I videogiochi del decennio 2010-2019: posizioni 50-41 | Rolling Stone Italia
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I videogiochi del decennio 2010-2019: posizioni 50-41

La mega-classifica dei 50 videogiochi che hanno rivoluzionato il decennio 2010-2019: le posizioni dalla 50 alla 41

I videogiochi del decennio 2010-2019: posizioni 50-41

50. Deadly Premonition (2010)

Esistono giochi brutti che vantano un discreto seguito perché fanno della parodia o della paraculata il loro punto di forza (Goat Simulator, Postal e continuate a piacere), ma non esiste una vera categoria dei videogiochi di serie B. Se ce l’avessimo, però, il rappresentante sarebbe senza dubbio Deadly Premonition, che ha creduto fino all’ultimo di poter emulare le grandi produzioni e alla fine si è guadagnato il suo pubblico, due riedizioni, un sequel e un Guinnes dei Primati per essere, in buona sostanza, “il più bel survival horror brutto della storia”. Chapeau!

49. Death Stranding (2019)

Death Stranding o si ama o si odia, ma di certo non lascia indifferenti. Questo anche per merito delle incontestabili capacità di marketing di Sony e Hideo Kojima, che hanno fatto del mistero e delle mezze rivelazioni un’esca irresistibile. A Kojima va inoltre riconosciuto il merito di avere una voce autoriale forte e immediatamente riconoscibile in un’industria che ad alti livelli tende a soffocare la visione del singolo in favore della standardizzazione, e anche per questo il mondo del cinema ha deciso di dargli fiducia.

48. Spec Ops: The Line (2012)

Prendi il genere più di successo, quello degli sparatutto bellici, e prova a trasformarlo in un prodotto che oltre a macinare incassi abbia anche qualcosa da dire. Lo ha fatto Yager nel 2012 con un gioco che non glorifica la guerra né i suoi protagonisti, e che ti fa sentire tutto il peso della tragedia umana che si nasconde sotto un’uniforme. Spec Ops si inserisce perfettamente nel discorso sulle scelte morali che ha caratterizzato questo decennio videoludico, anzi lo inaugura insieme a The Walking Dead di Telltale Games, uscito solo pochi mesi prima.

47. Superhot (2016)

Partito da un prototipo giocabile sul browser di un PC e approdato infine alla realtà virtuale, Superhot è un action movie in rallenty costante che come videogioco funziona in ogni salsa. In VR è una delle poche esperienze che ti restituisce l’uso delle mani e che puoi giocare per ore senza sentirti, alla fine, come se fossi appena sceso dal Poseidon. Ancora oggi trovarsi in un’impasse con tre proiettili fermi, sospesi per aria a pochi centimetri dal proprio naso è la sensazione più esaltante di sempre per chiunque sia cresciuto con il mito di Matrix.

46. Cuphead (2017)

Il run ‘n’ gun realizzato da Studio MDHR per Xbox One, oltre a rappresentare uno sforzo produttivo incredibile per uno gruppo di neanche dieci persone, ci ricorda che la qualità ancora conta nell’epoca della (ri)produzione di massa. Dietro l’artigianalità delle animazioni disegnate a mano dai fratelli Moldenhauer non c’è solo passione e una certa maniacalità, ma anche la riaffermazione della cura del dettaglio, la riscoperta dell’anomalia e dell’imprevedibilità. Cuphead è così difficile anche perché il suo mondo si muove in un modo che non siamo più abituati a vedere.

45. Tetris 99 (2019)

Nessun gioco può vantare più varianti di Tetris, ma mentre alcune funzionano a meraviglia perché non intaccano la formula di base (come Tetris Effect di quel geniaccio di Tetsuya Mizuguchi), la maggior parte riesce solo a dimostrare che non c’è niente di meglio dell’originale. Tranne nel caso di Tetris 99, che ha il merito di prendere il genere più in voga del momento, quello del battle royale, e mescolarlo al più classico dei classici. Tetris 99 riafferma il concetto che non è la tradizione a doversi adattare al presente, ma semmai il contrario.

44. The Last Guardian (2016)

The Last Guardian è il canto del cigno di Fumito Ueda, che ci regala la sua terza e ultima opera dopo averci tenuti col fiato sospeso per anni (otto, per l’esattezza). L’esorbitante durata dello sviluppo ha generato il rischio concreto che il gioco apparisse già datato alla sua uscita, ma The Last Guardian ha piuttosto il sapore antico di qualcosa che non rivedremo più. Come Trico, e l’istinto così reale e tangibile che lo anima. Ancora oggi, la creatura più “viva” mai apparsa in un videogioco.

43. Axiom Verge (2015)

Se c’è un genere che più di tutti sta vivendo una nuova primavera grazie alle produzioni indipendenti, questo è senza dubbio quello dei Metroidvania. Tra tutti i gioielli che abbiamo ricevuto negli ultimi dieci anni, però, Axiom Verge è di certo l’unico, vero erede spirituale del primo Metroid. La sua grafica a 8-bit spartana e respingente restituisce tutto il senso di isolamento e di inospitalità dei mondi alieni videoludici degli anni ’80. Ma c’è di più, perché sotto il rigore stilistico si cela invece un gameplay che riscrive i canoni convenzionali in ogni modo possibile. Un gioco che non si fa fatica a definire perfetto.

 42. Tomb Raider (2013)

Con il reboot della serie iniziato nel 2013, il franchise di Tomb Raider sta cercando di riaffermare la propria rilevanza in un mondo post Uncharted. Non possiamo onestamente dire che finora ci sia riuscito nel migliore dei modi, ma dietro i passi falsi e una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti, Tomb Raider è l’unico gioco d’avventura che ha abbandonato il modello di archeologo à la Indiana Jones per farci sentire un po’ di più Bear Grylls. E ci dimostra che il mondo dei videogiochi non è ancora pronto per fare a meno di Lara Croft.

41. Return of The Obra Dinn (2018)

Ci sono le avventure grafiche e ci sono i puzzle game. A volte i due generi si affiancano senza toccarsi all’interno dello stesso gioco; a volte – una sola, per la precisione – abbiamo Return of The Obra Dinn, che fa della storia il puzzle che bisogna ricostruire. In tanti hanno provato a farci sentire Sherlock Holmes prima d’ora, e qualcuno in una certa misura ci è anche riuscito. Lucas Pope però va oltre e riscrive le regole mettendoci al centro della scena del crimine perfetta dove tutto è fermo, cristallizzato nel tempo, niente si può toccare e non esiste il “premere a caso”. L’unica dinamicità è nella ricostruzione mentale degli eventi affidata al giocatore. Il solo videogioco in cui la parte più divertente dell’esperienza è quella dove, in effetti, non si gioca.