“Il rumore del lutto” è il festival che vuole insegnarci a morire – e a vivere | Rolling Stone Italia
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“Il rumore del lutto” è il festival che vuole insegnarci a morire – e a vivere

Tra conferenze, proiezioni, concerti e laboratori di "death education" il festival vuole farci capire che la morte è normale, che bisogna accettarla e che non siamo fatti per vivere in eterno

“Il rumore del lutto” è il festival che vuole insegnarci a morire – e a vivere

Foto di Elisa Magnoni Photo

Mai come in questi quasi due anni di pandemia la vita ci è parsa così fragile. Ci siamo ritrovati a parlare di malattia e di morte come di qualcosa che per la prima volta poteva colpire ciascuno di noi senza preavviso. Non che prima fosse diverso, è la consapevolezza che è cambiata, l’idea che davvero non possiamo dare nulla per scontato si è resa evidente. Quanto, però, la cultura occidentale ci aiuta ad abbracciare il pensiero della caducità e finitezza delle cose che si accompagna alla coscienza della mortalità e a fare di esso un punto di partenza per una crescita interiore prima individuale e poi collettiva?
 
Maria Angela Gelati e Marco Pipitone, i direttori del festival “Il rumore del lutto”, a Parma e in altre città dall’8 ottobre al 7 novembre, ritengono che nella nostra società del benessere avvenga, semmai, il contrario. “Non è un caso che “Il rumore del lutto” sia nato nel 2007 con un intento provocatorio”, dice Gelati. “Da tanatologa e death educator studio la vita come dimensione esistenziale che include la morte in sé e se a me e Marco è venuta l’idea di questo evento è perché un giorno, durante una passeggiata, abbiamo cominciato a chiederci come fosse possibile che in un Paese che celebra ‘la festa dei morti’ non si porti avanti una riflessione seria e condivisa su determinate tematiche”.
 

Da un primo, singolo appuntamento rivolto a una trentina di persone la manifestazione – che conta innanzitutto sul sostegno economico di Ade Servizi S.r.l., società di onoranze funebri partecipata dal Comune di Parma – è cresciuta fino a diventare una rassegna della durata di un mese che a partire dal 2020 si è allargata da Parma ad altre località e regioni. Per la quindicesima edizione in scena quest’anno saranno coinvolti anche i Comuni di Reggio Emilia, Bologna, Cavriago, Carpi, Mantova, Piacenza, Ferrara, Belluno, Treviso e Venezia. “Con l’associazione Segnali di Vita abbiamo vinto il Bando per le proposte progettuali per Parma Capitale Italiana della Cultura 2020+21, dopodiché è indubbio che la diffusione del Covid, portando molte persone a vivere esperienze di lutto inaspettate in una condizione molto particolare di distanza forzata e provocando in tutti noi smarrimento e paura, abbia reso più urgente il confronto con una questione centrale ma perlopiù rimossa come quella della mortalità”.

 

La locandina dell’edizione 2021 del festival. Nicola Gatti/un_type co-creative gallery

 
Il punto non è che non si parli abbastanza di morte, anzi, ogni giorno quotidiani, siti d’informazione e telegiornali snocciolano dati e immagini su morti di ogni tipo; si tratta, però, di notizie che restano in superficie e il cui senso più profondo è immediatamente allontanato dalla nostra mente. È quanto sostiene il filosofo Umberto Galimberti quando spiega come, promettendo l’aldilà e l’eternità dell’anima, il pensiero giudaico-cristiano, che permea la nostra cultura, ci abbia in fondo spinti a considerare la morte un momento drammatico, ma salvifico, laddove nella tradizione greca la morte è semplicemente un pezzo dell’esistenza umana, parte integrante della tragicità di quest’ultima.
 
Sono due approcci opposti che conducono a paradigmi diversi anche nella costruzione della società, ed è di questo che discorrerà proprio Galimberti durante “Il rumore del lutto” in un incontro con Ines Testoni, docente di Psicologia sociale e direttrice del master in “Studi sulla morte e sul morire” presso l’Università di Padova. Ma il calendario della manifestazione è ricchissimo e comprende non solo convegni e conferenze, ma anche mostre, proiezioni cinematografiche, reading poetici, visite architettoniche, presentazioni letterarie, performance, istallazioni, spettacoli, escursioni, nonché dj-set e concerti, perché, osserva Pipitone, dj e giornalista musicale esperto di new wave e dark wave anni 70 e 80, “musica e morte si frequentano non di rado”. 
 
Tra gli oltre 80 appuntamenti del cartellone interdisciplinare della rassegna, quest’anno intitolato “Visioni”, anche la musica ricopre, dunque, un ruolo importante: sul palco Cristina Donà, Julie’s Haircut, Nero Kane, Not Moving Ltd, Frigidaire Tango e i Giardini di Mirò con il nuovissimo disco Del tutto illusorio, suite strumentale composta durante il primo lockdown d’inizio 2020. Atteso, inoltre, Massimo Zamboni con il libro La trionferà e non mancheranno incontri e dialoghi dedicati a Franco Battiato di Aldo Nove e a Trenodia, progetto di Mariangela e Vinicio Capossela pensato per Matera Capitale Europea della Cultura 2019: una processione artistica volta a “trasformare la lamentela in un pianto rituale, pubblico e collettivo, rigenerante, preparatore di un risveglio”.
 
“Saper piangere è ciò che può trasformare lo strazio, per reintegrare l’umanità nella storia, per rialzarsi e tornare ai doveri della vita”, è la premessa, affine nella sostanza a quella de “Il rumore del lutto” nel suo tentativo di sdoganare presso una platea la più ampia e variegata possibile questioni tradizionalmente considerate, almeno in Italia, appannaggio della Chiesa. “Ci piacerebbe andare oltre certi cliché ormai desueti e sdoganare un laicismo spirituale che parta anche dal confronto con le religioni, al plurale, e che non si chiuda in visioni dogmatiche”, afferma Pipitone.
 
E qui entrano in gioco i laboratori di death education proposti dal festival sia per gli adulti, sia per bambini e ragazzi. “Negli ultimi decenni la ricerca scientifica ha compiuto passi da gigante nell’innalzare le aspettative di vita, fa notare Gelati. “Il problema è che questo percorso di controllo tecnologico sulla natura si è legato all’idea che dobbiamo non solo vivere a lungo, ma anche restare giovani, per cui anche l’invecchiamento e l’indebolimento del corpo sono di frequente vissuti con vergogna, come un fallimento. Ecco, forse la pandemia ha aumentato il bisogno di rivedere questa impostazione e di conquistare una consapevolezza che ci permetta di affrontare con maggiore serenità il trascorrere del tempo e quindi di vivere più pienamente”. 
 
Se la prima edizione del festival era stata lanciata in nome di Pier Paolo Pasolini e della sua convinzione che “la morte non è nel non potere più comunicare, ma nel non potere più essere compresi”, quindici anni dopo l’intellettuale ucciso nel 1975 sarà nuovamente ricordato con la mostra La forza dello sguardo di David Parenti. Da segnalare anche l’incontro tra l’architetto Mario Botta e la fotografa Letizia Battaglia, che per l’occasione esporrà una serie di scatti e sarà omaggiata con la proiezione del documentario biografico Shooting The Mafia di Kim Longinotto.
 
Ci sarà spazio, poi, per il film Squilibrio di Luca Rabotti e Gaia Panigalli, sulla storia di Giovanni Merla, ex cocainomane che ha trovato la salvezza nel rapporto con la natura e gli animali e che durante un incontro ad hoc ripercorrerà la sua esperienza. E in un momento in cui l’eutanasia è al centro del dibattito pubblico grazie alla raccolta firme per il referendum promossa dall’Associazione Luca Coscioni, si parlerà anche di cure palliative, oltre che di visioni differenti del trapasso, di misticismo, dei cimiteri come luoghi di meditazione, di elaborazione del lutto nell’epoca della digitalizzazione, di archeologia del sé.
 
“Vorremmo offrire una nuova alfabetizzazione sui significati della morte dalle prospettive più disparate, per riappropriarci del nostro futuro di esseri umani”, conclude Gelati. “Il che non significa pensare tutti i giorni alla morte, ma riaccogliere quest’ultima in un viaggio di ricerca e di presa di coscienza fatto di parole, di musica, di arte, di gioco, di fantasia, persino di risate. Che cosa significa vivere e dover morire per ciascuno di noi? È a questa domanda che “Il rumore del lutto” cerca di rispondere. Perché se è vero che ciascuno trova la propria via per sublimare le proprie paure, l’obiettivo ultimo e trasversale dovrebbe essere l’interiorizzazione della mortalità come fondamento dell’esistenza e dunque della stessa vitalità”.