In morte di Hermann Nitsch, al confine tra il dolore e il piacere | Rolling Stone Italia
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In morte di Hermann Nitsch, al confine tra il dolore e il piacere

I titoli dei principali quotidiani l'hanno etichettato come l'artista che «dipingeva con il sangue»: una sintesi estrema e un po' splatter che lascia fuori molto di lui, una delle personalità più influenti del Novecento in Europa e negli Stati Uniti

In morte di Hermann Nitsch, al confine tra il dolore e il piacere

Foto di David Visnjic/picture alliance via Getty Images

È morto Hermann Nitsch, l’artista che secondo la sintesi più ricorrente fatta dai titoli dei giornali «dipingeva con il sangue». Una sintesi estrema e piuttosto splatter che lascia fuori molto di lui, ossia una delle personalità più influenti del Novecento in Europa e negli Stati Uniti.

Nitsch è stato attivo in numerosi ambiti, tra cui teatro, pittura, musica (sinfonie e concerti d’organo), scenografia, fotografia, video e performance, ed era molto appassionato di letteratura. Austriaco, era nato il 29 agosto 1938 a Vienna.

Dopo essersi interessato all’Espressionismo e ai suoi aspetti religiosi, si era dato all’arte informale, per poi diventare il fondatore dell’Azionismo viennese (Wiener Aktionismus), una corrente artistica sviluppatasi negli anni Sessanta, mentre in altri paesi si diffondevano gli happening e la performance art. La necessità di mettere al centro il corpo era dunque molto diffusa ovunque in quel periodo, ma i viennesi portarono la provocazione più in là, con azioni che difficilmente suscitavano empatia tra i presenti.

Lo scopo era giungere a una sorta di catarsi, spesso prendendo spunto da rituali della tradizione cristiana oppure del teatro greco, sfidando il confine tra dolore e piacere, e mettendo alla prova il corpo umano e animale fino anche a farlo sanguinare e correre rischi reali. Una delle opere più note di Nitsch è il Teatro delle Orge e dei Misteri, concepito a partire dal 1957, che Nitsch definì «un festival dell’esistenza, un’esperienza concentrata, consapevole e sensuale, del nostro esser(ci)». Il corpo per Nitsch va vissuto fino in fondo, come lo strumento con il quale ci possiamo liberare dalle imposizioni borghesi e dalle diverse forme di censura, condizioni che l’artista riteneva opprimenti e quasi invalidanti, ma in fondo utili a far maturare ed esplodere il nostro bisogno di esprimerci, il quale altrimenti può rimanere sconfitto.

La censura che colpì diverse esibizioni di Nitsch e degli azionisti (negli anni Ottanta potevano durare addirittura sei giorni) a causa della presenza di riferimenti sessuali religiosi e al coinvolgimento di animali – già macellati – nella messinscena non fece che accrescerne la fama, come sempre succede con gli episodi di censura, a dimostrazione che una buona fetta della società era ed è ipocrita.

Avvenne anche nell’ultimo decennio e in Italia: a Mantova, ad Asolo (in provincia di Treviso, dove passò molto tempo) e a Palermo Nitsch fu osteggiato dagli animalisti, cui cercò di spiegare con una lettera che tra lui e loro c’era un grosso equivoco: era sempre stato ambientalista, scrisse. «Nel mio teatro l’animale morto viene consacrato e diventa forma d’arte».

Ed era proprio il dolore inflitto agli animali a convincerlo a mettere in scena le sue opere, i cui antecedenti, come dichiarò, si trovano in Eschilo, Sofocle, Euripide, Caravaggio e Francis Bacon, nella la crocifissione di Cristo, nel dio greco Dioniso fatto a pezzi, in Omero e Virgilio. Ai palermitani spiegò: «Ho acquistato la carne per le mie azioni nei macelli e gli animali erano già stati macellati. Ciò significa che questi animali erano già stati uccisi a scopo alimentare prima della mia azione. Dopo che impieghiamo la carne per la performance teatrale, la mangiamo: l’animale ucciso viene dunque utilizzato due volte, per l’arte e poi per il nostro nutrimento».

Ma questa delucidazione, specialmente nell’ultima parte, non convinse mai alcuni detrattori. «Resto profondamente offeso dal fatto che la mia attività artistica, che dovrebbe rendere più consapevoli, venga invece considerata brutale e crudele», scrisse concludendo la sua lettera. Le mostre in Austria negli anni Sessanta causarono diversi processi in tribunale e tre condanne al carcere, perciò decise di trasferirsi in Germania fino al 1978. Nitsch e altri azionisti esposero in tutto il mondo, dalla Documenta di Kassel alla Biennale di Venezia e nei maggiori musei europei e statunitensi.In Italia arrivarono grazie all’apprezzamento di critici e curatori quali Renato Barilli, Francesca Alinovi, Achille Bonito Oliva, Angela Vettese e Danilo Eccher.

Fino al 20 luglio è possibile vedere una mostra di Nitsch a Venezia, inaugurata ieri alle Oficine 800, sull’isola della Giudecca, ma il legame più forte nel nostro paese è quello instaurato con Napoli, in particolare con Giuseppe Morra, curatore che ha promosso l’opera di Gina Pane, Joe Jones, Marina Abramovic, Bob Watts e Peter Kubelka, oltre agli Azionisti, dando loro una galleria che è anche un laboratorio in cui operare, un centro di documentazione e un archivio in cui conservare la propria arte. Nel caso di Nitsch, Giuseppe Morra ha fatto ancora di più, inaugurando nel 2008 uno dei due musei a lui dedicati (l’altro si trova a Mistelbach, dove ieri l’artista è morto) Il motivo per cui oggi il sit del museo (www.museonitsch.org/it) non è accessibile è nella scelta della Fondazione Morra di trasmettere unicamente l’audio del movimento IV della settima Sinfonia in la maggiore, Op. 92 di Beethoven, come desiderio del Maestro, mentre il sito del museo austriaco a lui dedicato ha scelto di ricordarlo con le sue parole: «La morte è solo un cambiamento, un momento, una breve transizione. L’ego che si ritira fa spazio al divenire e al sé».

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