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Guido Catalano compie 50 anni e ci regala 100 “fiabe per adulti consenzienti”

Raccontano di principi che vogliono essere principesse, ghiri insonni, cecchini pacifisti e ascensori innamorati, adatte al poeta che più di mezzo secolo si sente dentro “dieci bambini di 10 anni”

Più che un cinquantenne si sente dentro “cinque bambini di dieci anni” e sarà per questo, avendo raggiunto il mezzo secolo da poco – lo scorso 6 febbraio – che Guido Catalano ha deciso di farsi un regalo adatto all’età percepita. Si tratta di Fiabe per adulti consenzienti, il nuovo libro che esce proprio oggi per Rizzoli, nel quale alla poesia o al romanzo ha preferito un altro genere per lui inedito. Il volume è, giocando con le parole, voluminoso: 100 fiabe, o quasi, che comprendono principi che vogliono essere principesse, ghiri insonni, cecchini pacifisti e ascensori innamorati, illustrate da Marco Cazzato. Lo stile è sempre quello che lo ha reso famoso, cambia la forma e non è solo per una questione anagrafica ma, probabilmente, è più legata al periodo che stiamo attraversando. Ci abbiamo chiacchierato a lungo per presentare il nuovo “sforzo letterario”, come recita una formula ormai abusata della critica letteraria, scoprendo che in realtà la miglior definizione del suo lavoro gliel’ha donata un hater sui social: “criminale poetico seriale”.

Guido, hai compito 50 anni da pochi giorni. Ti sembra possibile?
Effettivamente è stata una data abbastanza importante e la sto passando ancora in cattività. Non me li sento, più che altro, tuti questi anni. Sono spiazzato all’idea di averli. Non mi sembra possibile. Ci sarà stato un errore all’anagrafe.

Che rapporto hai con lo scorrere del tempo?
Di sicuro non mi sento l’età che ho realmente. Quando ti rendi conto di aver vissuto 50 anni sembra strano, sono tanti se ci penso. Posto che poi 50 siano tanti veramente, ormai è tutto relativo rispetto al mondo in cui viviamo. Però me ne sento meno, basta tornare a mio padre che a 50 anni sembrava più vecchio. Diciamo che in me vivono cinque bambini di 10 anni, avendo una parte infantile abbastanza sviluppata. E per me “sei infantile” non è un insulto. Ho ancora una parte giocosa collegata a quello che faccio nella vita e mi piace molto.

È tipico degli artisti mantenere un certo disincanto rispetto alla realtà.
E può anche essere pericoloso, se uno esagera. Rischia di rimanere solo infantile e avere problemi sociali. Io credo ancora di cavarmela. Però 50 anni mi fanno molta impressione.

Hai mai avuto problemi nella vita di tutti i giorni per questo lato “infantile”?
Ad esempio non ho la patente. È un momento di passaggio importante per un giovane e credo sia stata una criticata che in passato mi ha rivolto qualche fidanzata, perché ti da autonomia. Però ho sempre avuto una certa idiosincrasia nei confronti delle automobili. Pur essendo di Torino, città dell’auto, non giocavo con le macchinine da piccolo. Per il resto credo di essere una persona tutto sommato integrata in società.

Oggi compio 50 anni. Mezzo secolo. Dieci lustri. Per quanto la cosa sembri bizzarra e assurda, è così. A meno che non ci…

Pubblicato da Guido Catalano su Sabato 6 febbraio 2021

A Torino sei nato ed è da sempre la tua città. Cosa ami e cosa odi di Torino?
Odiare mi sembra una parola troppo forte. Riguardo al mio lavoro di comunicazione, arte e spettacolo, ogni tanto Torino la vedo come una città provinciale. Quando devo fare qualcosa sono costretto a spostarmi tra Milano e Roma. Anche gli altri artisti sono in quelle città. Sembra che succedano poche cose a Torino, anche se in realtà non è vero, ci sono stati alti e bassi a livello culturale come in altre città. Però mi infastidisce un po’ che la maggior parte degli artisti siano altrove, mi sento un po’ solo. Alla fine, però, sono ancora qui per cui mi ci trovo bene. È una città in cui posso andare in bici senza rischiare la vita come a Roma o Napoli e poi abito vicino al fiume Po e al Parco del Valentino e faccio delle gran passeggiate. Otto chilometri al giorno, senza correre.

Senza correre, anche perché non mi sembri particolarmente amante dello sport.
Non sono sportivo per nulla, ma cerco di fare qualcosa sennò finisce male. Ho calcolato che con questo passo sono 240 chilometri al mese.

La propensione al palco è arrivata presto, a 17 come frontman di una band, ma poi hai capito che forse eri più portato a declamare quei testi senza il bisogno di una musica. È così?
Sì, anche se non erano proprio gli stessi testi. La poesia ha già dentro la musica. Sentivo però l’esigenza di stare su un palco, anche se sono una persona timida. Ho letto che è comune a molti altri artisti, è un modo di esorcizzare. Così sono passato dalla musica al reading, in genere avevano la stessa chiave ironica, a volte comica, ma c’è comunque un filo rosso dalla musica alla poesia.

Come il tour che hai portato avanti di recente con il cantautore Dente?
Certamente, perché ho sempre mantenuto questo rapporto con la musica, pur senza cantare perché ero abbastanza stonato. Per me è fondamentale. Mi piace stare da solo sul palco, ma la passione per la musica è proseguita e collaborare con i musicisti credo continuerà.

Qual è la tua musica preferita?
I cantautori italiani, sia quelli classici come De Gregori, Battisti (con Mogol), Guccini, Bennato, tutta quella generazione continuo ad ascoltarla, così come quelli più attuali come Dente, gli Zen Circus o Brunori Sas. Di quelli stranieri mi piacciono band come gli Ac/Dc, a volte li metto a tutto volume e mi danno energia. Il problema è che non so l’inglese, non capisco i testi e alla lunga è un problema.

L’inglese come lo sport?
Come la patente, è un altro piccolo handicap che ormai mi porto dietro.

Prima del poeta hai fatto numerosi lavori che si possono definire “normali”, come portiere di un residence o correttore di bozze. Sono tutte esperienze poi confluite nei tuoi versi?
Il portiere l’ho fatto per un paio di anni, lavoravo tanto e in solitudine. È un ottimo lavoro se ti piace leggere e scrivere. Altri lavoretti sono durati meno. Per esempio, ero pessimo come correttore di bozze, forse sono stato il peggiore della storia di Einaudi. Comunque sì, un po’ tutto quello che mi succede finisce in quello che scrivo, anche oggi che ho una attività più artistica.

Che cos’è la poesia per te?
È una domanda difficilissima, e siccome a volte mi capita mi sono preparato. Prima di tutto è una passione, principalmente per la letteratura. Leggo più romanzi che poesia. Anche se, probabilmente sono più appassionato di canzoni che di poesie, ma alla fine ho fatto il poeta. La poesia è una specie di miracolo, anche solo viverci. In generale, siccome sono appassionato di fantasy, la vedo come una sorta di incantesimo. I poeti sono come quei maghi che hanno un libro in mano e leggendo quelle formule fanno accadere qualcosa nella realtà. Non puoi sollevare un’auto, ma far scaturire emozioni sì e questo è piuttosto miracoloso.

E i critici sono i “draghi” di questa storia fantasy?
Ho pochi rapporti con i critici letterari. Non mi hanno mai calcolato. Ma da quando esistono i social c’è il critico da internet. Lì ho avuto molte critiche e anche molti insulti. Ma se piaci a tutti vuol dire che sei conosciuto davvero da pochi. Però sui social ci sono dei mostri, gente che ti insulta in maniera becera, ma capita a tutti quelli che sono un po’ seguiti.

Hai avuto delle esperienze particolarmente brutte?
All’inizio sì, ogni tanto ancora oggi ma molto meno e questo mi preoccupa. Andavo fiero dei miei odiatori. Ma alla fine l’ho sempre vissuta abbastanza bene. Addirittura, pensa che un hater mi definì “criminale poetico seriale” che è fantastica come definizione, infatti l’ho usata per descrivermi sulla mia pagina Facebook.

Un tema ricorrente delle tue storie è l’amore, in particolare in rapporto di coppia. Come mai?
Con le donne è un rapporto che per me è cominciato male e con fatica. Nell’adolescenza sono stato molto lento, impacciato, bloccato. Ho iniziato tardi la mia “carriera” sentimental-sessuale e questa cosa non mi ha fatto stare bene. È uno dei motivi per cui ho scritto molto in merito, per capire questo tema. E poi ho continuato, perché l’argomento dei rapporti mi interessa molto. Capire come funzionano è di grande interesse. Soprattutto quello amoroso che alla fine è il più importante.

Ora ci hai capito qualcosa in più?
Certamente, perché ho cominciato ad avere esperienze. All’inizio non felicissime, però mi hanno aiutato a gestire la mia insicurezza. Non solo ero timido, ma anche geloso. E la gelosia è legata all’insicurezza. Ora sono più sereno e felicemente fidanzato, per cui tutto bene.

Hai qualche vizio nella vita?
Ogni tanto bevo troppo, soprattutto quando esco. Ma non credo di avere un problema con l’alcol. Sono stato un fumatore intenso, pensa che ho iniziato a 30 anni che è una cosa stupidissima. Dai 30 ai 40 ho davvero fumato come un turco. Poi per fortuna ho smesso per 6-7 anni e ora uso le elettroniche. Tendo al vizio base, devo stare attento a quello. Per il resto no, ho soltanto delle passioni forti come la lettura e in questi mesi credo di aver battuto tutti i record.

Adesso è il momento di parlare del tuo nuovo libro “Fiabe per adulti consenzienti”. Come mai non poesia e non romanzo, ma appunto fiabe?
Perché sono arrivate! Infatti, non mi sono messo al tavolino per costruirle apposta. Nel 2015-16 ne avevo scritte alcune ma poi avevo smesso. Erano molto strane, una sorta di parodia delle fiabe classiche. Poi durante il lockdown Facebook me ne ha ricordata una di queste e non mi sembrava niente male. Così, mi è venuto naturale scriverne un centinaio senza soluzione di continuità. Fiabe brevi o brevissime, che ho proposto a Rizzoli e così è nato il libro.

E non tutte hanno un lieto fine, come la vita reale.
Giusto, alcune sono iperrealistiche. Mi sono venute così, però non pessimistiche. Come principi che mentre cercano la principessa cadono e si spezzano il collo, questa è una costruzione tipica delle fiabe che finiscono male. Sono arrivate nel momento giusto, nel primo periodo di cattività a causa della pandemia e mi sono state utili per evadere. Ho provato parodiandole, ma finito quell’immaginario ho spaziato utilizzando personaggi e luoghi non tipici.

Faccio una piccola divagazione: come vivi l’ennesima crisi politica in Italia?
Non è possibile viverla bene, anche se siamo abituati a non portare un governo alla fine da sempre. Stavolta, però, sarebbe stato il caso di tenere duro e gestire la situazione gravissima in corso. La mia stima nei confronti della classe politica è al minimo storico. Adesso abbiamo Draghi che è una persona capace e siamo nelle sue mani, ma non era il momento di fare questa figura da fessi. Sono preoccupato per la politica, ma ancor di più per la pandemia. Io ho anche preso il Covid.

In che forma l’hai preso?
Per fortuna con gravità medio-bassa, senza sintomi gravi. È stato solo un decorso un po’ lungo, era nel marzo scorso e ci ho messo un mese e mezzo per un tampone. Ma sono ancora qui.

C’è una delle tue opere che dedicheresti alla classe politica attuale?
Sì, si chiama Tu e recita così: “Se tu fossi un puffo, tu saresti il puffo stronzo. Se tu fossi un barbapapà, tu saresti barbamerda. Se tu fossi un supererore, tu saresti la donna muco. Se tu fossi il sole, cazzo che freddo”. È una poesia d’amore negativa, di un ex un po’ arrabbiato. Ma siccome non sono mai stato innamorato di questo governo, forse dovrei scriverne una appositamente.

Quali sono le tue paure?
Sono ipocondriaco, anche se stranamente non lo sono stato con il Covid. Forse perché l’ho preso all’inizio. Ho paura di quelle brutte malattie con le quali provi dolore nel tempo. Sicuramente la morte mi spiace molto, non sono arrivato al grado di saggezza per dire che è nella natura delle cose.

Se la morte ti fa paura, ti auguri che la tua vita sia una fiaba a lieto fine?
Non può esserlo, a meno che uno non creda nell’aldilà. Io invidio le persone che hanno fede che dopo la morte ci sia qualcosa. Allora lì c’è il lieto fine. Siccome io non ci credo, purtroppo il fine non può essere lieto. Mi godo la vita finché c’è.

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