«Chi gioca ai videogiochi è più intelligente di chi non lo fa». Parla Nolan Bushnell, il papà dell’Atari | Rolling Stone Italia
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«Chi gioca ai videogiochi è più intelligente di chi non lo fa». Parla Nolan Bushnell, il papà dell’Atari

Nel '72 ha commissionato lo storico 'Pong', inaugurando l'industria dei videogiochi. Lo abbiamo incontrato durante il Lucca Comics and Games per parlare di giochi, metaverso, scommesse, eSport. «Ci saranno sempre gli idioti, i fascisti e i tiranni, ma dobbiamo insistere perché la tecnologia rimanga dalla parte del bene»

«Chi gioca ai videogiochi è più intelligente di chi non lo fa». Parla Nolan Bushnell, il papà dell’Atari

Foto di Roger Ressmeyer/Corbis/VCG via Getty Images

In Italia lo conoscono pochi, ma Nolan Bushnell è a suo modo una celebrità: a lui dobbiamo un pezzo del mondo moderno, l’industria dei videogiochi. È il papà dell’Atari che nel ’72 commissionò lo storico Pong. Da allora ha fatto in tempo a cedere la compagnia e a ritornarvi nel 2010. Quando lo incontriamo, se ne sta seduto a un tavolino di Lucca, dove è stato ospite del Comics per celebrare il cinquantesimo anniversario di Atari. A 79 anni, sorseggia un cappuccino come un turista qualsiasi, berretto in testa mentre gioca con lo smartphone a Monument Valley, uno dei puzzle game più amati.

Di certo avrà saputo che un paio di mesi fa dei ricercatori hanno insegnato alle cellule staminali del cervello come si gioca a Pong. «Quando me l’hanno detto sono rimasto davvero colpito. Ma fui altrettanto sorpreso quando il computer [Deep Blue] sconfisse il campione di scacchi Garry Kasparov (era il 1997, ndr.). Viviamo nel futuro. Quel che però mi ha davvero stupito è il fatto che chi gioca ai videogiochi sia più intelligente di chi non lo fa, perché esercita il cervello».

Lei stesso stava giocando fino a un attimo fa. Che opinione ha delle nuove generazioni di giochi?
Ho videogiocato tutta la mia vita e preferisco i puzzle game, mentre quelli d’azione con l’età diventano sempre più difficili, perché i tuoi tempi di reazione rallentano. Per questo gli eSport sono il regno dei ventenni. Ma i vecchietti come me devono essere intelligenti e astuti, non scattanti. Mi intrigano tutte le novità, come la realtà aumentata. Quella virtuale va bene, ma c’è tanto da esplorare per quella aumentata. Sto lavorando sulle potenzialità dell’Amazon Echo, lo smart speaker, e sulla possibilità di incorporarlo nell’ambiente di gioco. Qualche anno fa ho creato un titolo, St. Noire, in cui per risolvere un omicidio devi interrogare i sospetti parlando all’Echo. E ho almeno altre otto idee simili in cantiere.

È questa la sua idea di realtà aumentata applicata ai videogiochi?
Non solo. Immagini che questo sia il terreno di gioco (indica il tavolino) e che con i giusti occhiali i pezzi possano animarsi. Sarà bello.

Ci state già lavorando?
Non posso rivelarlo. È un progetto riservato. Ma sì, arriveranno novità interessanti.

Che ne pensa del metaverso?
Se chiedi a venti persone cos’è, avrai venti risposte diverse. (Scrolla le spalle) Quello che so è che ci sarà un mondo in cui il trasferimento di valore dal reale al digitale sarà importante, e soprattutto poterlo fare in sicurezza e semplicità. Questo è quanto già consentono gli smart contract e la blockchain. Non sono sicuro che le criptovalute siano un buon investimento, ma la tecnologia che c’è dietro è molto importante. Sto lavorando a una start-up che si chiama Moxy.io, una piattaforma di middleware (intermediazione, ndr.) per gamer sulle scommesse. Della serie, scommetto 10 moxy che ti batto, e viene impostato un portafoglio virtuale, viene redatto in automatico uno smart contract e la piattaforma tiene d’occhio i risultati della partita. Chi vince riceve i moxy.

Potrebbe cambiare il mondo degli eSport?
Certo, ma non solo, perché i grandi tornei sono appannaggio di Riot Games e degli altri. Questo è solo per i giocatori.

E ovviamente Moxy prende una percentuale.
Piccola, sì.

Ma è etico facilitare le scommesse sui videogiochi?
Per me sì, tutti vogliono testare le proprie abilità ed è ancora più divertente se c’è qualcosa in ballo.

Prima ha detto che viviamo nel futuro. Sarebbe questo?
Molto era già stato predetto dalla fantascienza. Sono nel consiglio di amministrazione di una azienda di automobili a guida autonoma e sono convinto che cambieranno il mondo. Pensi a un futuro senza incidenti stradali. Certo, non è molto bello se sei una compagnia di assicurazioni o un tassista. Ma se sei un consumatore, poter prendere un Uber senza conducente a 30 centesimi per miglio non è niente male. Tanti non vorranno nemmeno più possedere un veicolo, per quanto il car sharing sarà conveniente.

Perciò per lei andiamo verso un domani radioso?
Ci saranno sempre gli idioti, i fascisti e i tiranni, ma dobbiamo insistere perché la tecnologia rimanga dalla parte del bene. È una lotta continua e il futuro non sarà uniforme. In alcuni Paesi sarà più difficile. In altri, fantastico. Spero che l’Italia e gli Stati Uniti finiscano tra i buoni perché adoro venire in Italia (ride).

Non c’è qualcosa che la spaventa?
I governi in generale sono stupidi. Credono di far del bene, ma spesso le loro politiche non lo sono. La cosa bella della tecnologia e dei videogiochi è che possiamo testare e simulare alcuni di queste scenari. Più guardiamo a quelle che potrebbero essere le estreme conseguenze di certe azioni, più potremo evitare di finire in quel modo.

A proposito di videogiochi, quando è rientrato in Atari nel 2010 il mercato era molto cambiato. È stato difficile tornare in carreggiata?
Atari avrà sempre la sua eredità, quella di aver dato inizio a tutta un’industria, e nessuno può togliercela. Il nostro è un logo senza tempo. Un’azienda, però, deve sempre guardare avanti. Credo che per 15 anni si sia persa la bussola. Ora il nuovo ceo, Wade Rosen, è un bravo ragazzo. È al comando da poco più di un anno e già vedo cambiamenti. Mi aspetto grandi cose per il 50esimo anniversario. Toccando ferro, andrà bene. Faremo qualcosa con il metaverso, comunque. Se apriranno un arcade nella realtà virtuale, Atari ci sarà.