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Fabio Bortolotti e la chiptune, l’arte di far suonare (e bene) un Game Boy

Un ragazzo cammina per strade. Cuffie calate in testa, un Game Boy in mano. È un appassionato di retrogaming intento a provare il suo platform preferito? O forse è un musicista impegnato a dare gli ultimi ritocchi alla sua ultima composizione?

Nel corso degli anni Fabio Bortolotti e i suoi Game Boy hanno macinato migliaia di chilometri tra Europa, Asia e America. (photo by CHIPTOGRAPHY)

All’inizio di un concerto, Elwood Blues era solito salire sul palco con una valigetta in mano. Assicurata al polso da un paio di manette, conteneva al suo interno un oggetto prezioso, indispensabile per la riuscita dello show: un’armonica a bocca. All’inizio di un concerto, Fabio Bortolotti potrebbe fare lo stesso. Potrebbe salire sul palco con una valigetta, aprirla ed estrarre da essa un oggetto prezioso, indispensabile per la riuscita dello show: un Game Boy. Sì, proprio un Game Boy. Perché quella che un tempo era una semplice (e splendida) console portatile, da qualche anno è diventata anche un vero e proprio strumento musicale. I tasti che servivano per far saltare Mario, per mulinare i nunchaku di Michelangelo o per far roteare la spada di Link si sono trasformati e hanno assunto nuove funzioni, diventando una fonte inesauribile di suoni. Come è avvenuto tutto questo? Per scoprirlo abbiamo intercettato Fabio tra una data e l’altra e gli abbiamo posto qualche domanda…

Iniziamo dall’immancabile presentazione. Chi sei? Cosa fai? Cosa porti? Un fiorino?
Fabio Bortolotti, in arte Kenobit. Dopo un passato da batterista in ambiti punk e hardcore, ho iniziato a girare il mondo suonando un Game Boy. Ho suonato un po’ dappertutto, dal Giappone al Sud Africa, passando per Russia, Stati Uniti e buona parte dell’Europa. Faccio “chiptune”, anche nota come micromusic o musica a 8 bit. Quando non faccio musica, mi batto per la cultura del videogioco strimmando su Twitch.

Partiamo dalle basi. Cosa è la chiptune? Quali sono le sue origini e i suoi elementi distintivi?
L’unica definizione sensata che si può dare alla chiptune è semplicemente “musica fatta con i chip audio”, dove con chip audio intendiamo i pezzi di silicio che facevano suonare le vecchie console da gioco e gli home computer di epoca C64/Amiga/Atari ST. È un movimento che affonda le radici nella storia della pirateria informatica. L’origine del fenomeno è nelle cracktro, ossia le intro alle crack che permettevano di piratare i giochi nei primi anni ’80. Il sound nato in quelle piccole presentazioni si è poi evoluto nell’ambito della Demoscene (una scena di coder e musicisti che si sfida in gare di stile e programmazione, creando intro non interattive in real time), che l’ha preservato quando l’avvento di PlayStation e dei CD-ROM ha reso “obsolete” le sonorità a base di onde quadre delle vecchie macchine. Alla fine degli anni ’90, quando il mondo ha iniziato a riscoprire il fascino ormai vintage della musica dei videogiochi, due programmi per Game Boy nati in seno alla demoscene (Nanoloop e LSDJ) innescano la rivoluzione. La chiptune, prima un fenomeno di nicchia per geek, esce dalle camerette e sbarca nei club e nei centri sociali, esplorando territori prima riservati alla techno e alla sperimentazione. Da allora la scena chiptune è diventata un fenomeno underground mondiale, che continua a rinnovarsi e a stupire in barba alle feroci limitazioni tecniche delle macchine usate.

Come è nata la tua passione nei confronti di questo modo di fare musica?
Avevo una band punk, i Vithra. Come molti ventenni, avevamo un sacco di voglia di farci sentire e pochi soldi da spendere in studi di registrazione. Quindi abbiamo messo su un piccolo studio nella cantina del cantante, dove nel giro di un paio di mesi abbiamo registrato tutto un disco. Essendo il nerd del gruppo, ho imparato a usare sequencer e affini per gestire il lato tecnico dell’operazione. Nel farlo, ho iniziato a cogliere le finezze e le potenzialità della musica elettronica, che fino a poco tempo prima, con la classica presunzione dell’adolescenza, archiviavo come “musica tunz tunz”. Sciolta la band, ho sfogato la voglia di fare musica proprio nell’elettronica, sperimentando con alcuni rudimentali VST che replicavano il suono di un NES, la prima console Nintendo. Di lì a poco ho scoperto che potevo fare musica usando direttamente un Game Boy, ho provato e mi sono innamorato. Anche l’incontro con la community italiana della micromusic (ai tempi la chiamavamo così) è stato vitale: abituato alla piccola guerra dei poveri delle “band emergenti”, rimasi stupito dall’inclusività e dall’accoglienza. Mi hanno trattato subito come un fratello e mi hanno insegnato tutto quello che dovevo sapere per far suonare al meglio il Game Boy. Una vera e propria etica hacker, nel quale il sapere vuole essere libero.

Chiptune è un termine che definisce un’ampia tipologia di brani, ma immagino che al suo interno ci siano anche diversi sottogeneri e “correnti di pensiero”. Quali sono le principali “correnti”?
In realtà, come accennavo prima, chiptune non vuol dire quasi niente. È come se avessimo il genere “chitarratune”, musica fatta con le chitarre: includerebbe di tutto, da Guccini ai Cannibal Corpse. La chiptune, musica fatta con i chip, ha una quantità di sfumature paragonabile. C’è chi fa techno e flirta con la bass music, chi aggiunge qualche strumento “vero” e si addentra nel reame del rock, chi sperimenta con la ambient, chi fa ballare a suon di disco e funky. Alcuni strizzano l’occhio alle origini videoludiche del fenomeno, altri fanno di tutto per affrancarsene. Insomma, c’è davvero di tutto, ed è questo il bello. Quando vado a un concerto chiptune, c’è sempre un artista che riesce a sorprendermi con qualcosa di inaspettato.

Guardando un Game Boy dall’esterno, una persona “normale” vede quattro tasti, una croce direzionale e uno schermo monocromatico. Come avviene la magia? Come lo si trasforma in uno strumento musicale?
Io lavoro con LSDJ (Little Sound DJ), che in realtà è solo uno dei tanti programmi con i quali è possibile fare suonare un Game Boy. Carico la rom del programma su una cartuccia, la infilo nel Game Boy e ho il mio potentissimo studio musicale portatile. LSDJ è un tracker, ossia una particolare sequencer, con il quale è possibile programmare sequenze di note da dare in pasto al chip audio. A vederlo sembra complicatissimo, ma in realtà, nonostante i soli quattro tasti, ha un’interfaccia splendida, che rende rapido e divertente il lavoro della composizione. LSDJ dà accesso a tutti i quattro canali del Game Boy: due onde quadre, un’onda custom a 4 bit e un generatore di rumore bianco. Specifico: ogni canale è monofonico, quindi abbiamo a disposizione solo tre voci in grado di riprodurre note. È una grandissima limitazione, ma le limitazioni sono le vere muse della chiptune. Moltissimi problemi dovuti alle poche voci disponibili vengono risolti con soluzioni creative, che spesso e volentieri si rivelano più originali e interessanti.

Se dovessi consigliare a un aspirante chiptuner cosa fare per avvicinarsi al genere, che strumenti gli suggeriresti? Quali ritieni indispensabili?
Chiunque abbia un computer, anche vecchio, può avvicinarsi al mondo della chiptune. Lavorare con vero hardware e macchine d’epoca è bellissimo, ma per cominciare basta dotarsi di un emulatore di Game Boy e di una licenza di LSDJ. Spesa totale: 5 dollari. Ci sono moltissimi tutorial (tra cui uno in italiano, fatto da me qualche anno fa) ed è un ottimo modo per provare senza spendere una fortuna. Nota bene: consiglio il Game Boy perché è una macchina molto accessibile, ben documentata e ancora molto economica, ma ci sono tantissime altre piattaforme interessanti, come il NES, il C64 e l’Atari ST.

Seguendo l’evoluzione del genere da ascoltatore, mi pare di vedere uno sviluppo costante della scena chiptune italiana da qualche anno a questa parte. Che puoi dirmi a riguardo?
Sono molto fiero della scena chiptune italiana, che in questo momento reputo unica al mondo. Mentre le community chiptune americane ed europee tendono a organizzare eventi incentrati SOLO sulla chiptune, noi italiani ci siamo mescolati con tutti gli ambiti della musica underground. Suoniamo in chiusura a concerti punk e metal e bazzichiamo in tutti i giri dell’elettronica, da quella sperimentale a quella più orientata ai rave. Queste contaminazioni ci hanno permesso di fare due cose fondamentali: la prima è incorporare influenze esterne, permettendoci di innovare e di non fossilizzarci sui soliti stilemi della chip, la seconda è raggiungere un pubblico più ampio, che ama la nostra musica ma che altrimenti non l’avrebbe mai scoperta. Viviamo la chiptune come un movimento, non un genere, e così facendo siamo più o meno immuni alle mode. Un altro lato interessante della chiptune italiana è che abbiamo tante nuove leve che si sbattono per scrivere nuova musica e organizzare concerti. È il sintomo di una scena sana, destinata a durare negli anni.

Tu suoni in Italia, ma anche in tutta Europa. Come è invece la scena a livello europeo/mondiale? Differenze con l’Italia?
Ogni scena è un po’ un mondo a parte. Il Giappone, che sulla carta dovrebbe essere enorme, anche solo per il retaggio culturale della VGM, ha una scena relativamente piccola, che ogni tanto però riesce a sfociare nel mondo mainstream (Toriena, partita dagli scantinati di Tokyo, ha firmato con Universal ed è diventata una mezza Idol). Gli Stati Uniti sono stati un tassello importante dell’esplosione chiptune del 2007, con festival giganteschi come il Blip Festival di New York, ma ora hanno una scena frammentata che a mio avviso passa troppo tempo su internet e poco nei locali a organizzare concerti. Il Sud America è decisamente attivo, con uno spirito molto punk che non vedo l’ora di vivere in prima persona, mentre l’Europa è una grande rete, facilitata dai voli a basso costo e dalla grande disponibilità di spazi. La grande differenza dell’Italia, come dicevo poco fa, è la voglia di contaminazione e incontro con altri generi.

Oltre al discorso live, come può un ascoltare seguire il genere chiptune? Esistono etichette discografiche specializzate? Autoproduzioni? Pubblicazioni?
Ci sono alcune etichette di riferimento (8bitpeoples, LowToy, Bleepstreet, Ubiktune, Cheapbeats, Obole) e tantissime autoproduzioni. Come in molti movimenti underground, Bandcamp è uno dei punti di riferimento, ma molti artisti sono anche su Spotify (dove ho preparato una playlist con alcuni grandi classici, un ottimo punto di partenza). Per chi è completamente a digiuno, consiglio di partire dagli artisti della mia playlist, per poi esplorare a colpi di motore di ricerca.

Questo articolo è corredato da cinque brani (più uno) che hanno il sigillo di qualità Kenobit. Ci puoi spiegare perché li hai scelti?
Bit Shifter: “Reformat the Planet”
Un disco che spinge poco per gli standard odierni della chiptune, ma che è stato l’epicentro dell’esplosione americana della chiptune, le cui ondate hanno investito tutto il mondo, amplificando il movimento. Un classico.
sTU: “Atari Underground Chiptune Resistance”
Il mio lato preferito della chiptune, quello europeo e figlio del nostro glorioso underground. Un Atari ST che suona come una bomba a mano.
Chipzel: “Courtesy”
La colonna sonora di Super Hexagon è diventata un classico all’istante, e non a caso. Chipzel ha un senso del rimbalzo fuori scala e trasforma il Game Boy in uno strumento totale da club.
Sabrepulse: “Gare de Europe”
Altro pezzo dei primi anni della chiptune, quindi un po’ poco potente a livello sonoro rispetto agli standard attuali, ma che secondo me incarna tutto il meglio del Game Boy.
Dubmood: “Rez Cracktro 4”
Un pezzo per capire l’origine pirata della chiptune, che rispetta tutti gli stilemi del chiptune del primo pelo.
Bonus track
Kenobit Live – South of Heaven (Slayer)/At Dooms Gate (E1M1)

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