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La pirateria è il male minore?

Nonostante il business model quanto meno discutibile, i colossi del key reselling prosperano ancora a scapito degli sviluppatori

Se la pirateria viola il diritto d’autore, gli acquisti su G2A risultano spesso penalizzazioni economiche per gli sviluppatori.

“Nel nuovo episodio di Fanculo G2A: G2A ha impostato delle inserzioni su Google, il che significa che quando qualcuno cerca i nostri giochi, i link di G2A saltano fuori sopra ai nostri link – e noi non becchiamo un euro dai giochi acquistati tramite le inserzioni. Per favore, se state pensando di comprare un gioco da G2A, optate piuttosto per la pirateria. Sono sincero! Gli sviluppatori non ci guadagnano nulla in ogni caso, quindi preferiamo che non ci guadagni nemmeno G2A.” Con questo tweet di Mike Rose, l’uomo dietro l’etichetta No More Robots che pubblica tra gli altri Descenders, si è di nuovo intensificata la shitstorm su G2A e gli altri key shop. Ok, un passo alla volta: chi o cosa è un key shop?

Mastro di chiavi

Questa è facile: un key shop, o key reseller, è un sito che consente di vendere e acquistare codici per riscattare videogiochi o app sui principali markplace. In genere si tratta di codici per PC, ma non mancano chiavi per console o device portatili. I più noti sono G2A e Kinguin. La loro caratteristica dunque è quella di non vendere direttamente i codici, ma di offrire una piattaforma per chi vuole vendere e per chi vuole comprare. I prodotti venduti tramite queste piattaforme hanno però spesso un prezzo inferiore, a volte anche sensibilmente inferiore, rispetto a quelli in vendita negli shop ufficiali. E qui arriviamo al secondo punto: com’è possibile? Da dove arrivano le key in vendita?

Nonostante le presunte buone intenzioni più volte dimostrate, G2A risulta ancora un ricettacolo di codici di dubbia provenienza.

Causa doppio regalo, vendo

Su questo punto, non esistono risposte sicure. G2A e Kinguin non diffondono informazioni di questo tipo, ma una cosa è sicura: le chiavi non arrivano dagli sviluppatori né dai publisher. In altri termini, nessuno dei soggetti coinvolti nella realizzazione dei giochi venduti da G2A guadagna dalle transazioni che riguardano il frutto del loro lavoro. Allora come ci arrivano i giochi su queste piattaforme? Una prima fonte, forse la più lecita, può essere rappresentata da tutti coloro che si ritrovano per qualunque ragione con il codice di un prodotto che non vogliono utilizzare: un regalo sgradito o un gioco ottenuto in bundle con una scheda video, ad esempio. Ma osservando la quantità di prodotti in vendita è difficile che questa casistica costituisca il bacino principale di G2A e simili. Altra ipotesi è quella di codici acquistati in massa durante i saldi di Steam e rivenduti poi a promozioni concluse. Gli eventi degli ultimi anni tuttavia hanno rivelato una realtà ben torbida: migliaia di codici venduti su G2A provengono da acquisti effettuati attraverso carte di credito rubate o clonate.

Nonostante la frequenza dei saldi di Steam e il generale crollo dei prezzi a pochi mesi dal dayone, i mercato grigio prolifera.

Il mago della truffa

Il meccanismo è abbastanza semplice, soprattutto se si dispone di capacità di hacking e nessuna remora morale. Basta rubare i dati di una carta di credito, comprare decine o centinaia di codici del gioco del momento e metterli subito in vendita su G2A a una frazione del prezzo ufficiale. Con ogni probabilità, i codici andranno esauriti prima ancora della denuncia di furto. Quindi, quando le transazioni verranno contestate dall’istituto di credito i codici saranno già stati riscattati. Come risultato, al venditore ufficiale del codice verrà contestato e revocato l’accredito, qualcuno giocherà un gioco rubato pagato un terzo del suo valore e G2A ci guadagna in commissioni.

Il crollo della piramide

Questo schema ha funzionato a lungo, almeno finché Ubisoft, Devolver e altri grossi publisher non hanno reagito, disattivando unilateralmente tutte le chiavi acquistate tramite transazioni fraudolente. Per molti piccoli studi, tuttavia, l’attività connessa alla gestione di simili controversie richiede tempo e risorse di cui non dispongono. Anche G2A ha attivato misure cautelative, attivando l’opzione Shield in fase d’acquisto che consente di ottenere una chiave sostitutiva qualora si incappi in una fraudolenta, per un modico sovrapprezzo, ovvio. Come lucrare su un’ammissione di colpa, insomma. Tutto ciò, però, accadeva a febbraio 2015 e a luglio 2019 siamo ancora allo stesso punto. C’è dunque una soluzione? Probabilmente no.

Cercando Descenders in alcune aree geografiche su Google, il primo risultato è un’inserzione di G2A.

Il paradosso del pirata

Se a quattro anni di distanza il business di G2A appare ancora solido e prospero, al punto da potersi permettere inserzioni non disattivabili sulla prima pagina di Google, ci sono poche speranze che il tema etico faccia presa sui videogiocatori. A maggior ragione analizzando il mercato odierno in cui, a differenza di un lustro fa, i titoli AAA si trovano a prezzo budget spesso nel giro di un mese. Il problema di fondo è che l’acquisto su G2A viene percepito come pienamente lecito, quando nella maggior parte dei casi si configura come un furto ben più dannoso per chi lo subisce della pirateria in termini economici. La sola alternativa a un risveglio delle coscienze sarebbe un intervento normativo che tuttavia non sembra interessare nessuno, e non stupisce considerando quanto ci capisca di videogiochi chi si trova in posizioni legislative oggi. La prossima volta che qualcuno vi racconta di come il mercato sappia regolarsi da solo, raccontategli questa storia.  

 

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