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I romanzi di Pier Vittorio Tondelli, dal peggiore al migliore

Dopo aver attraversato gli anni Ottanta con addosso l'etichetta di "giovane scrittore" generazionale, Pier Vittorio Tondelli moriva 30 anni fa, il 16 dicembre 1991, a soli 36 anni. E diventava un autore di culto

Alberto Roveri/Mondadori via Getty Images

Sono passati trent’anni dalla morte di Pier Vittorio Tondelli, andatosene a soli 36 anni il 16 dicembre del 1991. Dall’esordio con i racconti di Altri libertini (1980) all’ultimo romanzo, Camere separate (1989), lo scrittore di Correggio ha attraversato gli anni Ottanta con l’etichetta di “giovane scrittore”, da lui accettata di buon grado a patto che si chiarissero i confini di questa definizione.

In questi giorni Paolo Di Paolo ha ricordato sull’Espresso una tavola rotonda di 35 anni fa. Assieme ai più anziani Edoardo Sanguineti, Antonio Tabucchi e Daniele Del Giudice, Tondelli era stato chiamato a esprimersi sulla categoria dei “giovani scrittori”. “Per me”, disse, “è giovane scrittore chi ha a che fare con l’universo dei comportamenti giovanili, fatto di determinate riviste, di musica rock, di originali esperienze culturali e di vita. A me questa definizione sta bene. Se scrivi di giovani e li rappresenti, sei un giovane scrittore”.

Proprio il rock è stata una delle grandi passioni di Tondelli, che in fatto di musica era onnivoro e che con gli appassionati di musica ha sempre dialogato. Basti pensare a “Culture Club”, la sua rubrica sul mensile Rockstar in cui, per esempio, nella primavera del 1988 raccontava le sue passeggiate parigine con la musica di Viva Hate, l’attesissimo esordio solista di Morrissey, che usciva dalle cuffie del suo walkman. E agli appassionati di musica piaceva Tondelli. Attendevano l’uscita dei suoi libri come quelle degli album degli Smiths o degli Echo And The Bunnymen.

Come ha scritto Fulvio Panzeri, il curatore delle sue opere recentemente scomparso, “la forza di Tondelli è stata quella di essersi posto nell’ottica dell’osservatore curioso e attento di tutte quelle tendenze che allora caratterizzavano la ‘nuova’ realtà giovanile e che creavano un paesaggio diverso anche per la letteratura, in quanto cambiavano i punti di riferimento della società, con l’imporsi della musica e del rock come realtà vissute in forma collettiva”.

Per ripercorrere l’opera di Pier Vittorio Tondelli a 30 anni dalla sua scomparsa e celebrare allo stesso tempo la sua passione (ricambiata) per il mondo della musica, abbiamo pensato di mettere in ordine i suoi romanzi dal peggiore al migliore, proprio come facciamo con le band e i loro album.

Pao Pao (1982)

Pao sta per Picchetto armato ordinario, il reparto militare impiegato per la sorveglianza e il pronto impiego all’interno delle caserme e nei luoghi pubblici. L’opera seconda di Tondelli parte da qui, dall’esperienza della caserma come rito di passaggio, luogo nel quale lo scrittore ambienta un romanzo in cui sentimento e comicità convivono nelle storie di un gruppo di militari di leva.

Dopo l’esordio di Altri libertini e la notorietà a esso seguita, Tondelli pubblica sul Resto del Carlino e sulla Nazione il Diario del soldato Acci, raccontando l’esperienza del servizio militare svolto a Orvieto e Roma, esperienza infine confluita in un romanzo che si nutre di autobiografia e di personaggi che, all’interno di un’istituzione totale come la caserma, vedono i propri slanci frenati dalla situazione in cui si trovano ma cercano ugualmente di vivere la loro voglia di libertà. Si tratta della prova narrativa meno riuscita di Tondelli, l’unica non imprescindibile, che nondimeno vendette trentamila copie nel periodo in cui l’autore era in vita.

Rimini (1985)

Un romanzo scritto tenendo d’occhio un grande foglio di carta da pacchi, due metri per uno e mezzo, su cui Tondelli ha disegnato la mappa della riviera romagnola. Un foglio pieno di ritagli di giornali da cui trarre spunti e di fotografie utili alla descrizione di alcuni personaggi.

Già prima di esordire con Altri libertini, racconta Lanfranco Vaccari, all’epoca giornalista all’Europeo, lo scrittore annota nel suo diario: “Rimini, molto chiasso, molte luci, molti café chantant e marchettari”. In un articolo comparso su Linus nel 1982 precisa: “La fauna si mischia come in una Nashville patriottica e poliglotta, si bagna, si asciuga, si dissolve, si droga, si eccita. Questi ragazzi che limonano e spinellano e si stravolgono notte e giorno costituiscono la più ardente, improvvisata e autogestita carnevalata rabelaisiana cui sia possibile partecipare in patria. Per questo ogni anno si torna a Rimini: perché è l’unico luogo in cui è ancora possibile vivere e innestarsi nel continuum del romanzo nazionalpopolare. Per cui voi che siete a Rimini, ora, mandate una cartolina e raccontate. Siete già, o fortunati, in pieno romanzo”.

Rimini è un romanzo polifonico in cui si intrecciano sei storie diverse, ma è tutt’altro che complicato: in tutta la bibliografia di Tondelli è il titolo meno intellettuale, più di consumo. L’interesse dei Vanzina per acquisirne i diritti è lì a dimostrarlo. L’autore rifiuta, ma in qualche modo il suo libro al cinema ci finisce comunque, dato che ne utilizza alcuni spunti per la sceneggiatura del dimenticabile Sabato italiano di Luciano Mannuzzi.

Una volta uscito, Rimini diventa quasi un fenomeno di costume. Tondelli viene pure invitato alla Domenica In di Pippo Baudo, ma la sua partecipazione viene poi annullata perché alla Rai trovano sconveniente che fra le sue pagine ci siano anche scene di sesso. La presentazione del romanzo avviene al Grand Hotel di Rimini, condotta da Roberto D’Agostino e accompagnata dalle note di Rimini Ouagadougou di Lu Colombo, discreto successo al Festivalbar di quell’anno. Siamo in pieni anni Ottanta italiani, insomma.

Alla luce di quanto appena detto, Rimini è un’opera molto interessante e molto sottovalutata, mai considerata dalla critica al pari di Altri libertini e Camere separate. Durante la vita dell’autore ha venduto la bellezza di centomila copie. Lo stesso Tondelli, pochi mesi prima della morte, la riassunse così: “Ha bellissime parti descrittive, è piena di un brulicare di vita e di storie ma ha delle debolezze evidentissime: troppa autobiografia ‘sublimata’, un sottofondo patetico-sentimentale che non va assolutamente bene, brutti dialoghi all’americana”.

Altri libertini (1980)

Un esordio da quarantamila copie vendute, grazie anche al pretore dell’Aquila che lo fa sequestrare per “atti di oscenità” in quanto “opera luridamente blasfema” e lo trasforma in un caso letterario. Tondelli si presenta da Aldo Tagliaferri, editor Feltrinelli, con i suoi sei racconti di una gioventù di provincia che ben conosce e tutta l’ingenuità di un venticinquenne. “Mi aspettavo un’immediata pubblicazione”, racconterà. “Non mi passava nemmeno per la testa il fatto che quelle quattrocento cartelle sarebbero state ridotte, strapazzate e, infine, dimenticate per far posto a quello che sarebbe diventato il mio libro d’esordio”.

“Tondelli mi sembrò un autentico talento, ricco di genialità espressiva”, dirà invece Tagliaferri. “Ma nella sua prosa c’era un elemento caotico, mancava una strategia complessiva. Gli esposi le mie obiezioni. Forse lo maltrattai. Gli suggerii anche di cassare alcune bestemmie e qualche crudezza sessuale. Gli piaceva essere trasportato dalla rabbia, oltrepassare i limiti. Si imbronciò, litigammo anche. Ma da quel momento si applicò a rivedere soprattutto il tessuto della sua lingua con una dedizione che non avrei mai immaginato”.

Subito dopo l’uscita, Giovanni Giudici lo intervista sull’Espresso e gli chiede: “E politicamente lei come si colloca?”. “Fuori dei coglioni di tutti”, gli risponde il giovane scrittore. Gli anni Settanta sono davvero finiti.

Camere separate (1989)

Il tempo di attraversare gli anni Ottanta anche come giornalista e talent scout (grazie alle sue antologie Under 25 esordirono, tra gli altri, Silvia Ballestra, Giuseppe Culicchia e Gabriele Romagnoli) e la storia letteraria di Pier Vittorio Tondelli già termina, con il romanzo che ha meglio resistito al passare degli anni, il cui protagonista è un giovane scrittore (ebbene sì) che ha perso il suo amatissimo compagno. “È il suo testo meno generazionale”, ha confermato Fulvio Panzeri, “quello in cui si mette a nudo, con estrema sincerità e attraversa, a vari livelli, il tempo del lutto e della morte”.

“Negli altri miei libri,” disse Tondelli, “credo di essere rimasto un po’ sulla superficie, di aver volutamente raccontato la superficie delle cose. Preferivo la descrizione di certi ambienti, di certa fauna, di certe città, mentre in Camere separate volevo cercare le ragioni più profonde del mio modo di scrivere, del mio modo di vivere. Il lutto del protagonista può essere inteso in senso più generale come il lutto di una generazione un po’ smarrita tra la voglia di buttarsi nel carrierismo, nel rampantismo, e quella di guardarsi un po’ dentro per capire bene chi si è, qual è la propria verità, qual è la propria storia”.

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