Il Passage Světozor è una delle tante gallerie commerciali nel centro di Praga. È conosciuto per via della vetrata a mosaico che ne domina uno degli ingressi e per il cinema Kino, dove venne ospitato il Kinoautomat di Radúz Činčera, una sorta di Bandersnatch ante litteram, in cui il pubblico decideva lo svolgimento del film tramite una votazione. Non siamo qui per questi motivi, ma per un espositore piazzato al centro della porta che dà sul vialone Vodičkova. C’è un menu dentro una busta da raccoglitore e una freccia disegnata che dice 10 metri a piedi indicando quello che, più di un ristorante, sembra un palazzo di uffici.
Se, viste le scale, sarebbe lecito aspettarsi una delle terrazze sulla Moldova, il fatto che si scenda invece per due piani al di sotto della strada è solo la prima delle rivendicazioni involontarie di questo Jídelna Světozor. Una volta raggiunto, la prima cosa che si nota è la gigantesca lavagna al neon su cui sono scritti i piatti del giorno e quelli fissi, tutti appartenenti alla grande tradizione carnivora della Repubblica Ceca. Questa storia che parla di stufati e spezzatini di manzo e maiale, serviti con pasta, riso o i knedlíky, i gnocchi di pane di dimensioni struttura ondivaghe.
Non si vede quasi il viso delle due signore dietro al bancone, incastrate come sono fra le enormi pentole che inondano questo scantinato con i fumi e gli odori di sughi di pomodoro piuttosto aciduli, marroni e grassi, come noto quando mi consegnano il mio piatto di Vepřové kostky na divoko. Lo stufato di maiale che mi ritrovo davanti è robusto ma, sorprendentemente, edibile, come lo sono tutti gli altri piatti che si servono qui. Non c’è nessuna spolverata di prezzemolo e nessuna pagnotta scavata in cui ficcare il gulash, nessun cornetto acchiappa turisti o prosciutto affumicato. Nessun fronzolo, nessuna storia, solo l’accenno della vecchia scuola soviet.

Foto: Francesco Pattacini
Il concetto è quello di un classico self service: scegli il piatto nel meno tempo possibile per non ingombrare il traffico, prendi il tuo vassoio, le posate, fai l’ordine direttamente alla cucina poi ti sposti sul lato bevande – birra, acqua, qualche bibita – e, infine, alla cassa, dove un’altra signora guarda ciò che hai preso, ti parla in ceco, ti indica il totale sullo schermino della casa elettronica: 200 corone, circa otto euro, comprensivi di birra e hovězí vývar s drobením, brodo d’antipasto con briciole e verdure, perfetto per l’idratazione. È un prezzo lontano da quello di ogni altro luogo dorato del centro, ma del resto il motivo c’è. Più che al sogno di ricchezza asburgico, più che al rigore boemo, al Jídelna Světozor si respirano i resti di un’eredità che intreccia la prima industrializzazione con l’era sovietica.

Foto: Francesco Pattacini
I Jídelna, parola ceca per indicare generalmente una mensa, sono sparsi un po’ ovunque in tutto il paese. Negli ultimi anni hanno attraversato anche loro il processo di modernizzazione che ha investito la Repubblica Ceca e, pur mantenendo intatto il carattere popolare nella proposta dei classici cechi a basso prezzo, si sono dati una ripulita estetica e, forse, anche qualitativa, vedendo ciò che succede da Lidovà e Sudop, sempre nella capitale. Nel caso dello Světozor non è stato così e, per questo, è possibile recuperare le tracce di ciò che ha fatto dei Restaurace a Jídelna un simbolo dell’utopia comunista, come luogo destinato al proletariato per un consumo veloce, apparentemente equo e in grado di riprodurre l’ideale anche sotto forma di uniformità gustativa.
«Le radici dei Jídelna, intesi come mensa nel senso di ristorazione aziendale o scolastica, risalgono al periodo immediatamente precedente alla Prima Guerra Mondiale», racconta Martin Franc, professore associato in storia della gastronomia al Masaryk Institute di Praga. «Anche il nome di questo genere di attività, Restaurace a Jídelny, si riferiva alle mense aziendali che, nella seconda metà degli anni Cinquanta, erano gestite da professionisti del settore gastronomico. In passato venivano comunemente chiamati buffet o, in riferimento al locale più famoso del centro di Praga, Automat. In questo caso è più complesso trovarne le radici storiche perché perché risalgono alle mense popolari già attive nella seconda metà del XIX secolo».

Foto: Francesco Pattacini
«Nati originariamente con uno standard qualitativo elevato», prosegue Franc, «con il grande sviluppo delle attività commerciali si focalizzarono, poi, sulla fornitura di pasti economici e veloci destinati soprattutto alla classe operaia. Un fatto che li rese perfetti per l’ideologia del Partito Comunista, periodo in cui raggiunsero il picco della loro popolarità. Antonín Zápotocký, Presidente della Repubblica tra il 1953 e il ‘57, per dire, amava visitare personalmente l’Automat Koruna e mangiare salsicce in budello di pecora, uno dei piatti più tradizionali che offrivano. Questi locali rimasero molto popolari nei decenni successivi come fast food e, per lungo tempo, funzionarono anche da rete di sicurezza sociale, in cui le persone delle fasce socialmente più deboli si rifugiavano. La proposta di queste mense si basava su un cibo economico e veloce: salsicce riscaldate e altri piatti di carne a basso costo, piatti tradizionali come l’arrosto di maiale con gnocchi di cavolo, carne con salse varie, gulasch e via dicendo».
Forse per questo loro carattere popolare in termini di ambiente e di cibo, presentato male ma comunque molto più onesto e sincero di tanti altri che si possono trovare in giro per la capitale, i Jídelna non sono generalmente percepiti in maniera positiva. La storia risale al ’55, quando il governo comunista, nelle sue varie ridefinizioni della vita sociale, suddivise in quattro classi la ristorazione secondo fasce di qualità e prezzo. I Jídelna, nel vociferio popolare, venivano considerato appartenente alla quinta. I motivi non erano solo la qualità del cibo e la scarsa pulizia degli ambienti ma, anche, la mancanza di prodotti e le frodi perpetrate da parte dello staff, compresi il furto del cibo e, soprattutto, dell’alcol che qui, ancora oggi, ha un prezzo più basso rispetto alla media (38 corone per un mezzo litro rispetto alle 80, a volte 100 che si trovano in giro).

Foto: Francesco Pattacini
Si racconta, poi, che lo stesso Zápotocký, in visita al Koruna, si lamentò del fatto che la macedonia venisse servita corretta con il rum sotto richiesta di alcuni studenti: «Che razza di educazione socialista è questa, compagno?», pare che Zápotocký abbia detto arrabbiato al compagno direttore Josef Hlinák. Non deve sorprendere, però, perché bere birra, o altri alcolici, in certe colazioni è un’abitudine più che consolidata. Me lo racconta anche Petra Tajovský Pospěchová, food writer e sociologa ceca, quando ne parliamo: «In Repubblica Ceca esiste una lunga tradizione di buffet o Jídelna, come opzione per uno spuntino veloce o un pranzo, esiste persino una versione ormai scomparsa chiamata mléčný bufet o mléčný bar, incentrata principalmente sui latticini. Alcuni Jídelna possono aprire già alle 5:30 del mattino per offrire ai lavoratori la zuppa del mattino e la prima birra».
Al di là dell’utopia degli Automat, di cui il Koruna in piazza Václavské ne fu uno dei simboli di cui ora rimane solo un’insegna, il legame con questo genere di attività persiste perché rappresentano ancora un’alternativa e un punto di incontro che, insieme al lavoro delle birrerie storiche – diventate in molti casi, non tutti, Gardaland della birra -, mantengono un certo legame con ciò che c’era prima: «Ancora oggi alcune persone non vanno al ristorante e preferiscono i Jídelna perché, in qualche modo, si identificano con questo tipo di ristorazione. Non è una questione di prezzo ma di informalità, vengono percepiti come un’istituzione quasi nostalgica», prosegue Pospěchová. «Ce n’erano sicuramente di più durante il periodo comunista ma, oggi, continuano a offrire un livello piuttosto buono, assumendo quasi i termini di comfort food: queste zuppe, questi stufati immersi di salse corpose fanno davvero parte del patrimonio gastronomico locale. Forse è per questo che hanno ancora qualcosa di irresistibile, qualcosa a metà tra un guilty pleasure e un legame con l’infanzia e la storia del paese».

Foto: Francesco Pattacini
Nel frattempo, fra le mura giallemarroni di Světozor, i tavoli da quattro si riempiono e si svuotano velocemente di ogni genere di umanità. Chi mangia, chi beve, ma rimane il silenzio e il suono dei piatti riempiti e sbattuti sui vassoi, a un ritmo sordo che sa di meccanico. Forse non è il modo migliore per gustare la città, penso mentre sono in uno dei Lokál, i ristoranti con cui il gruppo Ambiente ha preso e modernizzato il concetto popolare dei Jídelna e delle taverne tradizionali. La verità è che, sicuramente, è uno dei modi più veri per scoprire, in profondità, quello che Praga rischia di non mostrare più. Come accade in tante città attraversate dal flusso di turisti che tutto mangiano e tutto pretendono, fino a esaurire ogni traccia di realtà.








