Franchino Er Criminale non è stato una cometa | Rolling Stone Italia
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Franchino Er Criminale non è stato una cometa

Il personaggio di Alessandro Bologna non è (mai stato) un content creator come gli altri. Lo dimostra il suo ultimo libro, 'Questo odio non è solo mio', che dispensa qualche nozione di politica (del cibo)

Franchino Er Criminale

Alessandro Bologna alias Franchino Er Criminale

Foto: Instagram

Alessandro Bologna, alias Franchino Er Criminale, porta evidentemente sulle sue spalle (siamo serissimi) un percorso esistenziale complesso e ricco fatto di una lotta e di una nevrosi che non si esauriscono nei minuti di un video sulle pizzette o sul cibo della tradizione (per i quali comunque esprime competenze non banali e non improvvisate). E così, dopo un primo libro dedicato alla cucina romana, Me so’ magnato Roma (Momo edizioni), di cui Zerocalcare ha preteso dedica, ecco che sempre sotto le spoglie di Franchino esce in libreria Questo odio non è solo mio (Momo edizioni) in cui Bologna prova a raccontare un po’ come tutto è nato a partire dalla propria storia e perché il cibo alla fine è solo uno strumento per accedere a un pubblico ampio e per facilitare un ritorno al confronto e alla condivisione. Franchino è una maschera, ma anche una possibilità preziosa per evitare cadute retoriche o esaltazioni che non di rado colpiscono chi si trova in qualche modo a essere una sorta di capo tribù, e in questo caso la tribù è composta da più di mezzo milione di iscritti su YouTube e oltre trecentomila follower su Instagram.

Questo odio non è solo mio

Foto: press

Questo odio non è solo mio è sia un’autobiografia che un manifesto politico, un tentativo di ricostruzione di un discorso attraverso la messa a nudo di un personaggio che può non apparire credibile solo a chi non frequenta la contemporaneità e le sue regole. E che grazie a questa realness conduce gli adepti del culto al miglior forno vicino a casa, condividendo anche qualche nozione base di messa in discussione dello status quo.

Alessandro Bologna non è un intellettuale (anche perché oggi non esistono più intellettuali), ma il suo lavoro ha, rispetto alla nostra contemporaneità, il peso e la qualità del discorso prodotto dopo la fine della guerra da Mario Soldati con Viaggio nella valle del Po, ovvero il cibo come strumento di relazione attraverso cui costruire canali comuni di emancipazione. Così come non è distante dallo stile – nella pratica politica quantomeno – di Luigi Veronelli, che era un gastronomo, un giornalista, un filosofo, ma prima di tutto un anarchico. Un po’ Zerocalcare, un po’ Peppe er Pantera, Franchino er Criminale vive a suo agio nella borgata – pur essendo Bologna di San Giovanni – non in quanto luogo di partenza, ma elemento distintivo di un’identità che non ha bisogno di negazioni, bensì di rivendicazioni.

 

 
 
 
 
 
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La grande intuizione di Bologna è stata quella di tarare il personaggio di Franchino sul cibo, mantenendogli sempre una cornice politica. Un movimento che evita ogni caduta populista ma non tradisce un disagio diffuso, una depressione esistenziale che attraversa inevitabilmente gli strati più popolari della società. Evita così ogni lamentazione patetica, lavorando su un tema che è strettamente legato al piacere e al desiderio. La pizzetta rossa della tradizione romana diviene l’occasione per recuperare un piacere antico, che sale dall’infanzia e che come tutte le cose migliori dell’infanzia può salvare letteralmente una vita. Ed è questo percorso che Franchino offre ai suoi spettatori/follower: una semplicità che contiene il recupero di una memoria condivisa che non può che migliorare la vita di chiunque. Un modo per ritrovare se stessi.

Ed è qui che Bologna alias Franchino Er Criminale lascia una traccia nella cultura italiana di oggi, riportando la politica là dove la politica non solo non sa stare, ma non è nemmeno più prevista. Un tentativo che porta con sé un bagaglio culturale ben preciso, quello che s’impose sulla scena alternativa tra anni Novanta e i primi anni Duemila. Un movimento culturale che per suoi limiti e fragilità – e perché visse in un mercato che s’illudeva di governare l’accelerazionismo liberista di quegli anni – non ebbe la forza d’imporsi criticamente. E che Franchino ora riesce, nel suo libro, a ricollocare, offrendo ai lettori uno spazio nuovo di comprensione di un movimento e di un pensiero liquidato troppo in fretta (ennesimo figlioccio dell’imprescindibile Retromania di Simon Reynolds).

 

 
 
 
 
 
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Il suo è un linguaggio crudo e diretto, facilmente polemico e sicuramente di carattere popolare. Il personaggio di Franchino e quindi lo stesso Bologna sono inoltre poco inclini a sedurre o a blandire il proprio pubblico, che anzi viene stimolato a riflettere e a ragionare sul cibo e sul suo consumo prima ancora che sulla necessità di iscriversi al canale e mettere like. Franchino offre uno spazio di riflessione senza mai salire in cattedra, ma evidenziando quanto sia importante nelle nostre vite (paradossalmente) un’alimentazione corretta; come anche la ricerca di un piacere che sia genuino e frutto di un desiderio proprio e non sottomesso alle mode del momento, che vivono più di marketing che di vera qualità.

«Non seguitemi più» è uno dei suoi refrain, rivolto a chi, «non sa magnà». Un atteggiamento ben diverso da chi cerca ossessivamente consenso e follower e vive in maniera cinica un ruolo che inevitabilmente dovrebbe portare ad avere un’assunzione di responsabilità.

 

 
 
 
 
 
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Tutto ciò non fa che definire un canone che vede il personaggio affondare le proprie radici nel buon senso popolare e in una Roma di borgata (il Tufello) che vive un po’ tra Jeeg Robot e Febbre da cavallo. Ma forse la più grande intuizione di Bologna è stata quella di trasferire un disagio popolare da una forma di lamento continuo a una forma di piacere. E nulla è più espressione di piacere del cibo.

La prefazione a Questo odio non è solo mio è di Lucci Brokenspeakers (che diede vita a una delle più rilevanti esperienze hip hop italiane), e traccia un po’ i confini di un’esperienza che sta tutta nelle cose fatte e da fare. Una riscoperta delle dignità, di questo fare, che non si pone confini tra arte e lavoro, ma solo il desiderio di una liberazione interiore che possa divenire pubblica nel suo senso più ampio. Quello che ricerca Franchino non sono dunque i follower e nemmeno una comunità digitale di persone selezionate da un algoritmo per gusto, stile e visione. Ma il caos liberatorio (e libertario) di un popolo dentro al quale ogni testa si distingue, ma in cui al tempo stesso la convivenza è dettata da rispetto e inclusione e da un’antifascismo non di maniera, ma sostanziale e solidale. Questo odio non è solo mio è il racconto semplice di una vita, ma è anche il sussulto di una possibilità che sbuca in maniera imprevista denunciando un disagio. Ma anche una vitalità da non disperdere.

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