L’antica arte di farsi fottere dagli “ufo catcher” giapponesi | Rolling Stone Italia
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L’antica arte di farsi fottere dagli “ufo catcher” giapponesi

Ovvero, come spendere centinaia di yen in una sala giochi giapponese, tra pupazzi, gru e speranze di vittoria non sempre corrisposte

L’antica arte di farsi fottere dagli “ufo catcher” giapponesi

Prima regola per un Ufo Catcher che si rispetti: far sembrare la vincita immediata, facile e soprattutto economica.

Nel mio viaggio a Tokyo, dopo aver speso qualche centinaio di yen tra macchine e tamburi, subendo cocenti sconfitte e rimediando una sequenza di notevoli figuracce, mi sono ritrovato con qualche monetina in tasca. Scartata immediatamente l’idea di provare un purikura, il mio sguardo è stato catturato da una sezione della sala giochi che avevo inizialmente snobbato. È una parte in cui il silenzio e la tranquillità sono interrotte solo da qualche urletto di gioia e da brevi jingle musicali che accompagnano una vincita. È la casa degli Ufo Catcher.

Da grande farò il gruista!

Cosa è un Ufo Catcher? È presto detto. È un cabinato al cui interno sono posizionati dei premi, che il giocatore deve riuscire a far cadere in un’apertura. Come fare per farli cadere? Semplice, basta spostarli tramite una gru, controllabile tramite una serie di leve e pulsanti. Il concetto di gioco è quindi elementare. Si inserisce il gettone, si muove il braccio meccanico, si attende che questo artigli l’oggetto desiderato e si osserva l’oggetto che viene trasportato e lasciato cadere nella zona di raccolta. Questa, ovviamente, è solo la teoria. Perché se fosse così, più che di un vero e proprio gioco si tratterebbe di beneficenza. La pratica è invece ben diversa. I premi, e gli ostacoli che si frappongono al “traguardo”, sono infatti posizionati con una precisione millimetrica in maniera tale da complicare la situazione. Ci sono barre asimmetriche che riducono l’ampiezza dell’apertura. O spuntoni che rendono più difficile la presa. Ganci che causano oscillazioni impreviste. E poi c’è il premio stesso, che tende a sbilanciarsi in una direzione piuttosto che nell’altra. O che, per il peso, causa un’apertura anticipata e repentina delle (tutt’altro che resistenti) braccia della gru. Da un certo punto di vista, gli Ufo Catcher possono essere considerati una versione robotica dei giostrai che, con la loro parlantina, riescono a catturare l’attenzione di un passante prospettando una facile vittoria. Non sono dotati di una lingua affilata, tagliente, capace di provocare senza mai essere offensiva o volgare. Non sono in grado di mitragliare scariche di aggettivi, sostantivi e verbi. Ma sopperiscono a tutte queste mancanze con un’arma devastante: una potenza visiva che non ha eguali. Perché ti mettono di fronte a un premio, abbandonato lì davanti a te, che sembra dirti “prendimi, non vedi come è facile? Mancano pochi centimetri e sarò tuo!”.

Ogni premio viene controllato, e a volte riposizionato, dagli addetti della sala giochi con meticolosa attenzione.

Una moneta dopo l’altra…

Girare tra le file di Ufo Catcher presenti in una tipica sala giochi giapponese è un’operazione rischiosa. Perché è difficile, molto difficile, resistere al richiamo di una preda che appare inerme, pronta a essere carpita dall’alto con un artiglio meccanico. Sembra che una singola moneta da cento yen possa dare il via all’agile volo in picchiata di un rapace, che nella realtà dei fatti si rivela invece il goffo ancheggiare di un tacchino. Ma, come spesso accade, il primo tentativo (che potremmo quindi chiamare tentativo zero) non vale. È una prova. Poco conta che abbia avuto un prezzo. Resta una prova. E così si passa alla seconda moneta e, magari senza neanche accorgersene, alla terza. Perché il premio in questione all’improvviso è diventato più figo. Più bello. Anzi, ancora di più. È diventato indispensabile. Poco conta se fino a dieci minuti non avevo mai sentito il bisogno di possedere un Pikachu gigante. Ora è necessario. Devo averlo. Intanto l’enorme peluche, tentativo dopo tentativo, si avvicina alla meta. A volte in maniera più netta, altre quasi impercettibile. Si ribalta su un lato, si sposta di millimetri e, quando ormai sembra pronto a finire tra le mie braccia, rimbalza in maniera beffarda su una sponda e rimane in bilico in una posizione del tutto innaturale. Servono altre monete. Cambio una banconota da mille yen e, finalmente, ci sono. Suoni, tripudio generale, un addetto della sala giochi arriva celermente con in mano un sacchetto pronto a contenere l’agognato pupazzo. Sorride, si complimenta con me (presumibilmente, per quanto capisco il giapponese potrebbe anche deridermi per i soldi spesi), un inchino appena accennato e riprende il suo girovagare tra i cabinati. E io? Ora che ho qualcosa da mostrare trionfanti, sono sazio o voglio tentare nuovamente la sorte?

Alcuni Ufo Catcher propongono un singolo oggetto in un’area completamente vuota. Altri invece puntano più sulla quantità.

Il trionfo… ma a che prezzo?

Come succede spesso nei giochi a premi, il rapporto soldi spesi/valore del premio ottenuto è a favore della “casa”. È un concetto logico e facilmente comprensibile. Se tutti vincessero un oggetto del valore di mille yen investendone cento, il fallimento sarebbe rapido e inevitabile. Può però capitare di vincere spendendo poco, per una serie di coincidenze astrali (una botta di c… ehm, colpo di fortuna, tecnicamente parlando) oppure perché il terreno è stato preparato da qualche altro giocatore, ma non è una cosa che si verifica normalmente. A meno di essere lui. Il re degli Ufo Catcher. Non ne ho la certezza matematica, ma credo che ogni sala giochi abbia il suo. Così come ogni regno ha il suo sovrano. È una persona di età indefinibile che si aggira tra i cabinati con uno sguardo attento, e che sceglie con meticolosa cura il suo bersaglio. Non è da confondere con l’avvoltoio, che resta in agguato in attesa che qualcuno abbandoni la presa per sfruttare a proprio vantaggio le monete già investite da altri giocatori. Lui è in grado di vincere anche con macchinette “intonse”. L’ho visto con i miei occhi, un (proclamato dal sottoscritto) re degli Ufo Catcher conquistare con quattro semplici mosse una statuetta di Gundam del quarantennale in edizione esclusiva. E qui entra in gioco un altro dei motivi di fascino di queste macchinette: alcuni premi sono esclusivi. Non tutti, ma alcuni sì. Sono disponibili solo nelle sale giochi e, di conseguenza, diventano ancora più appetiti dai collezionisti. Esistono poi, a ben vedere, alcune stranezze, difficilmente comprensibili. Non sono infatti riuscito a spiegarmi come tra robottoni, principesse, personaggi di anime e manga, pupazzi di dimensioni variabili dal tascabile al “talmente grosso dal dover essere inserito nello stato di famiglia”, siano presenti (e non sono pochi) Ufo Catcher che contengono al loro interno del cibo. Torri composte da tubi di patatine, pacchetti di caramelle, tavolette di cioccolato, snack di ogni genere. Tutti pronti a essere sgranocchiati, ma a che costo?

Ok Gundam. Va bene One Piece. Capisco i Pokémon. Comprendo ogni cosa legata al mondo dei videogiochi. Ma le patatine proprio no…

Spiccioli in tasca

Tutto sommato, riuscendo a mantenersi entro un budget umano, gli Ufo Catcher sono un passatempo divertente. La (moderata) sensazione di tensione che si prova mentre il braccio meccanico si abbassa verso l’oggetto, lo abbranca e cerca di spostarlo fino alla meta è piacevole, così come è tangibile la soddisfazione una volta raccolto il frutto dei propri sforzi. Certo, giocandoci non si diventerà mai ricchi e non faranno (quasi) mai colpi clamorosi, ma quando si vede l’oggetto giusto, è difficile resistere. Perché, al netto di ogni discorso fatto fino ad ora, alcuni premi sono davvero dei piccoli gioiellini. E, come ben sappiamo tutto, al cuor (e al collezionismo) non si comanda.

 

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