C’è una bella differenza tra stand-up comedian e storyteller satirici. E Arianna Porcelli Safonov non è una da freddure o sketch. Lo spiega bene nel suo ultimo podcast Famiglia ed altre cose velenose, confermando quanto fatto in passato e quanto si appresta a fare anche nel prossimo futuro. Alle spalle infatti ci sono diversi spettacoli, due libri (Fottuta campagna e Storie di matti) e a novembre un terzo (in uscita il 18 del mese). Per quanto riguarda il presente, invece, su Rai Play potete trovare tutte le puntate del suo nuovo podcast, un dialogo-scontro con la psicoterapeuta Ilaria Cadorin in merito al mostro sacro di tutte le esistenze umane: la famiglia.
A rendere peculiare il podcast, oltre al punto di vista delle due protagoniste, è anche una colonna sonora che scandisce tempi e monologhi, realizzata da Gigi Funcis con tracce tecno, quando a parlare è Arianna con le sue smitragliate di battute, con sonorità “da centro estetico” – parole di Arianna – quando tocca alla pacata controparte clinica, rassicurante e intenta a smontare o razionalizzare quanto detto dalla storyteller.
Abbiamo incontrato Arianna in occasione della Stand-Up Comedy Week, allo Yellowsquare di Milano, dove ha regalato al pubblico un greatest hits di Famiglia ed altre cose velenose. Un viaggio dentro e contro la famiglia, istituzione sacra e porto sicuro per alcuni, nevrosi condivisa e teatro tragicomico quotidiano per altri. «L’obiettivo è salvare le poche famiglie che hanno voglia di farsi salvare, in un’epoca in cui siamo un po’ alla grande distribuzione anche con i rapporti, per cercare di trovare punti di vista diversi che poi consentano di creare dei nuclei famigliari che si basino su ciò che c’è di buono della tradizione – perché non è tutto da buttare – con delle prospettive di miglioramento ed evoluzione».
Arianna Porcelli Safonov alla Stand-Up Comedy Week di Milano. Foto: press
Durante l’esibizione Arianna dice al pubblico di essere per vie legali con la madre. In quel momento ho pensato fosse una boutade e invece quando durante l’intervista provo a parlare della sua famiglia e sapere quale percentuale di amore e senso di colpa ha avuto nella sua esperienza, mi risponde che «amore e senso di colpa sono sinonimi. Comunque, come ho detto poco fa, non posso parlare della mia famiglia perché sono a rischio querela, non scherzavo».
Eppure inizia a parlarmene lo stesso. «Per quanto mi riguarda, la mia è una famiglia molto particolare. Intanto, internazionale – senza volerlo essere – per metà sono russa e quindi inequivocabilmente mi porto appresso le tradizioni famigliari di quel Paese. E poi a malincuore sono anche italiana, quindi mi porto dietro sempre le controindicazioni di questo tipo di famiglia. È senz’altro una famiglia tradizionale la mia, sia nel buono che nel cattivo, con pregi e difetti. I grandi pregi sono quelli di essere tanti, quindi due fratelli, e di aver condiviso tutte le cose che i figli unici non possono condividere (e sui dolori del figlio unico nel parliamo tanto nel podcast, proprio perché è un ruolo che si tende sempre a invidiare e invece manco per niente). I difetti di una famiglia tradizionale sono quelli che hanno tutti, cioè avere delle bellissime porte blindate senza avere le combinazioni. È una descrizione perfetta per la mia. Anche per questo ho chiesto aiuto a Ilaria, la mia psicoterapeuta: chi meglio di lei poteva aiutarmi a rendere questo podcast insospettabilmente d’aiuto, per me prima di tutto».
C’è sempre il sarcasmo nelle parole di Arianna, è la sua cifra stilistica. È uno strumento che può elevare un dibattito o rovinarlo. Molto dipende dalle capacità di chi lo impiega e da quelle dell’interlocutore nell’apprezzarlo. Può essere usato anche per esprime un sentimento, per dire in modo laterale “ti voglio bene”, per esempio. Questo è successo anche ad Arianna. «Ma non sono stata capita. Bisogna parlare la stessa lingua. O lo parli o non lo parli. Altrimenti si rischia di finire in quel buco nero che è l’offesa e la percezione di sentirsi offesi. Ma c’è qualcosa di ancora più grave di sentirsi offesi dall’umorismo – che l’ultima cosa che vuole fare è offendere – ed è non comprenderlo. L’incomprensione lessicale è la prima forma di discriminazione». Tuttavia, può essere usato con premeditazione e sagace accanimento proprio per offendere. Neppure Arianna è estranea a questo utilizzo, e ammette di ricorrervi «quando so che non verrà compreso. Lo uso come ulteriore umiliazione, ma di questo ne parlerò con la mia psicoterapeuta».
Spesso chi sale su di un palco per far ridere il pubblico è terrorizzato dal non riuscirci. Soprattuto quando i temi sono seri. In merito, Arianna mi spiega che «non serve far ridere, basta sorridere e poi, più che la risata del pubblico, la parte che veramente mi emoziona è quella frazione di secondo di cui il pubblico necessita per comprendere una battuta. Quello è il vero piacere. Il silenzio a cui subito dopo segue o la risata o un commento». Chissà, forse delle volte sarebbe meglio mettere da parte il sarcasmo, che può risultare ingombrante, esagerato, fuori luogo, per far posto a un tone of voice più rassicurante. Le chiedo quindi se ha mai ricevuto consigli in questo senso.
«È un po’ di tempo che hanno smesso di chiedermelo, diciamo che lo hanno chiesto nella maggior parte della mia piccola carriera. Ora no, non sta capitando più, ma è capitato spessissimo. La motivazione è sempre stata che il pubblico certe cose non le capisce e questo penso sia un sintomo di che tipo di stima ci sia del cittadino». Da qui la domanda mi viene facile e le chiedo se ha ricevuto una qualche censura con il suo ultimo podcast. «Spezzo una lancia a favore della Rai che non mi ha neanche chiesto i testi. È la prima volta che accade».
Famiglia e altre cose velenose conta otto episodi e ognuno di essi è dedicato a un personaggio del nucleo familiare, più un extra. Arianna non fa sconti a nessuno, ma ha anche delle preferenze. «La puntata che preferisco è quella sugli estranei, relativa a tutti quei personaggi che vengono a salvarci dall’esterno della famiglia. È il mio ruolo preferito, non se ne parla mai, vengono sempre esclusi dai nuclei famigliari quando invece li contaminano e li sostengono e a volte li salvano, anche. Inoltre è una puntata che entusiasma Ilaria, e avere questo feedback da parte sua come terapeuta ti fa dire: “Caspita, questo è un ruolo che ha bisogno di essere raccontato perché nessuno ne parla”. Negli estranei io metto anche gli amanti nascosti, le persone che sono sconosciute dalla maschera famigliare tradizionale. Per il più ostico, di pancia direi la madre, per ovvie ragioni. Invece ti dirò il padre. Perché è un ruolo di cui si parla poco in questo tempo e che si tende tantissimo a screditare, abbiamo quindi voluto dargli una medaglia. È stato difficile ammettere che la figura del padre sia, in questo momento, sotto attacco».
Che sia in riferimento a una giornata, a un evento o a una vita intera, capita a tutti di guardarsi indietro e di pensare come sarebbe ripartire da capo. Tuttavia, quando ci pensiamo, finiamo sempre per salvare qualcosa del vecchio racconto. Perché poi, alla fine, non era tutto da buttare. Provo a chiedere ad Arianna cosa terrebbe di quanto vissuto in famiglia se dovesse ripartire da zero. Spero in uno spaccato della sua vita, una scena memorabile e invece mi sorprende con: «Be’, direi la mia nascita». Non fa una piega. Sipario.
