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“Il Mostro” è il podcast che racconta il primo vero serial killer italiano

A 50 anni di distanza dagli omicidi, il caso del mostro di Firenze continua a far parlare di sè. Lo psichiatra e criminologo Massimo Picozzi ha deciso di raccontarlo

Oggi è il 23esimo anniversario dalla morte di Pietro Pacciani, l’uomo che a livello mediatico ha principalmente incarnato la più grande epopea di cronaca nera della storia italiana: quella del serial killer noto come “Mostro di Firenze”. Una storia che, a oltre 50 anni dal presunto primo duplice omicidio – sono otto in totale quelli che si ritiene siano stati commessi dal killer – continua a far discutere. Perché produce ancora oggi teorie, contro-teorie, e storie a ripetizione sui presunti colpevoli, o possibili nuove piste d’indagine.

Ed è anche la data che Audible ha scelto per il lancio del suo nuovo prodotto true crime, realizzato in collaborazione con Gli Ascoltabili: Il Mostro. Il primo podcast di Massimo Picozzi, uno dei più autorevoli psichiatri e criminologi italiani, il cui racconto della vicenda del Mostro di Firenze è accompagnato anche dalla voce dell’attore fiorentino Massimo Alì. In 10 episodi da 50 minuti ciascuno.

Il podcast è un misto di analisi criminologica e narrazione: l’ascoltatore avrà modo di veder ricostruita l’intera storia sia nei dettagli salienti dell’indagine, sia nell’atmosfera che ha segnato un’epoca italiana. Dopo aver potuto ascoltare le prime due puntate in anteprima, ho avuto modo di porre qualche domanda direttamente a Picozzi. Per riuscire a capire quanto e come la storia del Mostro di Firenze sia ancora una storia così coinvolgente.

Partiamo dalla genesi di questo podcast: perché la storia del Mostro di Firenze, ancora oggi, è così affascinante?
Perché si tratta del primo, vero serial killer della storia criminale italiana. Nel passato c’erano già stati casi di delitti seriali, ma non con lo stesso numero di vittime, la stessa ferocia, lo stesso grado di sadica perversione; senza contare il prolungato lasso di tempo nel quale ha colpito, ben 17 anni.

È il cold case per eccellenza, e come ogni cold case continua a riproporre suggestioni e misteri, incongruenze e ricostruzioni complottistiche, prima fra tutte quella di una pista satanica. Non c’è bisogno di chiamare in causa satana per spiegare delitti atroci, basta la malvagità consapevole dell’uomo. Ma certo una qualche componente soprannaturale riesce sempre ad accendere un maggior interesse.

Quale è stato il suo approccio alla ricostruzione del caso? Come ci si muove narrativamente in una mole così grande di fatti, dettagli, e storie che si intrecciano in un periodo così lungo?
Occorre raggiungere un mix tra parte narrativa e aspetti più tecnico-investigativi. Nel caso del podcast abbiamo diviso i compiti, per ritrovarci in un confronto più ampio. Certo personalmente sono stato facilitato dal lungo sodalizio di scrittore true crime con Carlo Lucarelli, e dall’esperienza di 12 anni di programmazione radiofonica a Radio 105, con più di 500 puntate macinate negli anni.

Cosa pensa delle infinite teorie che negli anni si sono succedute per fornire delle risposte e dei nuovi colpevoli a questa storia?
Le trovo inevitabili in qualunque caso di cronaca nera che abbia risalto mediatico, figuriamoci in una storia che, oggettivamente, presenta grandi complessità e sconta il fatto che negli anni ’70 e nella prima metà degli anni ’80 le indagini di polizia scientifica non potevano poggiare sugli strumenti di oggi. DNA, cellulari e telecamere, fossero stati presenti all’epoca, avrebbero contribuito a risolvere il caso. Comunque non c’è delitto, ancora oggi, che non comporti decine di segnalazioni da mitomani, veggenti e sensitivi. E spesso occorre ascoltarli, perché magari hanno azzeccato un particolare non noto al pubblico. Per scoprire poi che si è trattato di una casualità.

Quanto, secondo lei, l’attenzione morbosa dei media ha condizionato la visione che si ha di questa vicenda?
La visione dei normali cittadini è stata sicuramente condizionata: ricordiamoci che i delitti del mostro sono avvenuti in un’epoca di grandi trasformazioni sociali, soprattutto nell’ambito dei costumi sessuali. Impossibile tenere a bada i fantasmi di un “castigatore morale” che puniva le coppiette in cerca di intimità.

Senza spoiler, si può dire che al termine di questa serie gli ascoltatori si saranno fatti un’idea più precisa dei fatti? Crede che la continua genesi di nuove “piste” avrà mai fine?
Lo scopo del podcast, oltre che raccontare una storia, è proprio quello di fornire elementi, indizi, prove; in modo che chi ascolta possa farsi un’opinione fondata e non solo suggestiva. Non escludo che possano verificarsi nuovi colpi di scena, perché va ricordato come il DNA, prova inesistente all’epoca, possa essere tratto anche da soggetti non più in vita. Un’indicazione oggi, potrebbe ancora portare a collegamenti di allora

Secondo lei perché il formato podcast risulta così adatto al racconto delle storie true crime?
Perché il potere evocativo della voce è biologicamente fortissimo. Non ci sono solo le parole, la sintassi, ma quella che viene chiamata la parte paraverbale, fatta di profondità, tono, prosodia, accelerazioni e silenzi. E accanto all’emozione la parola veicola contenuti processati dalla parte più razionale del nostro cervello. Potremmo dire che il podcast coinvolge testa e cuore, e sul cuore un ulteriore spazio se lo prendono musiche e suoni, a rendere più drammatico o più distensivo il racconto

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