Il rum ha preso il passaporto, e chi lo ferma più | Rolling Stone Italia
il mondo nel bicchiere

Il rum ha preso il passaporto, e chi lo ferma più

Prima era un sogno tropicale, ora un prodotto agricolo che racconta il territorio. Dalla Thailandia alla Sicilia, prendetelo, se ci riuscite

rum shakara

Il rum Shakara

Foto: press

Quando nel 1934 Donn Beach aprì quello che sarebbe passato alla storia come il primo Tiki Bar, il Don the Beachcomber, non sapeva che stava dando vita a un filone destinato a segnare la storia dei cocktail. La sua idea, da intraprendente imprenditore della ristorazione, era quella di (citando una frase che ironicamente è diventata di grande moda un secolo dopo) vendere experience.

Beach, ispirato dai suoi viaggi nei tropici, creò un format dove camerieri e cameriere indossavano abiti tropicali, troneggiavano idoli polinesiani, collanine colorate e camicioni a fiori, mentre si bevevano abbondanti drink a base di rum, lime e zucchero, con nomi come “rhum rhapsodies” o “exotic cocktails”.

Insomma, Donn aveva inventato uno dei primi ristoranti tematici e, se oggi siamo abituati ad avere un Old Wild West dietro casa e non ci sembra nulla di straordinario, per l’epoca in cui si usciva dalla Grande Depressione era una novità assoluta. Don the Beachcomber non vendeva semplicemente drink, ma l’illusione di una vacanza ai tropici al modesto costo di un cocktail.

E sapete qual era la connessione inevitabile nel bicchiere con i Caraibi? Il rum. Ancora oggi, in un vero Tiki Bar, ogni cocktail che vi verrà servito sarà a base di distillati di canna da zucchero (per i nerd: se è un distillato diverso, la dizione corretta è “tropical”, non Tiki). Per secoli la geografia turistica e quella alimentare hanno coinciso così strettamente da non riuscire a distinguerne i bordi. Ma in questo secolo, in cui tutto sembra essere rimesso in discussione, la geografia dei distillati cade pezzo dopo pezzo: prima con i whisky giapponesi e non solo, poi con i gin provenienti praticamente da ogni frazione d’Italia, e ora anche con il rum.

Il motivo per cui, finora, la produzione di rum è rimasta concentrata quasi solo in America Latina sembra più storico che geografico. Nato probabilmente nel XVII secolo nelle piantagioni di canna da zucchero dei Caraibi, si è presto diffuso in tutto il mondo coloniale, diventando il simbolo liquido di un’epoca. Si ottiene fermentando e distillando il succo fresco della canna o la melassa, il residuo della raffinazione dello zucchero. Da allora, il rum ha seguito rotte precise: i Caraibi, l’America Centrale, il Sudamerica, le isole francesi e britanniche d’oltremare, tutte zone dove la canna prospera grazie al clima tropicale.

Ma qui viene il bello. La canna da zucchero è una pianta sorprendentemente adattabile. Oggi cresce in decine di paesi, dall’Asia all’Africa, dall’Oceania fino al Mediterraneo, e il mondo del rum si sta lentamente espandendo oltre i confini storici. Complice anche il riscaldamento globale, territori prima impensabili — come la Sicilia o il Sud dell’Europa — stanno riscoprendo questa coltura, sperimentando nuove strade e dando vita a progetti originali. Non si tratta di semplici imitazioni tropicali: il rum prodotto fuori dai classici epicentri caraibici sta trovando una voce propria, portando con sé storie di riscatto agricolo, visioni artigianali e un’attenzione crescente al terroir.

Asia
Partiamo dalla Thailandia con Shakara, rum invecchiato 12 anni nel cuore tropicale del Sud-est asiatico, nella provincia di Nakhon Pathom, a ovest di Bangkok. La Thailandia è uno dei maggiori produttori mondiali di canna da zucchero, e Shakara sfrutta al massimo le condizioni climatiche locali: alte temperature, tassi di umidità vertiginosi e un angel’s share (la parte che evapora durante l’invecchiamento) tra il 7% e il 9%. Il risultato è un rum di melassa intenso, maturato in ex botti di Bourbon, con un palato che gioca su zucchero di canna, mango, papaya, fico fresco, mandorle e noci. Al naso spiccano cera d’api, miele di erica, albicocca sotto spirito, mentre il finale evolve con note di crème caramel, liquirizia, gelsomino, geranio e leggere sfumature resinose. Shakara alterna sequenze aromatiche opulente a tocchi più eleganti, capace di sorprendere anche i degustatori esperti.

Dal Giappone arriva Nine Leaves. Fondato da Yoshiharu Takeuchi, ex manager Toyota con il sogno di produrre rum come si fa con i single malt, Nine Leaves ha lavorato per dieci anni a Otsu, vicino al Lago Biwa, usando lo zucchero nero Kokuto di Okinawa e acqua dolcissima locale. Takeuchi distillava tutto da solo, con due pot still scozzesi Forsyth’s, uno largo e uno slanciato, per ottenere complessità e purezza. Gli invecchiamenti avvenivano in magazzini soggetti a sbalzi termici o in una miniera abbandonata, creando profili diversi: il primo robusto e deciso, il secondo più sottile e delicato. Le botti usate erano ex Bourbon, ex vino, rovere americano e russo, ciascuna scelta per esaltare una sfumatura. Anche se la distilleria ha chiuso, i suoi stock vivono ancora grazie a La Maison & Velier, che ha lanciato una serie ispirata al gioco di carte giapponese Unsun Karuta. Nine Leaves è una rarità, destinata a collezionisti, ma anche una bottiglia che racconta una storia di dedizione artigianale senza compromessi.

nine leaves rum

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Africa
In Sudafrica, Mhoba produce Bushfire, un rum artigianale che nasce a Malalane, nella regione di Mpumalanga, vicino al confine con il Mozambico. Mhoba lavora con canna da zucchero coltivata e raccolta a mano, usando tecniche rustiche e alambicchi progettati internamente. Bushfire è un rum affumicato, dal profilo intenso e deciso: note di legno bruciato, tabacco, caramello tostato, pepe nero e frutta secca lo rendono perfetto per chi cerca emozioni forti e non ha paura di sapori spigolosi e irregolari.

Saliamo più a nord, fino alle Seychelles, con Takamaka, il rum prodotto sull’isola di Mahé. Takamaka è un nome iconico per chi ama i rum tropicali, e la gamma spazia dai bianchi freschi e aromatici agli invecchiati più strutturati. Le versioni bianche offrono profumi di cocco, agrumi e zucchero di canna, con una bocca leggera e rinfrescante. Gli invecchiati sviluppano sentori di frutta secca, miele, vaniglia, legno speziato e leggere note tostate. Takamaka è un rum da bere sia in purezza sia in miscelazione, perfetto per cocktail esotici o per un punch fresco da spiaggia.

rum takamaka

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Alle isole di Capo Verde troviamo Barbosa Amado & Vicente, un nome che mescola antiche tradizioni e innovazione. Questo rum si distingue per eleganza e profondità: al naso, note di frutta tropicale matura, spezie dolci, caramello e mandorla tostata; in bocca, morbidezza e intensità si fondono con una chiusura piacevolmente lunga e leggermente salina, segno del terroir atlantico capoverdiano. È un rum che racconta una terra di vento, sale e sole, lontana dalle rotte commerciali più battute.

Europa
In Europa scopriamo Distilleria Alma, nata a Modica, Sicilia, la prima distilleria italiana di rum. Fondata nel 2021 da tre soci, Alma è tra le prime realtà ad aver recuperato la coltivazione della canna da zucchero sull’isola, scomparsa da secoli. Alma lavora con due varietà: la viola, dolce e fruttata, e la gialla, più precoce e fresca. È un rum mediterraneo, che unisce radici storiche siciliane a un’energia contemporanea.
Dal Principato di Monaco arriva Mother Mesccia, un progetto che rievoca l’antica “mesccia” del Seicento, quando nei porti monegaschi il rum caraibico veniva mescolato a vermouth e marsala. Oggi, grazie a una doppia distillazione tra Haiti e Monaco, Mother Mesccia riparte dalla canna haitiana Crystalline, raccolta a mano e distillata prima a Saint-Michel-de-l’Attalaye e poi rifinita alla Distillerie de Monaco. Il risultato è un rum bianco intenso, imbottigliato a 46 gradi, con profumi netti di canna da zucchero, agrumi freschi, frutta tropicale, erbe aromatiche e una sottile vena vegetale. Una bottiglia che racconta una storia antica ma con spirito nuovo, perfetta per chi cerca qualcosa di diverso e raffinato.

Mater Rum

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Australia
Chiudiamo il nostro giro del mondo in Australia, con Beenleigh. La Beenleigh Artisan Distillery è la più antica distilleria registrata in Australia, fondata nel 1884 sulle rive del fiume Albert, nel Queensland. La sua storia risale al 1865, quando John Davy e Francis Gooding, immigrati dall’Inghilterra, acquistarono un terreno per coltivare cotone. Tuttavia, ben presto si resero conto che la coltivazione della canna da zucchero era più redditizia. La svolta arrivò quando il battello a vapore SS Walrus, utilizzato come distilleria galleggiante, si arenò vicino alla loro proprietà. Acquistando l’alambicco di rame a bordo, Davy e Gooding iniziarono la produzione di rum, dando vita alla Beenleigh Distillery.

Oggi Beenleigh continua a produrre rum artigianale utilizzando melassa di alta qualità proveniente da un mulino a conduzione familiare locale, acqua piovana pura del Queensland e lieviti selezionati. È nota anche per la produzione del rum “Inner Circle”, originariamente riservato ai dirigenti della Colonial Sugar Refining Company e oggi apprezzato dagli intenditori per il suo carattere deciso e la gradazione alcolica elevata.

rum Beenleigh

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Il rum, insomma, sta vivendo una seconda giovinezza. Si è riscoperto prodotto agricolo, espressione liquida di un territorio, mica solo ingredienti di cocktail vacanzieri. La sua forza oggi è questa: non dover più dimostrare di essere “esotico” per essere desiderabile. Perché, quando smette di farci sognare l’altalena sospesa tra due palme, il rum inizia davvero a raccontarci il mondo.

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