Il libro da leggere per capire l'America nera, dopo Black Lives Matter | Rolling Stone Italia
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Il libro da leggere per capire l’America nera, dopo Black Lives Matter

"Finché non ci ammazzano" di Hanif Abdurraqib mischia racconto in prima persona a critica culturale per raccontare l’America nera, dagli omicidi di afroamericani ai campioni neri del basket che pagano multe per potersi vestire come gli pare e "non dimenticare da dove vengono"

Il libro da leggere per capire l’America nera, dopo Black Lives Matter

New Jersey. Hanif Abdurraqib è a un concerto di Bruce Springsteen, in uno stadio sold-out, pieno di gente, ma in cui gli unici neri che vede svolgono lavori manuali. “Sono sicuro che il fatto stesso che l’abbia notato potrebbe suonare assurdo a buona parte di chi era lì per assistere al concerto”. Nei paragrafi intorno a questa considerazione, l’autore tesse un legame tra il lavoro come sopravvivenza e l’idea romantica che ne emerge da canzoni come Hungry Heart o Out in the Street.

Hanif Abdurrqib è un critico culturale che ha scritto, tra gli altri, su New York TimesParis Review. Finché non ci ammazzano, che esce oggi in italiano per Edizioni Black Coffee, è il titolo che inaugura la nuova collana Americana, un insieme di voci che narrano la complessità della sfaccettata società nordamericana. La collana vuole unire le storie autobiografiche con la realtà al di fuori di quelle vite, raccontando come il mondo che cambia ridefinisce le esperienze singole e le categorie collettive. Ed è esattamente quello che avviene in Finché non ci ammazzano, dove il racconto in prima persona si perde nello sport, nella musica, nella cultura popolare che definiscono l’America nera. 

“So solo che capisco bene che cosa significa essere nero in America, e che in passato sapevo bene cosa significasse essere povero in America. So che in entrambe le cose, che spesso vanno a braccetto, il lavoro è sempre cruciale, come la speranza che ne arrivi ancora,” continua Abdurraqib per cui il lavoro bello, duro, romantico cantato da Springsteen è il sogno di quei privilegiati che possono non soltanto concentrarsi sul presente, ma anche pensare al futuro. Nel 2016 ad Abdurraqib, che il giorno prima del concerto in New Jersey era a Ferguson, Missouri, riesce difficile immaginare il domani come è cantato in un album del 1980, The River. Nel 2016, “evitare di guardare i video degli omicidi dei neri non significa che non stiano ancora ammazzando i neri”. A poco più di un anno dall’omicidio di George Floyd, dal video del suo arresto, delle manifestazioni #BlackLivesMatter, queste parole risuonano nel presente dalla targa in memoria di Michael Brown (diciottenne afroamericano ucciso nel 2014) dove Hanif Abdurraqib trova un biglietto, “Non ci ammazzano finché non ci ammazzano”. 

A ogni capitolo le vicende personali si mischiano con quelle pubbliche, facendo una sintesi delle diversi volti della società americana: il 12 febbraio del 2012, mentre Trayvon Martin viene ucciso in Florida, l’autore è a un concerto degli Atmosphere in Minnesota; sta festeggiando il Ringraziamento mentre in televisione dicono che da lì a qualche giorno una giuria deciderà se condannare o meno Derren Wilson, l’agente che ha sparato al diciassettenne disarmato.

La scrittura lirica di Abdurraqib eleva attimi passati in sordina — che quando accadevano sembravano insignificanti — a eventi storici degni di essere fissati nei libri. Così il doppio crossover che Allen Iverson aveva rifilato a Michael Jordan in una piovosa sera del 1996, in Ohio, è la manciata di secondi attorno a cui elaborare una serie di riflessioni su due atleti neri agli antipodi. “Anni dopo, nel 2005, con Iverson che ormai si era fatto crescere i cornrow, aveva iniziato a portare magliette lunghe e abbondanti e cappelli a falda piatta, coprendosi di catene d’oro a ogni conferenza stampa, l’NBA istituì un dress code. Michael Jordan si vestiva sempre bene, dopotutto”. Quella che divenne poi conosciuta come regola Iverson, costrinse il giocatore a pagare una multa dietro l’altra pur di potersi vestire come voleva, “pur di non permettere a nessuno di dimenticare da dove veniva”. 

La geografia della casa emerge in diversi saggi: è la Chicago in cui Chance The Rapper ha imparato a volare, è la magia con cui Bruce Springsteen si esibisce nella sua New Jersey, sono i sobborghi americani cantati dai Wonder Years, è il Midwest dello stesso Abdurraqib.

La casa, cioè “il luogo in cui vivi e cresci, in America, ha implicazioni molto concrete, e su questo non bisogna passare sopra. Ma ho trovato me stesso, e tuttora trovo me stesso, sempre avendo ben presente da dove vengo e le pressioni e le aspettative che quelle origini si portano dietro. Sono orgoglioso di essere sopravvissuto al luogo da cui vengo, e me lo tengo stretto con gioia”. Conoscere Compton, conoscere la geografia della casa delle sorelle Williams è indispensabile per capire la loro parabola, lo spirito competitivo, il carattere. Bisogna avere a mente il luogo da dove viene Serena Williams, come del resto Allen Iverson, per capire che sono arrivati in un posto dove nessuno immaginava di trovarli.