I grandi incendi boschivi sono il futuro dei cambiamenti climatici | Rolling Stone Italia
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I grandi incendi boschivi sono il futuro dei cambiamenti climatici

Siccità prolungata e temperature record hanno trasformato le foreste della California in scatole di fiammiferi. E la situazione non farà che peggiorare

I grandi incendi boschivi sono il futuro dei cambiamenti climatici

Josh Edelson/Getty

Nota dell’autore: questo articolo è stato pubblicato originariamente nel nostro numero di settembre 2015, ma lo ripubblichiamo perché è più attuale che mai.

Nel maggio di quest’anno, qualcosa di quasi impensabile è accaduto sulla costa ovest americana: la foresta della penisola di Olympic, uno dei posti più umidi del continente, ha preso fuoco. Ad agosto, era diventata un inferno. Il vento aveva spinto le fiamme fino alla città di montagna di Twisp, nello stato di Washington e una “tempesta infernale” – per citare lo sceriffo locale –aveva ucciso tre dipendenti della guardia forestale. L’incendio era presto diventato il peggiore nella storia dello Stato, bruciando oltre 300mila acri di fresta e distruggendo decine di case.

Nel loro infuriare, gli incendi negli stati di Oregon e Washington avevano divorato un’area della dimensione di un altro stato, il Delaware. Oltre 1000 membri della Guardia Nazionale erano stato richiamati in servizio, e anche l’esercito aveva mobilitato 200 uomini per aiutarli a combattere il fuoco. Dieci elicotteri Blackhawk e quattro aerei C-130 Hercules erano stati impiegati per spegnere le fiamme dal cielo. Il governatore di Washington Jay Inslee aveva chiamato gli incendi un “cataclisma senza precedenti” e organizzato persino gruppi di volontari tra i cittadini dello stato per dare una mano a combattere le fiamme, mentre altri pompieri arrivavano da tutto il mondo, persino da posti lontani come Australia e Nuova Zelanda.

Questo è il presente e il futuro del cambiamento climatico. Il continuo surriscaldamento del nostro mondo sta amplificando gli effetti della siccità e rendendo gli enormi incendi boschivi qualcosa di comune. Questo è ciò che sta accadendo nel nord-ovest degli Stati Uniti, colpiti da quella che è stata definita “siccità umida”. Nonostante livelli di precipitazioni quasi normali, le temperature troppo calde dell’inverno hanno portato pioggia invece che neve sulle montagne della regione. La poca neve che è caduta si è sciolta presto, lasciando la regione secca e pronta a bruciare all’arrivo del caldo estivo.

I dati nazionali sono tanto chiari quanto preoccupanti. “Il cambiamento climantico ha allungato la stagione degli incendi boschivi, che ora dura in media 78 giorni in più rispetto al 1970”, afferma un report del Forest Service pubblicato lo scorso agosto. Negli ultimi tre decenni, l’area bruciata ogni anno è raddoppiata e gli scienziati dell’agenzia prevedono che “raddoppierà ancora entro la metà del secolo”.

Le cause antropogeniche della siccità che porta agli incendi sono reali, e oggi sono anche misurabili. Stando a un nuovo studio condotto da scienziati della Columbia e della NASA, il riscaldamento globale prodotto dall’uomo sta incrementendo l’evaporazione nell’atmosfera, togliendo acqua alla terra e alla vegetazione dell’ovest americano. Solo in California, la siccità è oggi più grave del 25% di quanto non sarebbe se non ci fosse l’effetto del cambiamento climatico. E questo impatto ovviamente non tiene conto dei confini tra gli stati. Come ha detto a Rolling Stone l’autore principale dello studio, lo scienziato della Columbia Park Williams, “gli stessi effetti si vedono anche nel nord-ovest del Paese”.

In prima linea vicino alle fiamme lo scorso agosto, il governatore Inslee ha giurato di spegnere gli incendi nel suo stato. Ma ha anche chiesto agli americani di affrontare un nemico più pericloso del fuoco in sé. “Dobbiamo attaccare questa cosa alla radice: le emissioni di CO2”, ha detto.

Questo è il futuro che ci aspetta. Siccità sempre peggiore e temperature record – lo scorso luglio è stato il mese più caldo mai registrato sul pianeta Terra – hanno trasformato le foreste da Fresno a Fairbanks, sulla costa ovest americana, in scatole di fiammiferi. Solo in Alaska sono andati a fuoco più di 5 milioni di acri, un numero superiore alla media degli interi Stati Uniti nell’ultimo decennio. Già mesi prima che finisse la stagione degli incendi, secondo il National Interagency Fire Center nel 2015 erano andati a fuoco più di 8 milioni di acri – un record. “Alcuni di questi incendi sono in aree che potrebbero andare avanti a bruciare finché non nevica”, ha detto la portavoce del NIFC Jessica Gardetto.

Una riduzione importante delle emissioni di CO2 può limitare i danni in futuro, afferma Inslee. Ma la cruda realtà è che il futuro ci riserva già grandi incendi. Stando a un nuovo studio della National Oceanic and Atmospheric Administration, in alcune parti dell’ovest americano la frequenza degli incendi boschivi aumenterà di sei volte entro la metà del XXI secolo. E le risorse del Paese sono già al limite oggi: gli Stati Uniti sono gravemente impreparati agli incendi che verranno, e ancor meno allo scenario peggiore – un’uragano Katrina di fuoco.

Per avere un’idea del futuro, bisogna guardare a nord – all’Alaska e all’Artico, che il presidente Obama, durante una visita ad Anchorage quest’estate, ha chiamato “la linea del fronte del cambiamento climatico”. Le temperature in aumento e il permafrost che si scioglie hanno portato gli incendi boschivi in un posto che non ne vedeva da millenni. “Il cambiamento climantico non è più un problema lontano”, ha dichiarato Obama. “Sta accadendo qui, sta accadendo ora”.

Il mondo si sta scaldando di più nelle zone polari, e negli ultimi 60 anni le temperature in Alaska sono aumentate due volte più velocemente che nel resto del Paese. E la stagione degli incendi boschivi nello Stato, in media, si è allungata di oltre un mese (35 giorni) rispetto agli anni ’50. “Possiamo rilevare l’influenza del cambiamento climatico negli incendi”, afferma Glenn Juday, ecologista forestale dell’università dell’Alaska-Fairbanks, che individua tre indicatori: “l’area che brucia, la gravità degli incendi e la loro frequenza”.

La tragedia dei grandi incendi causati dal cambiamento climatico è che gli incendi stessi peggiorano il riscaldamento globale immettendo megatoni di CO2 nell’atmosfera. Questo è vero specialmente a nord del circolo polare artico. Negli ultimi 5000 anni, la tundra dell’Alaska è stata troppo fredda e troppo umida perché potessero verificarvisi incendi significativi. Tutto ciò è cambiato nel 2007, quando un grande incendio ha colpito l’area nord dello Stato. L’incendio ha bruciato qualcosa come 1000 km quadrati. Non ha solo distrutto paesaggi incontaminati, ma anche fatto esplodere una bomba di CO2, bruciando materia organica nel suolo che era rimasta dormiente per secoli. Quel singolo incendio ha rilasciato nell’atmosfera tanto CO2 di quanto l’intero ecosistema della tundra, che va dal Canada alla Russia, non avevesse assorbito nei 25 anni precedenti. Gli scienziati avevano sempre considerato la tundra “il magazzino di CO2 più sicuro del mondo”, afferma Juday. “Era uno strato spesso, congelato. Non avremmo mai pensato che avrebbe preso fuoco. È stato incredibile”. La cosa peggiore è che le fiamme nella tundra rendono più sottile lo strato di suolo che isola il permafrost, destabilizzando ulteriormente il “magazzino”.

Quest’estate, l’Alaska è andato a fuoco per colpa di un inverno stranamente caldo e con pochissima neve. (Ad Anchorage è stato registrato un record: la quantità minore di neve mai caduta in 60 anni). Con l’arrivo della primavera le temperature si sono alzate di oltre 7 gradi sopra la media. La città di Eagle, a 300 km da Fairbanks, a maggio ha registrato 32 gradi, una temperatura che in quella data era stata registrata solo a Houston e a Dallas

Quando poi un fulmine ha colpito, l’Alaska è andato a fuoco. “A un certo punto quest’estate”, ha detto Obama, “c’era più di 300 incendi che bruciavano contemporaneamente”. Gli incendi erano fuori controllo, e il fuoco ha consumato 20mila kmq – la seconda stagione degli incendi peggiore nella storia. E per quanto gli incendi in Alaska siano stati terribili, secondo il National Climate Assessment – un report federale del 2014 che ha valutato i rischi collegati al cambiamento climatico nella regione – le cose possono solo peggiorare. Anche se tutto andasse per il meglio quest’anno alla conferenza di Parigi, anche se i governi mondiali iniziassero a compiere misure aggressive per ridurre le emissioni, anche in questo scenario, stando al report, il numero degli incendi in Alaska raddoppierà entro il 2050 e triplicherà entro il 2100.

Mentre le temperature mondiali aumentano, gli incendi aumentano di pari passo. Ma meno intuitivo è il modo in cui una pericolosa siccità e una sempre più lunga stagione degli incendi hanno colpito la costa ovest americana nonostante i livelli di precipitazioni annui siano vicini al normale. Il problema non è la mancanza di acqua, ma che poca di quell’acqua cade sotto forma di neve.

In condizioni tipiche, lo sciogliersi delle nevi sulle montagne genera sorgenti durante la primavera che scorrendo mantengono bagnata la vegetazione anche durante l’estate, che può essere molto calda e secca, e così facendo forniscono una protezione contro gli incendi. Questo inverno però, con le temperture 5 gradi sopra il normale e una diminuzione record della quantità di neve caduta, lo scorrere delle sorgenti aveva già avuto il suo picco a febbraio. A marzo, il governatore Inslee ha dichiarato emergenza siccità nello stato di Washington. A giugno, le nevi non c’erano più.

“Questa siccità è diversa da quelle che conosciamo”, ha detto a maggio Maia Bellon, direttrice del Dipartimento dell’Ecologia dello stato di Washington. E ha spinto la regione a bruciare. Susan Prichard, ecologista specializzata in incendi dell’università di Washington, ha detto che l’improvviso prosciugarsi delle sorgenti e dunque delle foreste che ne dipendono ha creato le “condizioni ideali” per i grandi incendi nell’est dell’Oregon e nello stato di Washington. “Ci ha fatti diventare una scatola di fiammiferi”.

L’aria calda asciuga le foreste, letteralmente. L’aumento delle temperature causato dall’uomo aumenta l’appetito dell’atmosfera per l’umidità terrestre. Williams, lo scienziato della Columbia, scherza dicendo che l’effetto è quello di un’estorsione mafiosa, con l’atmosfera che chiede sempre più acqua alla terra. Negli anni umidi, questa cosa non è un problema. Ma nei momenti di siccità lo diventa, causando grossi danni all’ecosistema. “Il costo finale di questa cosa sta ora diventando talmente grande da essere visibile”, afferma Williams, “in una riduzione della disponibilità di acqua per gli umani e per l’ecosistema”.

Joe Casola, vicedirettore del Climate Impacts Group all’università di Washington, guarda al futuro. La combinazione di inverno caldo, poca neve, siccità anticipata, estate calda e incendi di quest’anno è un classico, e una “buona anteprima”, a suo dire, di quella che, stando ai modelli che abbiamo elaborato sugli effetti del cambiamento climatico, diventerà presto la normalità. “Queste sono le condizioni con cui avremo probabilmente a che fare da qui a qualche decennio”.

Secondo le attuali previsioni dell’EPA, le nevi di aprile sui monti della Cascadia si ridurranno del 40% entro il 2040. “Temperature estive più alte, scioglimenti primaverili della neve anticipati e potenziali riduzioni nell’umità del suolo durante l’estate contribuirebbero ad aumentare il rischio di incendi”, conclude l’agenzia.

Entro il 2080, secondo il National Climate Assessment, la quantità di foreste che brucerà in media ogni anno nell’ovest americano quadruplicherà. Cosa vuol dire questo nella pratica? Invece di essere qualcosa che si verifica ogni 20 anni, i grandi incendi che oggi stanno distruggendo l’Oregon e Washington potrebbero avvenire ogni due anni o anche ogni anno. 

Se il fuoco è inevitabile, c’è anche una piccola buona notizia. Gli Stati Uniti possono imparare a combatterlo meglio, facendo dei semplici cambiamenti al modo in cui è finanziato il Forest Service. “Siamo tutti d’accordo che il modo in cui gestiamo i finanziamenti per combattere gli incendi non funziona”, ha detto ad agosto la senatrice dell’Alaska Lisa Murkowski. “È arrivato il momento di cambiarlo”.

La velocità con cui si verifica il cambiamento climatico si può notare con sorprendente facilità anche nella porzione di budget che il Forest Service ha destinato nel corso degli anni a combattere gli incendi boschivi. Nel 1995 era solo il 16%. Quest’anno, per la prima volta, supera il 50%. Da qui a 10 anni, afferma l’agenzia, questi costi saranno aumentati fino a corpire due terzi del budget.

La situazione è diventata così grave che il Forest Service oggi usa i soldi che dovrebbe destinare alla prevenzione degli incendi – per ripulire le foreste dai rami secchi e condurre piccoli incendi controllati che aiutano a prevenire che si verifichino grossi incendi boschivi – solo per pagare i suoi pompieri. I costi per combattere gli incendi in corso sono tali da impedire di portare avanti i progetti che servirebbero a dimuire le possibilità che ne scoppino di nuovi.

Nella sua saggezza, il Congresso ha stabilità il budget del Forest Service sulla base delle sue spese medie nel corso di 10 anni. È una formula che ha funzionato bene quando il clima era più stabile. Ma l’agenzia adesso deve affrontare sempre più spesso incendi sempre più grandi e costosi. “Le sei peggiori stagioni degli incendi dagli anni ’60 a oggi si sono verificate tutte dopo il 2000,” ha affermato l’agenzia lo scorso agosto. 

Con il nord-ovest che va a fuoco, il Congresso sta facendo qualcosa. Lo sforzo di riforma è portato avanti dai deputati degli stati coinvolti, inclusi – ironicamente – deputati repubblicani che finora hanno negato l’esistenza dei cambiamenti climatici, come il senatore Mike Enzi del Wyoming, o combattuto contro l’imposizione di controlli sulle emissioni, come il deputato Mike Simpson dell’Idaho.

Il Wildfire Disaster Funding Act presentato da Simpson mira a staccare dal budget dell’agenzia il costo del combattere i grandi incendi. Oggi il 30% dei costi riguardano l’1% degli incendi: con il piano di Simpson, combattere i grandi incendi sarebbe finanziato dal fondo per i disastri nautrali del governo federale, lo stesso che viene usato in caso di uragani, tornadi, terremoti.

Il senatore dell’Oregon Ron Wyden, un democratico, insiste che spingerà per discutere della cosa quando il Congresso si riunirà questo mese. “Il mio primo punto all’ordine del giorno”, afferma, “è di mettere fine al terribile insieme di fattori che peggiora ulteriormente questi incendi: lo scarso finanziamento per i pompieri, l’uso dei fondi per la prevenzione per combattere gli incendi causato dallo scarso finanziamento, e il risultato finale ovvero l’accumularsi di rischi che scoppino incendi ancora peggiori”.

Mentre la nazione sta cominciando a ripensare il modo in cui vede gli incendi boschivi – da qualcosa di normale, com’era 50 anni fa, a degli eventi straordinariamente distruttivi aggravati dal cambiamento climatico – è cruciale non perdere di vista il peggiore scenario possibile: quello di una grande città assediata dal fuoco. 

Gli Stati Uniti hanno già avuto un assaggio di come sarebbe tale catastrofe: nel 1991 un incendio boschivo aveva colpito le colline e i canyon sopra Oakland, i pompieri non erano riusciti a domarlo, 25 persone erano morte, 150 erano rimaste ferite e c’erano stati danni alle proprietà per 1,5 miliardi di dollari. Nel 2003, un incendio boschivo causato dai forti venti in California aveva bruciato oltre 1100 kmq, diventando il peggior incendio boschivo nella storia dello Stato: aveva toccato la periferia di San Diego, bruciando 2000 case. Un grave incendio aveva colpito la zona anche nel 2007, costringendo i residenti a rifugiarsi nel Qualcomm Stadium, dove gioca la squadra di football locale.

Una piccola nota positiva è che la stagione da record degli incendi che ha colpito quest’anno il nord-ovest degli Stati Uniti ha avuto costi umani ed economici limitati. La regione colpita è poco popolata e separata da Seattle e da Portland da grandi montagne. Ma gli effetti secondari del fuoco su queste città non devono essere sottovalutati: alla fine di agosto, il cambiamento del vento ha portato i fumi di diversi incendi a Portland, oscurando temporaneamente il cielo. La concentrazione di polveri sottili nell’aria cittadina ha raggiunto livelli pericolosi per la salute, livelli che di solito si registrano solo a Pechino. 

Ma, a livello generale, gli Stati Uniti sono stati fortunati che i grnadi incendi non abbiano colpito le colline della Silicon Valley o attraversato il Colorado fino alla periferia di Denver. Il nord della California, a dirla tutta, a luglio ha evitato per poco un disastro quando un incendio causato da un bollitore difettoso ha minacciato la città di Clear Lake, a nord della famosa Napa Valley, devastando 280 kmq, superando un’autostrada e portando all’evacuazione di 13mila residenti. Ken Pimlott, direttore dell’autorità dei pompieri della California, ha detto che lo Stato deve affrontare “condizioni e comportamenti senza precedenti” degli incendi boschivi e che il peggio della stagione “deve ancora venire” nel sud della California. “Non abbiamo schivato un disastro, non possiamo ancora dirlo”.

Il governatore della California Jerry Brown di recente se l’è presa con i candidati repubblicani alla presidenza che si rifiutano di riconoscere l’esistenza del cambiamento climatico. “Una stagione degli incendi più lunga, condizioni meteo estreme e siccità prolungata non sono solo all’orizzonte”, ha scritto in una lettera aperta, “sono già qui. E sono qui per restare”.

Che sia provocato da un fulmine o da un piromane, la prossima volta il fuoco potrebbe minacciare San Jose, San Diego o Los Angeles – tutte città fondamentali per l’economia nazionale. Nel suo scenario peggiore, gli incendi boschivi causati dal riscaldamento globale sono una minaccia esistenziale. “Il clima è instabile”, ha detto Brown alla stampa ad agosto. “Se la siccità continuasse per un anno o per diversi anni, tutta la California potrebbe bruciare”.

Questo articolo è apparso originariamente su Rolling Stone US