Slitherine, i signori della guerra ci svelano i loro segreti | Rolling Stone Italia
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Slitherine, i signori della guerra ci svelano i loro segreti

Intervistiamo il publisher inglese, per scoprine strategie, segreti, progetti futuri e quel misterioso e poco noto rapporto col Pentagono

Slitherine, i signori della guerra ci svelano i loro segreti

Slitherine si è costruita nel corso degli anni uno zoccolo duro di appassionati di wargame e di titoli strategici.

Dall’alto di una collina, osservo le truppe che si muovono, avanzano, si posizionano in base agli ordini che ho appena impartito. Nell’aria si avvertono la tensione e la paura, prima dell’assalto. Tra poco scopriremo se sarò ricordato come un genio delle strategie belliche o come un folle visionario che ha mandato i suoi soldati incontro a morte certa. Sono pronto all’azione, quando improvvisamente lo scenario di fronte ai miei occhi muta. Di punto in bianco mi trovo nello spazio, a bordo di un’astronave. Sono impegnato in un combattimento aereo. Dovrei essere sorpreso, ma in realtà non lo sono. Perché mi trovo in un ambiente che ben conosco. Ci sono i Cyloni e le Dodici Colonie. È Battlestar Galactica. Trascorre un attimo, un battito di palpebre, ed ecco un’altra rivoluzione. Sono circondato da Space Marine e sono pronto (per l’ennesima volta) ad affrontare un manipolo di Orchi. Sono sballottato da una parte all’altra, tra finzione e fantasia, tra passato e futuro, in una serie di universi che sono accumunati tutti da un nome: Slitherine. Chi, o cosa è Slitherine? Presto detto, è un’azienda inglese (ma con un’anima italiana) specializzata nello sviluppo e nella distribuzione di titoli bellici e strategici. Una realtà che rappresenta una virtuosa eccezione in un mercato spesso schizofrenico, in cui le storie di software house che hanno fatto “il passo più lungo della gamba” sono all’ordine del giorno. Per scoprirne di più, e per parlare di produzione, vendita, mercato, didattica e molto altro ancora abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Marco Minoli, marketing manager nonché socio fondatore di Slitherine.

Marco Minoli, marketing director di Slitherine, coordina il team milanese che si occupa della comunicazione e del marketing di tutti i prodotti.

Ciao Marco e benvenuto su Rolling Stone Arcade. Per iniziare, ci racconti qualcosa di Slitherine?

Slitherine nasce nel 2000 come sviluppatore di giochi di strategia. Agli albori l’intero team era composto da quattro persone, che lavoravano insieme in un piccolo ufficio. Di base ci dedicavamo alla produzione di un titolo all’anno, lo vendevamo a un publisher e incassavamo il denaro per il nostro lavoro. I primi dieci anni di vita dell’azienda hanno seguito questa routine, con una serie di uscite che hanno contribuito a farci conoscere tra gli appassionati e a formare il nostro catalogo. La situazione è cambiata nel 2010, quando abbiamo deciso di fare un salto in avanti, passando dal ruolo di semplici sviluppatori a quello di publisher. Al tempo si trattava più che altro di fare da tramite tra team di sviluppo indipendenti che lavoravano su titoli con il nostro stesso DNA e i distributori. La situazione si è evoluta anno dopo anno, e ora abbiamo un flusso costante di prodotti. Quasi troppi nel senso che tra giochi conversioni su diverse piattaforme e DLC lanciamo quasi trenta titoli all’anno. A livello aziendale siamo strutturati in maniera semplice. Il nostro quartier generale si trova a Londra, tutto la parte tecnica e tecnologica in Canada mentre a Milano, caso unico in Italia, gestiamo il marketing e le vendite per tutto il mondo. Questo perché l’azienda è nata ed è cresciuta così. Eravamo quattro soci, e siamo rimasti quattro soci. Ognuno di noi si è costruito nel tempo la propria sede con una funzione specifica, espandendo il proprio organico lavorativo a seconda delle necessità. Questa è in breve la storia in breve di Slitherine. Di fatto siamo passati da essere un’azienda monoprodotto a un publisher che sforna giochi a ripetizione. Anche se viviamo in un settore molto difficile, in cui non è affatto semplice prevedere cosa potrà accadere nei prossimi due tre anni e fare piani a lungo termine, il nostro obiettivo è quello di creare un’azienda solida con un business che sia sostenibile nel corso del tempo. Molti publisher si basano principalmente sul grande successo di un singolo prodotto, noi cerchiamo di costruire qualcosa che sia un pochino meno aleatorio, un pochino più stabile e strutturato.

– Proseguendo nel filone delle licenze di successo, Slitherine sta lavorando alla produzione di un titolo dedicato a Starship Troopers

Slitherine è sinonimo di videogiochi strategici, un genere considerato di nicchia. Chi sono i vostri giocatori? Come si può fare a uscire dalla nicchia?

Bella domanda. Nel corso degli anni abbiamo assistito a diversi trend. Partiamo dal presupposto che noi proponiamo due linee di prodotti diverse per target diversi. La linea Matrix Games è quella che definiamo hardcore. Per intenderci, parliamo di mappe di sessantamila esagoni con un livello di dettaglio veramente incredibile. È rivolta a quelli che noi chiamiamo “wargamer”, esperti ed esigenti. Invece gli “strategy gamer” sono serviti da Slitherine e costituiscono un pubblico più allargato. È chiaro che, pur parlando di pubblico allargato, mi riferisco comunque a una nicchia. Uno dei modi per ampliare il bacino di utenza, e questa è una cosa che sperimentiamo soprattutto nella parte strategy game, è quella di colpire diversi bacini di interesse tramite lo sfruttamento di licenze. Lo abbiamo fatto con Warhammer, attirando ad esempio con Gladius un pubblico piuttosto giovane. Lo facciamo proponendo esperienze di vario genere, passando dallo strategico fantascientifico al titolo ambientato nell’Antica Roma. In questo modo il pubblico diventa trasversale, perché chi è interessato all’Antica Roma non è detto che lo sia anche alla Seconda Guerra Mondiale, o che sia appassionato di fantasy. Inoltre abbiamo notato nel corso degli anni un notevole ricambio a livello di pubblico. Ci sono dei cicli e può capitare che si verifichino alti e bassi, ma in generale la situazione si mantiene su livelli costanti. I numeri sono comunque molto interessanti se consideri che, per citare qualche numero, la newsletter della nostra linea super hardcore può contare su oltre mezzo milione di utenti attivi.

Command: Modern Operations è più di un semplice gioco. È un vero e proprio simulatore bellico utilizzato dalle forze armate di tutto il mondo.

Rimanendo in tema videogiocatori, quanto è difficile lavorare con un pubblico molto esigente e attento?

Dieci anni fa, ma forse anche cinque, ti avrei risposto che è difficilissimo. Perché i nostri utenti sono spesso pretenziosi, vogliono cose molto specifiche, sono pignoli e fanno le pulci su tutto, dai particolari di un’armatura alle caratteristiche funzionali di un’arma. Però devo dire che nel mondo dei social media, ormai dominato dalla figura degli hater, i nostri utenti sono molto educati e forniscono dei feedback precisi e sensati. È vero, ci sono sempre quelli a cui non va bene niente, però sono una piccola percentuale. Una delle lamentele principali con cui dovevamo lottare dieci anni fa era relativa al prezzo dei nostri giochi. “Costano troppo” era un commento che sentivamo spesso. Abbiamo impiegato anni a sfatare questo mito e, ad aiutarci in tutto questo, è stato anche l’ingresso del mondo dei videogiochi del free to play, che ha scombinato un po’ le carte. I cambiamenti nel mercato sono stati talmente tanti che è cambiata anche la concezione di gioco premium.

Battlestar Galactica è un titolo disponibile anche su console. Un mercato secondario, ma non dimenticato da Slitherine.

Come si comunica al mondo un prodotto di nicchia? Come si cerca di ampliare il proprio mercato?

Occupandomi di marketing osservo anche quello che succede ad altre aziende che propongono prodotti con un target più ampio. Noto che una delle figure maggiormente di moda attualmente è quella dei micro influencer. Queste figure di youtuber, di twitch streamer o di instagrammer che si rivolgono a fette di pubblico molto piccole, ma al tempo stesso molto specifiche. Noi con i micro influencer lavoriamo da sempre. Collaboriamo con youtuber e twitch streamer che hanno magari dieci, venti o trentamila utenti che li seguono. Per noi sono la prima voce verso il nostro pubblico, tanto più che sono davvero pochi i siti internet che si occupano di giochi di strategia, e anche quelli che un tempo recensivano tutte le novità, allo stato attuale toccano una percentuale irrisoria delle nuove uscite. Questo tipo di influencer per noi è fondamentale. Rimane la sfida di riuscire a fare il grande salto, cioè di uscire dal circolo di utenti molto interessati al tuo prodotto per raggiungere un pubblico diverso. Questo è molto difficile. Anche se bisogna dire una cosa. Il nostro prodotto è di nicchia, ma il nostro pubblico non è una nicchia. Basti pensare che dieci milioni di persone giocano a Civilization, che non è un titolo banale. Lo stesso vale per esempio per Total War. O per Europa Universalis di Paradox, che è un gioco ipercomplesso, iperprofondo, con delle meccaniche molto, molto complicate, che ha venduto tantissimo. Questo vuol dire che il pubblico potenziale c’è. La nostra sfida e il nostro obiettivo è quello di uscire dalla nicchia nono solo a livello di pubblico, ma anche a livello di qualità del prodotto.

 

Warhammer 40,000 Gladius è uno strategico 4X ambientato nell’universo Games Workshop.

Per riuscire ad ampliare il proprio target è necessario anche farsi notare sugli store online. Come si fa a emergere in un negozio virtuale saturo come Steam?

È una domanda che richiede una risposta piuttosto articolata anche perché l’approccio di Steam con la distribuzione è cambiato in maniera sensibile nel corso degli anni. Steam è passata dal proporre pochi prodotti selezionati a curare in maniera diretta il contenuto, dal programma Greenlight con cui chiedeva al pubblico di votare ciò che voleva sulla piattaforma all’aprire i cancelli e far entrare un po’ di tutto. Adesso come adesso, per qualunque sviluppatore indie che entra in contatto per la prima volta con Steam farsi notare è veramente molto difficile. Noi abbiamo un rapporto con Steam che abbiamo costruito da quando è partito Greenlight, quindi molti anni fa, e per questo abbiamo e la possibilità di avere un account manager che gestisce il nostro catalogo. Di fatto siamo in comunicazione costante con il team di Steam, che conosce i dettagli dei nostri prodotti disponibili e di tutte le nostre prossime uscite. Questa per noi è una fortuna immensa. È una cosa che abbiamo guadagnato nel corso degli anni, però è una fortuna nel senso che sappiamo di avere garantite per i nostri prodotti una serie di feature basiche, sappiamo che entreremo in certi tipi di liste e che i nostri giochi verranno spinti sul pubblico di riferimento. Questo ci permette di avere una visibilità che non è a disposizione di tutti. Detto ciò per avere successo entrano in gioco anche l’elemento fortuna, l’elemento feedback del pubblico e tutta una serie di altri fattori che sono totalmente fuori dal nostro controllo. Ciò che io dico sempre ai nostri sviluppatori indipendenti è che il nostro ruolo non è quello di avere successo per forza. Il nostro ruolo è di dare ai prodotti, come publisher, la possibilità di essere notati più di tutti gli altri. Se noi lavoriamo bene, il nostro prodotto emerge. Poi starà al pubblico decidere se il tuo gioco avrà successo o meno, e a quel punto può accadere di tutto. Ci sono titoli che hanno l’85-90% di feedback positivi degli utenti e si incartano nelle vendite. Ci sono alcuni giochi che invece vanno benissimo senza apparenti motivi, che ti fanno chiedere “ma perché ha successo?”. Cito come esempio un titolo che ha un paio di anni, Raft. È una sorta di survival game su una zattera, che ha venduto milioni di copie, ma non c’è una ragione specifica per cui ha venduto. Ci sono fattori imprevedibili. Per dirti, alcuni anni fa ho partecipato a una conferenza in cui alcuni sviluppatori spiegavano il perché il proprio prodotto avesse avuto successo. La cosa ridicola, è che nella maggior parte dei casi non lo sapevano neanche loro.

Slitherine non è solo fantasy e fantascienza. I suoi wargame e strategici di ambientazione storica sono tra i migliori del genere per profondità e cura nei dettagli.

Steam è ormai il principale mezzo di distribuzione, ma non è l’unico. Ad esempio voi avete uno store online che vende anche collector’s edition. C’è un mercato per le edizioni fisiche? Ampliando il discorso, quale è il vostro rapporto con gli altri store online?

Credo di poter dire con un certo grado di certezza che sono solo i fan di una certa età a comprare le versioni scatolate. Però si tratta di un numero ancora corposo, che si avvicina intorno al 25% degli acquisti sul sito. Ci sono quindi ancora tanti appassionati che vogliono un’edizione del gioco più strutturata, più curata, con la sua confezione. Ovviamente gioca un ruolo importante anche il fattore collezionismo. Più in generale, il nostro store online vale in totale cifra fatturata il 30% di Slitherine, quindi una cifra importante. È anche un bel modo per avere un contatto diretto con la community, per parlare con i nostri giocatori, per lavorarci insieme e ricevere i loro feedback. GOG funziona molto bene per una certa tipologia di prodotti. Trattandosi di uno store che si rivolge a un target composto da giocatori PC tradizionali, con una fascia d’età più alta rispetto ad altri, ritroviamo tanti dei nostri vecchi appassionati, o magari persone che giocavano gli strategici negli anni ’90. Per quanto riguarda altri store ti devo dire la verità, stanno crescendo tutti abbastanza in modo organico. Noi lavoriamo bene con Gamesplanet e con GamersGate. Il sistema che ha messo in piedi Steam di vendita di chiavi ha il lato iperpositivo che tutti possono vendere senza una commissione, perché tu non è che paghi Steam perché vendi una loro chiave, paghi solo il publisher che ti vende la chiave. Ha però il problema che di fatto crea un mercato grigio, con persone che comprano chiavi in sconto e poi le rivendono. Il che non è bello. Però in linea di massima, per come ha gestito il tutto Steam negli anni, è nato un sottobosco molto interessante di store verticali che si concentrano su specifiche fette di pubblico o su zone geografiche specifiche. Chi vende solo in Russia, chi solo in Brasile, per esempio. Sono soluzioni veramente interessanti perché sono rivolte a delle community specifiche e svolgono un ottimo lavoro di crescita del prodotto a livello locale di PR. Per questo se ci lavori bene puoi ottenere ottimi risultati sul mercato mondiale.

 

Cambiando argomento, a livello produttivo quali sono le differenze tra un vostro titolo e un tripla A, sia in termini di budget che di tempistiche?

A livello di tempistiche direi che non ci sono grandi differenze. I team di sviluppo sono più piccoli e i progetti sono meno ambiziosi, ma di fatto le tempistiche per l’uscita di un prodotto sono quelle. Le posso sintetizzare con un: meno di diciotto mesi no, più di trentasei mesi sei pazzo. Questa dovrebbe essere un po’ la guida e credo che quasi tutti cerchino di restare all’interno di questo lasso di tempo. Per quanto riguarda la questione budget, per come la vedo io esistono ancora tre diversi livelli nel settore. In cima abbiamo i tripla A di Ubisoft, Electronic Arts, Activision e di tutte le software house che dispongono di studi di sviluppo giganteschi. Poi c’è il mid core, ovvero il nostro livello. I nostri studi di sviluppo variano dai cinque ai venticinque componenti. Infine ci sono i super indie con un massimo di tre-quattro persone. Esistono anche dei cosiddetti “finti indie”, tipo 11 Bit Studios, che producono titoli come Frostpunk con un team composto da un centinaio di persone. Al nostro livello, che poi ad esempio è lo stesso di Paradox e di altre importanti realtà, di fatto non manca nessuna figura nel processo di produzione. Un aspetto che è sicuramente meno sviluppato è tutta la parte relativa alla pre-produzione e alla prototipazione, anche perché spesso lavoriamo su engine già provati e su meccaniche già consolidate. Inoltre non abbiamo un reparto di testing interno ma ci affidiamo molto alla fase di beta. Infine, le differenze sono ovviamente anche a livello numerico. C’è chi dispone di venti programmatori, noi invece ne abbiamo due, tre. E poi, banalmente, se devi animare un personaggio in terza persona ovviamente hai bisogno di molto più personale rispetto al dover muovere un carro armato su una mappa esagonale.

Uno degli aspetti che colpisce maggiormente di Command: Modern Operations è il database di mezzi a disposizione. Il più completo al mondo.

Avete un seguito fedele su PC costruito nel corso degli anni. Cosa ci raccontate invece del mercato console?

Le console rappresentano un ottimo modo per ampliare il nostro target e ci permettono di raggiungere persone che di fatto non comprerebbero un nostro gioco su PC. Le nostre esperienze su console riguardano sempre titoli con una struttura più “semplice” e lineare, wargame accessibili possibilmente affiancati da una licenza importante. Per esempio Battlestar Galactica funziona molto bene, specialmente su Xbox. Di fatto in questo caso è il marchio a fungere da richiamo per un pubblico che magari non è interessato in assoluto al genere strategico, ma che vuole un’esperienza ambientata all’interno della serie. In termini assoluti il prodotto console non è una nostra priorità durante lo sviluppo, anche se grazie alla possibilità di utilizzare engine particolarmente flessibili tipo Unity, Unreal o il nostro Archon, possiamo lavorare in maniera abbastanza snella sulle conversioni. Questo ci permette di provare di tanto in tanto a raggiungere un pubblico più ampio attraverso dei prodotti specifici. Si tratta di un business incrementale molto interessante e con rischio limitato, che può anche portare a ottimi risultati. Ricordo per esempio, in passato, quanto è successo con iPad. iPad è stato per noi una gallina dalle uova d’oro per tre-quattro anni, prima che il free to play si mangiasse tutto. Credo che Battle Academy abbia raggiunto in tutte le sue interazioni un totale di circa milione di copie. Ed era un prodotto premium venduto a 19,90.

 

Quale è la situazione del mercato italiano? Come si comporta rispetto al resto dell’Europa e del mondo?

Faccio una premessa. Con la crescita di nuovi mercati, come ad esempio quello cinese, il mercato italiano per noi ricopre un ruolo di secondo piano. Vale circa l’1,2%, quindi è veramente residuale. A livello di fatturato generale si mantiene su cifre stabili, ma con “grossi calibri” come la Russia, la Cina e il Brasile che crescono in maniera costante è chiaro che le nazioni che una volta la facevano da padrone calano per quanto riguarda il market share. Per il resto il mercato italiano è vivo, con un notevole quantitativo di appassionati. Se posso dire una cosa, ho notato che in Italia siamo rimasti molto sul tradizionale a livello di comunicazione. Abbiamo davvero pochi influencer specifici sul settore giochi strategici, mentre ce ne sono molti di più in Francia, in Spagna e in Germania. È anche molto difficile trovare giornalisti o persone che scrivano in modo intelligente e con conoscenza di giochi di strategia. Sono veramente poche le realtà che riescono a farlo, e questo non favorisce la diffusione del genere.

– Anche i titoli che sono caratterizzati da elementi fantastici, come Fantasy General II Invasion propongono dinamiche di gioco ricche e complesse.

Parlando invece a livello di produzione, mettiamo caso che io abbia un’idea geniale per un gioco strategico. Come posso proporvela?

In modo abbastanza tradizionale. In questo momento stiamo lavorando con cinquantotto studi su diversi progetti. Alcuni stanno sviluppando i propri titoli, altri invece stanno lavorando su una patch, o su un DLC di un prodotto già disponibile. Con la maggior parte di questi team abbiamo instaurato una collaborazione pluriennale. Di base il procedimento è semplice. Quando veniamo contattati esaminiamo il materiale che riceviamo, che può essere un prototipo o una minidemo che mostra le caratteristiche del titolo in questione. Abbiamo un processo di valutazione piuttosto snello, nel senso che non impieghiamo molto tempo a prendere una decisione su cosa fare. Se il progetto è di nostro interesse iniziamo un dialogo che riguarda sia la parte economico/finanziaria sia la parte di publishing, di idee sul progetto e di produzione. Lavoriamo con studi sparsi in tutto il mondo, dalla Nuova Zelanda all’Argentina, all’Uruguay agli Stati Uniti a tutta l’Europa quindi nel tempo siamo riusciti a capire che le buone idee arrivano da tutte le parti, e non solo da studi di sviluppo strutturati. In generale quello che riusciamo a fare è fornire un supporto ai team. Quando uno sviluppatore non dispone di tutte le risorse necessarie, per esempio gli manca un artista piuttosto che un programmatore per il multiplayer, cerchiamo nel limite del possibile di occuparci noi quella parte. Se l’idea ci piace lavoriamo tanto insieme allo sviluppatore per fare in modo che il prodotto arrivi nei negozi con tutte le caratteristiche che il mercato vuole. In generale se un team con una buona idea e un buon pitch vuole proporci un’idea, ci scriva a info@slitherine.co.uk. Leggiamo tutto e forniamo feedback su tutto.

 

Uno degli aspetti che colpisce dei vostri titoli è la cura nei dettagli. Quanto l’attenzione ai particolari può trasformare un videogioco in uno strumento educativo e didattico, sia in campo scolastico che bellico?

Il rapporto tra Slitherine, educazione e didattica bellica è abbastanza interessante. Procedo in ordine cronologico. Nel 2007-2008 siamo andati a Bruxelles a presentare uno dei nostri prodotti. Si trattava di un gioco ambientato nell’Antica Roma per utilizzo didattico. È stato un esperimento tra l’interessante e il fallimentare, nel senso che abbiamo parlato con un sacco di persone interessanti, abbiamo fatto un sacco di pitch in giro ma forse era troppo presto, forse il prodotto non era adeguato, e alla fine la parte di sviluppo educativo dei nostri giochi si è conclusa in modo abbastanza inglorioso. Io continuo a credere però che questi prodotti possano essere molto interessanti per avvicinare i ragazzi alla storia e a tutta una serie di altri argomenti. Quattro anni fa circa invece siamo stati contattati da quello che di fatto era uno dei nostri fan, un giocatore della nostra community, che ci ha detto “guardate io lavoro al Pentagono, perché non adattate uno dei vostri prodotti per creare delle sessioni di wargaming con i nostri ufficiali?”. Alla frase “noi siamo del Pentagono” ci è venuto istantaneamente da ridere, poi in realtà ci siamo resi conti di avere a che fare con persone molto serie. Da qui abbiamo intrapreso un lungo percorso. Considera che fino a pochissimo tempo fa le simulazioni di wargaming dell’esercito più importante e forte del mondo erano fatte con Powerpoint e delle slide con carta e penna. Partendo da questo presupposto è facile comprendere come siano rimasti stupiti quando hanno scoperto quello che era in grado di fare il nostro prodotto cardine sulla parte PRO, Command: Modern Operations. Si tratta di un software con una profondità e un dettaglio che nessun altro strumento che avevano a disposizione loro ha, e probabilmente avrà mai. Inoltre dispone del database più accurato che esista in fatto di mezzi militari moderni dal post Seconda Guerra Mondiale a oggi. Così ricco da fargli chiedere se non avessimo rubato i dati da qualche parte. Il suo utilizzo avviene su tre fronti. Il primo fronte è la parte accademica, quindi lezioni di tattica e strategia militare. In questo senso Command: Modern Operations viene usato principalmente dalla Bundeswehr, in particolare dall’aviazione tedesca, in praticamente tutte le scuole ufficiali. In secondo luogo viene usato come strumento analitico a un livello più alto, dagli ufficiali e dai generali di aviazione e marina di quasi tutti i paesi Nato per simulare operazioni militari e per analizzarne le conseguenze sia a livello di strategia e tattica sia a livello di impatto sui mezzi. Per spiegarlo in termini semplici, per valutare ad esempio quali basi utilizzare, dove dislocare le portaerei per consumare meno carburante e cose del genere. In terzo luogo in ambito privato per testare nuovi sistemi. Tra i nostri clienti abbiamo aziende come Lockheed Martin, BAE Systems, Boeing e altri che utilizzano il nostro software per provare nuove tecnologie ancora in fase di studio. Si tratta a conti fatti di una parte del nostro lavoro che si è sviluppata negli ultimi quattro anni e che ora è diventata una componente importante del nostro business, che ci sta assorbendo non poche energie perché è giunta a sorpresa, inaspettata. Noi nasciamo come publisher di videogiochi, ma adesso ci stiamo occupando anche di altro.

 

Tornando al lato più ludico, quali sono i progetti futuri di Slitherine?

Tante cose bollono in pentola. Innanzitutto, e questo credo che il nostro pubblico lo abbia notato, stiamo alzando di tanto la qualità dei nostri prodotti a livello grafico con uno sforzo economico e finanziario veramente importante. Stiamo aumentando in maniera considerevole il numero di persone che lavorano in azienda. Siamo in una fase di grande investimento proprio perché per noi i prossimi due, tre, cinque anni saranno fondamentali. Però sempre partendo dal discorso “ok, gettiamo delle basi solide e poi passiamo al passo successivo”. Sicuramente continueremo a investire su prodotti su licenza. Di recente abbiamo acquisito l’IP di Master of Magic. Abbiamo annunciato Starship Troopers e c’è molto altro ancora. In un mercato molto difficile è importante disporre di brand famosi perché questo ti permette di raggiungere un pubblico più ampio e di essere notati all’interno degli store. C’è tanto da fare sia a livello tecnologico che a livello di creare marchi che abbiano un futuro che non si limiti a uno o due anni ma che si protragga per dieci, vent’anni. Perché poi alla fine il vero valore di un’azienda risiede nelle proprierties, e su questo ovviamente noi continuiamo a investire. Sarà inoltre importante capire in che direzione si muoverà la distribuzione. Scoprire come si svilupperà lo streaming, quindi valutare Stadia sì o Stadia no. Vedere come cambierà il concetto di multipiattaforma e se Xbox, PC e tutte le altre piattaforme inizieranno a parlare tra di loro. Insomma, tante domande, ma anche tante certezze.