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Conglomerandocene: Intervista a Gianluca Cincinelli

Nella nuova puntata della rubrica dello Sgargabonzi su Rolling Stone, faccia a faccia con l’autore de ‘La Variante Manfredonia’, un libro di storie quotidiane «filtrate dallo sguardo di un protagonista alieno e ridicolo»

Conglomerandocene: Intervista a Gianluca Cincinelli

Un dettaglio della copertina de 'La Variante Manfredonia'

Conobbi Gianluca Cincinelli al Liceo. Dalla quinta ginnasio diventammo compagni di banco e migliori amici. Eravamo molto diversi. Io una persona tanto gioviale, inclusiva e generosa, quanto intimamente falsa e manipolatrice. Lui un soggetto con uno stile che quanto a leggerezza e positività ricordava da vicino i sepolcri etruschi di Ildebrando da Soana con Elisa Lam che vaga in stato confusionale accarezzando cani invisibili e il Bloop della Fossa delle Marianne in eterno sottofondo. Eravamo parecchio diversi, in realtà molto simili.

Cincinelli era uno che se poteva farti stare male nel dubbio lo faceva, pure a sue spese. Laconico e sulle sue, come un Kasparov delle emozioni faceva la sua mossa solo quando c’era da farti calare la serotonina. Ti ghiacciava ogni entusiasmo con due parole, massimo quattro. Io ero l’unico ponte fra lui e la società civile, nonché una sorta di coscienza morale periferica. Una volta lo fermai mentre voleva chiedere ad un ragazzo mentalmente disabile se era davvero mentalmente disabile, perché era convinto che così facendo avrebbe iniziato a girare su se stesso.

Anni fa abbiamo scritto due libri insieme, Bolbo e Il Problema Purtroppo del Precariato. Oggi Cincinelli esordisce per Visiogeist con un’opera in assolo dal titolo tonitruante e misterioso: La Variante Manfredonia.

Mettiamo le cose in chiaro. Se non ti conoscessi, non saprei se questo libro è un’autobiografia o una raccolta di scene tagliate dalla biografia d’una persona normale. Dove sta la verità?
Direi che sono scene di vita normale che potrebbero appartenere alla biografia di tutti, filtrate dallo sguardo impietoso del protagonista, a volte alieno e insieme involontariamente ridicolo, che è in parte autobiografico.

In un mondo di gente che fa della bontà un marketing per superare da destra gli altri, un romanzo di formazione decostruito, crudele, impietoso e arrogante, in cui triti a dadini persone innocue, atteggiamenti trasparenti, luoghi comuni comprovati e ragionevoli automatismi di pensiero. Quanto è antica questa tua misantropia?
Ancestrale, direi, mi è sempre venuta con molta naturalezza. Il protagonista è un individuo tanto arrogante e distante quanto capace di tirare fuori una purezza opportunistica. Questo per mettere a nudo certi atteggiamenti diventati consuetudine, quando per lui non lo sono per nulla e fa di tutto per estrarli dall’altro come farebbe un esorcista con un impossessato. Si potrebbe dire che agisce come una cartina tornasole alimentata a misantropia.

Ma perché non un libro di fiction con gli elfi, i tridenti e i portali come tutti? Sotto Natale venderebbe sicuramente meglio.
Non saprei da dove cominciare perché questi soggetti non mi sono mai interessati. Trovo più succoso andare a spulciare nelle pieghe dei nostri comportamenti quotidiani, quelle reazioni automatiche ormai perfettamente integrate e riproposte acriticamente ogni volta. Diciamo che il protagonista ha il potere di rendere imbarazzanti questi scenari confortevoli, mettendo in atto la fantasia del “cosa succederebbe se” e rendendosi puntualmente sgradevole.

L’umorismo di questo libro mescola il nero, il surreale e la commedia dell’imbarazzo in un melange unico e irreplicabile. Chi sono i tuoi punti di riferimento, se ne hai? Non solo fra gli scrittori eh.
Ho talmente poca cultura che non credo di avere dei punti di riferimento. Sui temi che hai citato, le vette per me si raggiungono con Pozzetto, gli Squallor, il primo Nichetti, il primo Luttazzi, il Paolo Villaggio più feroce… e Bolbo, un libro capolavoro del 2014 oggi introvabile. Ma penso di poter dire che quando scrivo non ho dei punti di riferimento presenti, sarebbe contro la mia natura. Purtroppo ho l’urgenza che il risultato finale sia un’amalgama totalmente mia e poco mediata, nel bene e nel male.

Gli Squallor e Pozzetto sono pure le mie comete. E invece cosa ti fa ridere oggi? Ma soprattutto quanto è importante per te ridere?
A me piace ridere e far ridere, non lo nego. Quando qualcuno mi dice che il libro è divertente sono contento, ma nella mia testa vorrei che il discorso continuasse con una frase che inizi con “ma non solo…” e a seguire una serie di complimenti incredibili e anche qualche numero di telefono di lap-dancer che impazziscono per “Kika84”, “Tecnico Atari” o l’agronomo CAVALLO. Quindi sicuramente non scrivo per far ridere, ma allo stesso tempo la narrazione comica è alla base dell’impianto e utile per far passare anche tutt’altro rispetto all’apparenza.

Le storie che racconti sono piene di personaggi assolutamente cult, che meriterebbero degli spin-off. Io vorrei un libro in cui il protagonista è il bidello Ficcadenti, raccontato in prima persona e in cui tutto è visto attraverso il suo filtro. Oppure un’antologia di caratteri, in cui in ogni racconto vesti i panni di un personaggio diverso.
Mi metto al lavoro.

Ma non temi che qualcuno dei personaggi che hai raccontato e sminuzzato si riconosca e ti faccia finire in un rape & revenge tipo Un Borghese Piccolo Piccolo?
Mi pare il minimo che mi potrebbe succedere, e non me la sentirei di opporre resistenza.

Giorgio Faletti ci mise quattro libri a farsi pubblicare un’antologia di racconti, tu invece hai subito trovato supporto nell’editore astigiano dei libri del Deboscio e di Bispensiero. Ti avverto subito che c’è chi ti prenderà poco sul serio fino a che non ti cimenterai con un romanzo, magari anche brutto, è indifferente.
Ma perché a Visiogeist sono dei visionari e hanno capito subito che questo diventerà un libro cult. Però un romanzo non è nelle mie corde, ho sempre preferito le scene madri ai momenti interlocutori. I racconti mi permettono di fare esattamente questo: non preoccuparmi del lavoro sporco e divertirmi invece nella descrizione dei momenti salienti. Mentre i puntini che collegano un racconto all’altro mi va benissimo che sia il lettore a unirli in base alla sua sensibilità, anche a costo di essere frainteso o passare per un cretino.

Dopo due libri a quattro mani, è la tua prima opera in assolo. Com’è stato lavorarci senza doverti fidare di qualcun altro?
Mi sono dovuto addirittura assumere delle responsabilità, fare delle scelte… un incubo. Io sono capace a scegliere fra una serie di opzioni limitate, mi ci vuole un filtro affidabile e collaudato che sgrossi l’infinito al posto mio e mi presenti una lista su un foglio Excel di cinque o sei opzioni al massimo. Prendi la copertina del libro per esempio: mi sono trovato a dover scegliere un’immagine fra tutte quelle esistenti nello scibile umano, dall’uomo preistorico ad oggi. Sono centinaia di immagini. Solo un pazzo potrebbe selezionarne una e convincersi che non ce n’è un’altra migliore.

La copertina è ad opera del pittore Marco Pace, molto conosciuto fra gli addetti ai lavori. Per certi versi naviga contro il tono del libro, pare quasi uno specchietto per le allodole. Perché questa scelta ostinata e contraria, come direbbe il padre del grande De André?
Appena ho visto quel quadro di Marco Pace ho capito che era l’unica copertina possibile per il mio libro. E hai detto giusto, ostinata e contraria, perché è più forte di me, voglio disinnescare i circuiti in loop. Quando il punto d’arrivo sembra scontato, preferisco deviare e finirci pure vicino, ma non esattamente sopra. Anche al lavoro per dire, a volte faccio tutto perfetto fino alla fine poi di proposito trascuro un dettaglio a caso per deludere le aspettative. Meglio se in vista di una promozione. Secondo me però, a guardarla bene la copertina è più consonante col libro di quello che sembra. C’è qualcosa di non perfettamente afferrabile in quel dipinto, ed è colorata e cupa allo stesso tempo.

Gli acrostici che intervallano i racconti sono divertentissimi, ma sembrano quasi delle macchie di Rorschach in libera uscita dai tuoi meandri. Non c’è una domanda, ma vorrei ci raccontassi come nascono.
Quegli acrostici, “Agronomi” nel libro, sono un po’ il massimo che l’immaginazione mi concede. Io che sono l’essenza dell’assenza di creatività, dopo un numero di racconti nei quali mi confronto con questa miseria, ho accumulato abbastanza energia cinetica da doverla direzionare in qualche modo. Quindi prendo delle parole che già di suo non danno nessuna soddisfazione, in modo da odiarle ancora di più, e a quel punto ci vorrei fare degli acrostici totalmente sbagliati come forma di ribellione. Puntualmente però esce fuori una frase che in qualche modo ha a che fare proprio col significato della parola originaria. In quest’ottica gli Agronomi si potrebbero pensare anche come dei portatori sani di isteria, ma non voglio suggerire troppo.

Ci regali tre Agronomi inediti?
GIACCA
Giubbotto
Impermeabile
Arricchito
Con
Chiazze
Arancioni

BRESAOLA
Bitterini
Rossi
E
Salsa
All’
Orzo
La
Arricchiscono

DILAPIDATO
Dedico
Il
Libro
A
Pierpaolo
Infaticabile
Depravato
Abusava
Trapanando
Orifizi

Qual è il prossimo libro che ti piacerebbe scrivere? Che colori avrà?
Colori metafisici riflessi in uno specchio quantico. Un libro che se ne frega totalmente di essere capito da chi lo legge e dove io non esisto. Che sia il trionfo della fantasia, bizzarro e che non si capisca perché è stato scritto. Ho già in mente il titolo: Auto elettriche, fanno bene all’ambiente?.

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