essai di turno – per rendersi conto del clamoroso riconoscimento che la produzione di Mark Fisher – da Realismo Capitalista a The Weird and the Eerie, fino agli scritti musicali e politici pubblicati negli anni sul blog k–punk – ha ottenuto all’interno del mercato domestico.

Un discorso simile potrebbe valere per la riproposizione delle opere di Simon Reynolds (critico musicale e, come nel caso di Fisher, attento e infaticabile osservatore del contemporaneo): titoli come Post punk, Polvere di stelle o Retromania, fino a non troppo anni addietro percepiti come feticci “sotterranei” o riservati agli addetti ai lavori, hanno ormai invaso il campo del (scusate) “mainstream” e sono entrati a far parte a pieno titolo di una sfera di consumi culturali, se non di massa, comunque decisamente più ampia della ristrettissima cerchia semi–clandestina in cui circolavano all’inizio.

In breve: c’è una domanda crescente di giornalismo musicale, in particolare quello capace di fornirci delle coordinate utili per muoverci all’interno di un mondo impazzito, velocissimo e sempre più complesso.

Chiacchierando con Giulia Cavaliere (scrittrice, collaboratrice di Rolling Stone e giornalista che si occupa di musica: coincidenze?), il discorso ha toccato immediatamente un altro titolo partorito da un sociologo mascherato da critico musicale. Il libro si intitola L’invenzione dei giovani, l’autore si chiama Jon Savage: nel 1976 scriveva e pubblicava una fanzine chiamata London’s Outrage, l’anno dopo iniziò a firmare per il Sounds, che ai tempi era il terzo magazine più letto dopo New Musical Express e Melody Maker. In seguito scrisse per le maggiori riviste musicali e di cultura pop britanniche. Nel 1991 scrisse il suo libro più famoso, England’s Dreaming, che narrava la storia dei Sex Pistols e della musica punk rock.

Tre anni dopo diede alle stampe Teenage: The Creation of Youth Culture (questo il titolo originale), in risposta all’esigenza di colmare un vuoto conoscitivo. «Ovviamente, dal punto di vista anagrafico, i giovani sono sempre esistiti. La domanda da cui Savage prendeva le mosse, però, era un po’ più complessa e suonava, più o meno, così: chi ha inventato i giovani come categoria politica, ideologica e di mercato, al contempo soggetto di riguardo e vittima della società capitalistica?», spiega Cavaliere. «La risposta è più intuitiva di quanto non si possa pensare: gli Stati Uniti. Hanno forgiato un nuovo gruppo anagrafico, portatore di istanze inedite e, di conseguenza, di nuovi desideri».

L’intuizione di Savage è il presupposto fondante di Noi siamo i Giovani, il podcast che ha recentemente realizzato per Chora: un audio reportage sui giovani come categoria generazionale che attraversa il dopoguerra, il boom economico e gli anni Settanta e Ottanta, per arrivare fino ai giorni nostri. Come nel caso di Savage, l’obiettivo è quello di provare a colmare l’assenza di una bibliografia esaustiva capace di inquadrare i giovani come categoria generazionale.

Per riuscire ad adattare questa missione al contesto nostrano, Cavaliere ha scelto di selezionare alcune personalità capaci di ridefinire i canoni estetici e di consumo dell’Italia di un particolare periodo: «Gli ospiti che ho scelto hanno incarnato idee di giovinezza differenti che, ovviamente, risentono moltissimo del periodo storico di riferimento».

Ad esempio, la prima puntata si apre con Caterina Caselli che intona L’esercito del surf di Catherine Spaak, un inno di spensieratezza contagiosa: «Caterina Caselli è stata l’icona della potenza della giovinezza degli anni ’60, referente simbolica di una nuova era. Per la prima volta nella storia, i teenager avvertivano una fame di libertà: volevano emanciparsi dalla famiglia, liberarsi dal peso dei valori tradizionali, rafforzare la propria identità generazionale affermando gusti e sogni fossero diversi da quelli dei genitori. In quel contesto, la ragazzina dal caschetto d’oro si apprestava a diventare un’icona dell’epoca beat e un simbolo della presa di potere generazionale».

Nella seconda puntata, Caselli cede il testimone a Giorgio Boatti, giornalista, scrittore e protagonista del movimento del Sessantotto capace di offrire una visione non parziale di un decennio difficile: «Ho scelto di coinvolgerlo perché a vent’anni ha partecipato in maniera attiva alla rivoluzione sessantottina; allo stesso tempo, però, Boatti è un uomo d’accademia: questa sua doppia anima gli consente di coniugare due prospettiva: quella di “chi c’era” a quella dello storico e del divulgatore. Il suo libro più famoso, Piazza Fontana, è ancora un documento inestimabile per inquadrare il momento in cui questo Paese ha perso l’innocenza ed elaborare uno dei traumi collettivi più pesanti della storia di questo Paese».

La terza puntata è invece dedicata a Claudio Cecchetto, che Cavaliere definisce «Una sorta di mago della giovinezza degli anni Ottanta, il talent scout dei giovani per antonomasia» – compilare una lista esaustiva dei talenti lanciati da Cecchetto è impossibile. Per semplicità d’analisi, ne citiamo alcuni: Gerry Scotti, Jovanotti, Fiorello, Amadeus, Nicola Savino, Marco Baldini, gli 883, Max Pezzali, Paola & Chiara, Sabrina Salerno, Sandy Marton, Tracy Spencer, Taffy, Via Verdi, Luca Laurenti, Marco Mazzoli, Daniele Bossari, Fabio Volo e Leonardo Pieraccioni.

Nella quarta puntata, il protagonista è Enrico Brizzi, autore di quell’immaginario di provincia decadente, scanzonato e genuino che permea Jack frusciante è uscito dal gruppo, forse l’unico romanzo di culto, generazionale e con tentazioni postmoderne capace di reggere il confronto con i lavori di Pier Vittorio Tondelli.

L’ultimo episodio non poteva che essere dedicato alla “Gen Z”, la generazione che tutti credono di conoscere ma che, in realtà, è la più inafferrabile in assoluto: «Ho scelto di chiudere il cerchio intervistando Giorgia Paganelli, antropologa e influencer  nota sui social come @evastaizitta, per affrontare gli anni più duri in cui i giovani hanno conosciuto da vicino il concetto di crisi. Tecnicamente è una Millennial, ma ha la capacità di dare voce ai sentimenti e alle lotte care a una generazione spesso troppo infantilizzata, comunicando con un piglio divulgativo tematiche complessissime come femminismo, uguaglianza di genere e corpi non conformi».