Il TuttoRoma: i pariolini siamo noi, innamorati dei pregi che non abbiamo | Rolling Stone Italia
Gonzo

Il TuttoRoma: i pariolini siamo noi, innamorati dei pregi che non abbiamo

La terza puntata della nostra serie sui quartieri della capitale, visti con equidistanza. I Parioli, un quartiere di vie inestricabili, dove l'apparente bruttezza è un sistema di sicurezza per nascondere agli altri romani le cose che hanno davvero valore

Il TuttoRoma: i pariolini siamo noi, innamorati dei pregi che non abbiamo

Le olive paranzane PARIOLI sono in vendita su Amazon

Per chiunque non sia nato in una stanza singola della clinica Mater Dei, non c’è quartiere di Roma più desolato e inospitale, goffo e sproporzionato di quello che è proteso, con la grazia di un mammut con le zanne incastrate nella carcassa di una balenottera spiaggiata, tra le cime tufacee dei Monti Parioli. Perfino Ostia Lido – a gennaio – saprebbe essere più accogliente nei confronti di un forestiero. La storia è sempre la stessa: inerpicatosi (o per errore del navigatore o per deliberata prevaricazione dell’uomo contro il volere divino) fin sulla sommità di via Ettore Ximenes, prima di darsela a gambe, l’estraneo realizza improvvisamente di trovarsi nel posto sbagliato, con l’albero genealogico sbagliato.

Qui la leggendaria bruttezza dei condomìni sembra essere superata solo dalla terrificante Weltanschauung dei relativi condòmini. Non c’è altro luogo di Roma in cui sia altrettanto importante essere nati, non solo per apprezzarlo, ma anche per non morirci prematuramente. È molto banale, ad esempio, ambientarsi a Prati da novizi: ti piace vivere facile, è tutto pianeggiante, ci sono vie diritte che si intersecano tra loro, è attraversato (almeno, in potenza) da numerose linee di mezzi pubblici. Ai Parioli, invece, l’assetto viario è di una scomodità dantesca: tutto parallele e privo di traverse, sembra disegnato, con un set curvilinee dell’Auchan, da un bambino non particolarmente brillante, senza mai sollevare la matita spuntata dal foglio.

Ma non fatevi ingannare da questi sotterfugi. È tutto fumo di IQOS negli occhi. Niente di quello che vedete è reale, tranne le buche sul marciapiede. Tutto il resto, inclusi i frigoriferi abbandonati lungo vie da 6-7mila euro al metro quadro, è solo un’immensa rete di sicurezza, un estremo rimedio, per impedirvi di desiderare di trasferirvi ai Parioli.

Tutto questa bruttezza, apparente e reale, non è altro che uno stratagemma ottico con cui i veri pariolini hanno nascosto agli altri romani le cose in cui maggiormente credono e che per loro hanno più valore: se stessi e il potere d’acquisto dei propri genitori.

L’inestricabile assetto viario dei Parioli, visto dal satellite

Lo capite quando posate gli occhi per la prima volta sulla quadreria e l’interior design di un qualunque attico di un qualunque palazzo il cui portone avete raggiunto aprendovi un varco tra erbacce alte come un cassonetto. Io e te diciotto metri sopra lo schifo. Così come non si deve giudicare un libro dalla sua copertina, non si possono giudicare i Parioli dai Parioli. Il pubblico e il privato qui si sono sfidati a Mortal Kombat diversi decenni prima che uscisse la prima PlayStation. Inutile dire che il privato ha vinto al primo round con tanto di fatality, e i firmatari dei piani regolatori che incitavano: “Finish him!”.
Dovendosi muovere in macchina anche solo per andare da via Archimede alta a via Archimede bassa, ci sono pariolini che non mettono piede a terra dal 1986, anche se in scooter, perché nel frattempo sono passati al tre ruote. Del resto, c’è chi ha vissuto vite intere, anche discretamente interessanti, senza mai uscire dai Parioli, alcuni senza mai lasciare via di San Valentino. Lontano dai Parioli, lontano da tutto.

Del resto, tutte le persone di cui si conosce il numero di telefono abitano qui. È un po’ come quello che succede a certi studenti fuorisede, iscritti ai primi anni di corsi di laurea duri come ingegneria o medicina, che trascorrono intere sessioni d’esame tumulati vivi nelle loro stanze doppie in remoti quartieri della Capitale. Quando, su Rai Uno, compare piazza San Pietro stracolma di gente durante l’Angelus, non senza una certa commozione, chiamano casa per esultare: “Corri, mamma, c’è la Chiesa Madre di [paese di cinquemila anime di cui è nativa la signora] sul primo canale!”.

Il Duomo dei Parioli è la Basilica del Sacro Cuore Immacolato di Maria, in piazza Euclide, chiesa famosa perché neanche il cardinale titolare ne ricorda il nome senza googlare. Eppure, per i nativi pariolini, non solo è il centro della cristianità, ma anche un capolavoro dell’architettura sacra, che giurerebbero essere pieno di Michelangelo e Caravaggio, e anche relativamente miracoloso, pur non essendoci mai entrati (dal momento che vanno tutti a messa a Sant’Eugenio, per via delle migliori prospettive di parcheggio).

Una smart, un portiere e un tipico condominio pariolino

I Parioli stessi, così, sono un rito di passaggio per i nativi del quartiere, una tortura indigena autoinflitta di generazione in generazione, né più né meno che dilatarsi i lobi delle orecchie per le civiltà precolombiane o gettarsi dal ponte del Ciolo per i salentini.
La variante più perversa di questo supplizio iniziatico è percorrere i Parioli a piedi. C’è che ha scritto una guida, ferrata per ferrata, rifugio per rifugio, sulle possibili scalate, metaforiche e non, delle vette parioline. La praticabilità dei sentieri non censiti dalle guide alpine locali è garantita dai portieri – figura ormai scomparsa in gran parte dei quartieri romani, ma che ai Parioli sembra resistere, non solo grazie a realtà come Amazon Prime.

I percorsi sono tutti ugualmente spiacevoli e dolorosi, tranne uno (difficoltà alta, tempo di percorrenza non quantificabile, materiali richiesti: casco, imbrago e dissipatore), che va dal Flaminio alla cima più impervia dei Monti Parioli. Si dice che qualcuno ci abbia provato in un momento particolarmente yuppista degli anni ‘80, ma non si hanno più notizie né di lui né del Bobtail, che aveva deciso di portarsi dietro, a mo’ di cane di San Bernardo.
Spedizioni di mamme coraggio partono da piazza Gastaldi di prima mattina, non prima di aver fatto un colpo di telefono alla pediatra (quasi immancabilmente, la Stancati di via Archimede): “Dottoressa, parto per Villa Balestra, mi controlla al volo la gola della bambina?”.

Quando vai a piedi ai Parioli, e non sei dei Parioli, ti senti osservato come se stessi tradendo pubblicamente, e pure con un certa foga, il tuo coniuge. Tutti, pizzicagnoli d’alta quota con la sindrome del nonno di Heidi, baristi carismatici come Luca e Alberto di via Gramsci, amanti altrui in piena walk of shame, suore del Santa Giuliana Falconieri (unica scuola di Roma col bilinguismo pariolino-inglese), tutti ti guardano con più o meno tenerezza, più o meno compassione, chiedendosi che cosa devi aver fatto di male nella vita per andare a piedi ai Parioli.

Il veicolo di un commerciante esperto in “abiti da lavoro”

Eppure le soddisfazioni, una volta arrivati in cima, non mancano. Su tutte: la possibilità di avvistare, se il cielo è terso, nonne in costume tipico: lo chemisier color pastello cucito da qualche gloriosa sartina dimenticata. Appena si accorgono di te, purtroppo, corrono a nascondersi dietro la Smart in doppia fila. Dentro e fuori da questi sentieri, non c’è spettacolo più amaro di un pariolino non nativo che, vuoi per ammortare emotivamente un mutuo a tasso variabile, vuoi per distrarre dal proprio condominio una suocera in visita, scopri intento a farsi piacere i Parioli. Una vita intera a desiderare di fare il grande salto, per poi passarne un’altra (e le generazioni a venire) a pentirsene amaramente.

I Parioli logorano chi non ci è nato e cresciuto, ma hanno imparato a tollerare chi ci arriva con la giusta entratura. Il modo migliore, la green card, è sposare una pariolina doc. Lo stesso non vale per le spose di pariolini maschi: la pariolinità si acquisisce preferibilmente per via femminile. Le neoparioline, infatti, restano quasi sempre tali. Anche dopo anni di regolare matrimonio infelice, vagano ancora spaesate tra via Gramsci e via Ammannati, in cerca del giusto alimentari, della lavanderia a peso d’oro che qualche matrona ha consigliato loro per giocargli un brutto tiro. I neopariolini, invece, già al primo mese della nuova vita, sfrecciano in bici con portabimbo duplex, come perfetti nativi, sfoggiando la stessa passività aggressiva nel traffico, la stessa stoffa nel simulare fatica in salita, anche se la pedalata è assistita. Da poco una buona bicicletta elettrica ha superato la falsa magrezza nei desideri dei giovani papà dei Parioli. Sono comunque preferibili i matrimoni misti: quando si sposano due pariolini, nasce troppa voglia di esotico.

Se i pariolini impiegassero, nel prendersi cura dei Parioli, le stesse energie e le stesse astuzie che profondono nel creare e manutenere questo sistema di sicurezza, questo sarebbe di gran lunga il quartiere più bello di Roma.

Castroni, uno dei simboli del quartiere

Non esiste un altro posto al mondo in cui, di fronte a un negozio che vende esclusivamente camici per collaboratori domestici, trovi una bancarella con camici quasi identici a metà prezzo, presa d’assalto. È chiaramente un mondo che hanno paura di perdere, e che probabilmente perderanno, ma siccome sono anni che non finisce, vi chiedono gentilmente, finché non finisce davvero, di non rompergli le palle – cosa che corrisponde ad aver compreso un buon 90% del senso della vita, almeno da queste parti.

Hanno tanti difetti, i pariolini, tranne uno: quello di non accettarsi così come sono, fingere di non essere se stessi, come fanno moltissimi altri, a partire dalle schiere di uomini e donne che farebbero di tutto per essere come loro, vivere come loro, trovare bella piazza Pitagora con la stessa sincerità con cui la trovano bella, onestamente, loro.

I pariolini siamo noi quando crediamo così tanto e così ciecamente in noi stessi che non solo finiamo per ignorare i nostri principali difetti, ma soprattutto per apprezzare tutti i pregi che non abbiamo.