Il Blackn[è]ss Fest è un laboratorio di resistenza | Rolling Stone Italia
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Il Blackn[è]ss Fest è un laboratorio di resistenza

Islamofobia, profilazione razziale, salute mentale e mercificazione del corpo nero: una cronaca dell'evento dedicato alla rappresentazione dell'universo afrodiscendente in Italia

Il Blackn[è]ss Fest è un laboratorio di resistenza

Foto: Sara Lemlem

Dal 23 al 25 settembre in uno dei tunnel a volta sotto i binari della Stazione Centrale di Milano si è svolta la seconda edizione del Blackn[è]ss Fest, evento dedicato alla rappresentazione dell’universo afrodiscendente in Italia. «Uno spazio in cui possono nascere confronti e occasioni per approfondire tematiche riguardanti le persone di seconda generazione con background migratorio», spiega una delle ospiti, l’attivista e social media manager Iman Scriba.

Durante la giornata conclusiva del festival sono stati affrontati argomenti che di solito vengono raccontati poco e male dai media tradizionali: islamofobia, profilazione razziale, salute mentale e mercificazione del corpo nero.

«Di islamofobia si parla troppo poco, nonostante negli ultimi vent’anni la discriminazione delle persone di religione musulmana sia aumentata tantissimo», sottolinea la giornalista freelance e podcaster Leila Belhadj Mohamed. A suo avviso su questo tema la politica oscilla tra il razzismo della destra e il paternalismo della sinistra.

«Nessuno, compresi noi giornalisti, ha messo enfasi su quella parte di programma del centrodestra che parla di lotta all’islamizzazione e al bilinguismo delle persone di origine arabofona. Proposte che avranno un impatto se non legislativo sicuramente sociale, a partire dall’aumento delle microaggressioni a sfondo razziale. Siamo molto afflitti perché quest’aspetto della xenofobia della destra è stato ignorato», dice Belhadj. «Si è messo giustamente l’accento sulla questione dei decreti sicurezza, ma sul fatto che siamo le uniche persone inserite all’interno dei programmi elettorali non se n’è parlato, né a destra né a sinistra. Questo è problematico e credo che condizionerà la quotidianità delle persone di religione musulmana».

Una quotidianità già segnata da una pratica poco raccontata, ma invasiva e traumatizzante: «Siamo in un periodo di profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine nei confronti dei ragazzi di origine araba o nordafricana», segnala Belhadj. «Si iniziano a vedere molti fermi della polizia in cui vengono chiesti i documenti anche agli adolescenti perché sospettati di provenire dai centri di accoglienza. E non bisogna dimenticare i diversi episodi di donne con il velo aggredite sui mezzi pubblici. L’intolleranza verso musulmani e nordafricani è in crescita».

Il Blackn[è]ss Fest rappresenta «un momento di quiete prima di uno scenario incerto» per Iman Scriba. «Le elezioni politiche avranno un effetto sulle persone e sul loro modo di manifestare l’odio. Un odio che personalmente ho percepito molto più forte durante il primo governo Conte con Salvini al Viminale».

Dalle parole della giovane attivista, intervenuta al festival per presentare la sua fanzine sulla psichiatrizzazione e partecipare alla tavola rotonda sulla salute mentale, traspare inoltre una comprensibile sfiducia nelle formazioni politiche di sinistra che «promuovono qualche piccola lotta per i diritti civili» senza troppa convinzione.

È quindi «necessario creare degli spazi di dialogo in cui si possano affrontare le tematiche che toccano le persone non rappresentate a livello politico», afferma Emmanuelle Maréchal, creatrice insieme ad Ariam Tekle del podcast Black Coffee che ha dato vita al Blackn[è]ss Fest.

Dagli incontri del 25 settembre sono emersi numerosi spunti di riflessione, ma forse il vero successo di Tekle e Maréchal sta soprattutto nell’essere riuscite a creare un luogo di resistenza «capace di offrirci la possibilità di una prospettiva radicale da cui guardare, creare, immaginare alternative e nuovi mondi», per citare la preziosa lezione di bell hooks.

Gli inviti alla resistenza e le tardive preoccupazioni delle persone bianche per il destino di quelle razzializzate in Italia dopo la vittoria della coalizione guidata da Giorgia Meloni strappano invece un sorriso amaro nel paese della legge Bossi-Fini e della cittadinanza negata ai figli di stranieri nati o cresciuti qui, considerati pedine sacrificabili sull’altare del più bieco opportunismo politico. Responsabilità non attribuibili solo alle destre, visto lo scarso impegno mostrato in più di una circostanza da presunte forze progressiste come il Partito Democratico. «Meglio avere un’avversaria chiara, le cui politiche non mi piacciono, detesto, avverso che una serie di falsi amici che fanno finta di aiutarti e dopo ti tradiscono, ti umiliano”, scrive su Facebook l’autrice Igiaba Scego, ricordando che «la resistenza non è mica cominciata adesso per migranti e figli di migranti. In una società in cui il nostro corpo è cancellato, è iniziata il giorno della nostra nascita».