In Italia si parla ancora troppo poco della dipendenza dai videogiochi | Rolling Stone Italia
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In Italia si parla ancora troppo poco della dipendenza dai videogiochi

Negli ultimi 15 anni il mondo dei videogiochi è cambiato completamente, e ci sono nuovi rischi che molti non conoscono

In Italia si parla ancora troppo poco della dipendenza dai videogiochi

Foto via Unsplash

Quando avevo 9 anni, mio fratello tornò a casa con una copia di Final Fantasy 7. Non ricordo molto di cos’altro accadde nella mia vita in quel periodo, perché il mio sistema nervoso ne fu totalmente assorbito. Continuavo a giocare a calcio, ad andare a scuola, a giocare con gli amici: ma la cosa che mi interessava di più nella vita era battere tutte le Weapon. Ci avrò messo 150 ore di gioco effettivo per finirlo la prima volta; ci ho imparato l’inglese, giocando a Final Fantasy 7.

Mi è accaduto con molti altri videogiochi: gli altri tre capitoli successivi di Final Fantasy, la saga di Suikoden, Grandia, Dragon Quest, Kingdom Hearts, ecc ecc. Non ricordo che i miei genitori abbiano mai cercato di controllare il mio rapporto con i videogame, e probabilmente non ne sentivano neanche il bisogno: forse perché mi è sempre piaciuto anche leggere, e questo gli sembrava un buon bilanciamento del tempo libero. Ma tutto sommato era anche comprensibile: era un mondo innocuo quello dei videogame, totalmente chiuso in se stesso. Nutrivano molta più diffidenza per la Tv, che non per i videogiochi.

A quanto pare, però, la situazione per i più giovani che si avvicinano ai videogame oggi, è molto cambiata: il panorama videoludico è diventato talmente complesso, e immersivo, da rappresentare per molti un’esperienza totalizzante. E quel mondo che ai genitori del 1998 sembrava tutto sommato innocuo, oggi appare come un universo che può potenzialmente sfuggire dal controllo, con molti più rischi correlati.

Ne ha parlato lo scorso 3 dicembre la Fondazione Carolina in un webinar intitolato “ IL VALICO dei giochi online – dalla dipendenza da gaming all’alienazione dei più giovani”, all’interno di un ciclo di altri quattro incontri su tematiche legate all’educazione digitale dei giovani, promosso dal progetto internazionale GET DIGITAL, di Facebook.


Ne ho discusso con Ivano Zoppi, segretario generale di Fondazione Carolina, ed esperto che ha curato proprio il webinar in questione.

Come è cambiato il panorama dei videogiochi nell’ultimo decennio?
Sicuramente il fattore più significativo riguarda il fatto che le esperienze di gioco online si sono estese a tutti i videogiocatori, e di tutte le età. La maggior parte di loro un tempo utilizzava consolle che non sfruttavano la connessione, e quasi tutti i giochi erano “chiusi”: giocavi da solo, o al massimo con amici che ti raggiungevano dal vivo. Per quanto un gioco potesse essere coinvolgente, aveva anche delle limitazioni: dopo un po’ la trama o le sfide da affrontare terminavano. E anche chi ci giocava molto ad un certo punto raggiungeva un limite di “sazietà”, e andava a fare altro. Vedere gli amici, fare sport, ecc ecc.

Le nuove generazioni di videogame prevedono un’esperienza immersiva molto più profonda e totalizzante: crei delle relazioni di gioco con altri utenti che non conosci, l’esperienza si autoalimenta online e diventa praticamente infinita, e c’è anche un sistema di continua coazione a ripetere, premi, e benefit di gioco, che coinvolge anche la parte economica.

Quali sono, quindi, i nuovi potenziali rischi che questo comporta?
Ce ne sono di diverso tipo: alienazione e compulsione, problemi di tipo economico, e anche il nuovo rischio dell’adescamento.

Parliamo dell’alienazione: nel webinar la psicologa che avete interpellato parla di una realtà che per i più giovani può diventare una vera e propria forma di distacco dalla realtà.
I giochi di oggi hanno raggiunto livelli di veridicità e di complessità che richiedono un’applicazione, una dedizione e un coinvolgimento molto superiori rispetto ai vecchi giochi più “arcade” del passato. Certe tipologie, poi, rappresentano dei veri e propri mondi in continuo mutamento, che non finiscono mai: ci sono sempre nuovi livelli, nuove quest, nuove aree da esplorare. Molti giovani ne vengono risucchiati.

Alcuni di essi finiscono per trasformare l’esperienza del gioco in tutta la loro vita: fanno fatica addirittura ad uscire dalla loro stanza, pur di continuare a giocare. È il famoso fenomeno giapponese degli hikikomori, che non scaturisce direttamente dai videogiochi ma è strettamente collegato ad essi: giovani che si isolano completamente dal mondo esterno, si chiudono in casa, e vivono le loro vita unicamente online. Questo fenomeno è in forte crescita anche da noi in Italia.

Un’altra caratteristica da tenere presente della nuova generazione di videogame è quella economica.
Certamente. Un tempo tu acquistavi un videogioco, qualsiasi fosse il prezzo, e l’impatto economico finiva lì. Potevi utilizzarlo quanto volevi, e tutta la dimensione di gioco era accessibile, magari sbloccando nuove opzioni tramite sfide di bravura che dovevi affrontare. Adesso invece i videogiochi prevedono spesso di poter sbloccare determinati benefit tramite l’acquisto online. Pensiamo ad esempio ai giochi di calcio: nei menù dei giochi più famosi ci sono degli shop che consentono di acquistare dei pacchetti di giocatori – un po’ come funziona per le figurine – che vengono sorteggiati casualmente. Per ottenere i giocatori più importanti spesso è quasi obbligatorio acquistare questi pacchetti, e abbiamo raccolto testimonianze di ragazzi che sfilano la carta di credito dal portafoglio dei genitori, pur di ottenere questi benefit.

Come esistono testimonianze di minori adescati proprio su queste piattaforma online.
Sì, ed è probabilmente il fenomeno più allarmante. I nuovi videogiochi hanno dei sistemi di messaggeria istantanea, e di connessione, che consente di collegarsi e stringere amicizia con vari utenti in tutto il mondo. Personalità digitali, che potrebbero essere chiunque. Un nuovo amico coetaneo, oppure un malintenzionato. Capita purtroppo che, proprio utilizzando tecniche di adescamento legate al gioco (scambio di informazioni e consigli, dimestichezza ottenuto condividendo partite insieme) questi individui riescano poi ad attirare questi ragazzi con l’inganno, proponendo incontri nella vita reale.

Come ci si accorge quando una persona vicina a noi sta sviluppando una dipendenza da videogiochi?
Banalmente si deve controllare il lasso di tempo che passa a giocare: se si superano tutti i giorni le tre ore di gioco, già si sta parlando di un’esagerazione. Quando questi tempi si allungano ancora di più, si comincia a parlare di un vero e proprio problema. Se si vede disinteresse totale per tutto quello che non riguarda il giocare, se il mondo esterno genera un minimo livello di attenzione, e se le reazioni sono di tipo rabbioso quando si tenta di evidenziare che sarebbe il momento di allentare con i videogiochi, allora è il caso di intervenire.

Come si può porre rimedio alla situazione?
Rivolgendosi a dei professionisti, ed essendo informati e attenti ai comportamenti e alle abitudini dei figli o degli amici. Se si nota che si stanno isolando, che il gioco sta diventando una forma di compulsione, si deve intervenire. Per i genitori di figli piccoli, invece, è importante informarsi sulle tipologie di giochi che il figlio sperimenta, non lasciando che l’attività videoludica sia gestita in totale autonomia.