'Returnal' è una lettera d’amore ai classici arcade | Rolling Stone Italia
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‘Returnal’ è una lettera d’amore ai classici arcade

Effetti visivi straordinari, atmosfere spaventose, gameplay punitivo e vecchia scuola: ecco perché il videogame di Housemarque rappresenta il vero inizio della nuova generazione per Playstation 5

‘Returnal’ è una lettera d’amore ai classici arcade

'Returnal'

Ci sono tante ottime ragioni per giocare a Returnal e per una volta non c’entra che siate appassionati del genere, o che scegliate i vostri titoli per il comparto grafico, o per quello sonoro o perché vi piacciono le ambientazioni spaziali. Returnal, più prosaicamente, è un gioco fatto talmente bene che piacerà a tutti. E non lo fa perché è un titolo paraculo, lo fa perché ogni suo singolo aspetto è curato all’inverosimile. Eppure, rispetto a colossal annunciati come potrebbero essere i due The Last of Us, di Returnal si è saputo relativamente poco e comunque molto tardi, e il fatto che dello sviluppo se ne sia occupata Housemarque non ha certo aiutato a dissolvere l’alone di mistero che circondava il titolo fin dall’annuncio. Scelta precisa? Un po’ sì, ma dietro c’è anche una storiella interessante.

Housemarque è, anzi era visto cosa è diventata adesso, una piccola software house finlandese nata dalla fusione di altre due case scandinave, Bloodhouse e Terramarque. Se non siete appassionati di storia dei videogame la notizia vi dirà poco o nulla, ma vi basti sapere che si trattava di programmatori cazzutissimi, provenienti per lo più dal mondo della demo-scene, vale a dire competizioni in cui si sfidano i migliori programmatori di grafica al mondo. E i ragazzi di Bloodhouse e Terramarque di quelle competizioni ne avevano vinte molte. Una volta fusi in Housemarque fecero una scelta precisa: puntare a videogame che mostrassero tecnologia grafica sopraffina, ma stando sempre attenti ai budget di produzione, per evitare che un flop commerciale li costringesse alla chiusura.

È per questo che, dal primo momento, cioè il 1995, Housemarque iniziò a sfornare titoli “arcade”, cioè votati all’azione pura, stile sala giochi, con una grafica intrisa di splendidi effetti speciali. Giochi splendidi, da intenditori, senza fronzoli e dalla giocabilità stellare, che al tempo stesso potevano essere sviluppati in tempi ridotti, con poco personale, e con rischi imprenditoriali molto bassi. Il risultato di questa precisa scelta è che Housemarque è sopravvissuta a oltre venticinque anni di attività, ere geologiche per questo settore, sfornando videogame “piccoli”, ma di qualità eccelsa. Per dire: Super Stardust, Super Stardust HD, Dead Nation, Super Stardust Delta, Resogun, Alienation, Nex Machina e Matterfall. Si è sempre trattato di giochi ad altissimo livello tecnico e dallo spirito arcade puro, che col passare degli anni son stati ritenuti sempre più di nicchia specie nei confronti di un mercato che tende a premiare o produzioni enormi o indie molto piccoli e low cost. E così, nel 2017, i ragazzi di Housemarque si son accorti di essere in una pericolosa terra di mezzo dove, al cospetto di ottime recensioni, si raggranellavano poche copie vendute.

Annunciato ufficialmente l’addio al mondo arcade puro, con un post che colpì al cuore gli irriducibili fan della saga, Housemarque è stata quindi approcciata da Sony che, fino ad allora, non era certo stata indifferente ai prodigi tecnici di gioielli come Super Stardust HD e Resogun, di fatto titoli di lancio di PlayStation 3 e 4. Grazie a questa collaborazione, dunque, Housemarque ha iniziato il suo viaggio verso il gotha dei grandi sviluppatori, con un budget decisamente superiore, più tempo e risorse da dedicare al suo nuovo titolo: Returnal. Per i fan di Housemarque poteva essere tradimento, ma sono bastati pochi minuti per capire che i ragazzacci finlandesi non hanno perso lo smalto di un tempo: sono solo cresciuti.

Sulla carta, Returnal è un gioco action ambientato nello spazio, esattamente come altri titoli di Housemarque. All’apparenza, però, le similitudini finiscono qui, perché quegli arcade, si pensi a Resogun, seguivano i cliché del genere: un’astronave che spara a più non possono verso frotte di nemici seguendo percorsi predefiniti che il giocatore deve scoprire per avere la meglio. In Returnal l’astronave è solo l’inizio dell’avventura e serve come pretesto per far precipitare la pilota Selene sull’inospitale pianeta Atropo. Atterraggio di emergenza, pianeta, si scende e via. Le sequenze di intermezzo sono poche, brevissime e tutto è lasciato al gameplay, proprio come ci si aspetterebbe da un titolo Housemarque. Ma c’è anche una storia, che inizia nel momento in cui Selene, su quel pianeta, scopre il suo stesso cadavere, lasciando intuire che ci si trova in un loop temporale.

La trama si sviluppa in modo fluido ma mai ingombrante, lasciando ancora una volta alla giocabilità il ruolo di protagonista. Perché il giocatore, esattamente come in Super Stardust, Alienation, Resogun, e i vari titoli dei geniacci finlandesi, è chiamato ad affrontare ondate più o meno numerose di nemici che si fanno avanti ciascuno col proprio stile, i propri punti di forza e le proprie vulnerabilità. Returnal è action allo stato puro, certo, ma in chiave moderna e come nessuno, finora, per lo meno nelle tre dimensioni, aveva mai interpretato il genere. Prova ne è il fatto che, quando si muore, non si muore davvero: si diventa una proiezione del loop temporale e si viene catapultati in una nuova dimensione, sempre diversa dalla precedente. Returnal è un action veloce, con una curva di difficoltà iperbolica, dove però, grazie a questo meccanismo, la morte fa meno paura e spinge a continuare la partita. Verrebbe da dire “a inserire un altro gettone”, come si conviene con un arcade puro.

Returnal, del resto, è un titolo Housemarque anche sul versante tecnologico. Una grafica deliziosa, ricca di effetti speciali specie sul versante di illuminazione e sistemi particellari, dove la fluidità dei 60 fotogrammi al secondo non fa sconti alla risoluzione 4K. E per non farsi mancare nulla, c’è un sonoro immersivo che, forse per la prima volta, sfrutta a dovere il Tempest Engine di PlayStation 5, la sublime tecnologia audio di cui tanto si parlò alla presentazione della console di nuova generazione di Sony.

E non è un caso che lo si faccia con Returnal, titolo che non tradisce le sue origini ma abbraccia il pubblico della next generation, dando finalmente il via ai titoli per cui vale la pena investire su una nuova console. Se avete PlayStation 5, Returnal è un must. Se non ce l’avete, è il momento di accaparrarvela (sempre che ne troviate una, we know).