Rolling Stone Italia

Fantozzi siamo (ancora) noi

"Fantozzi!!! Una mostra pazzesca", al Grand Tour di Bologna fino al 29 maro 2026, ci dice che siamo ancora dentro la 'Corazzata Potëmkin'. E che i tempi del lavoro, ahinoi, non sono cambiati

Foto: Rino Petrosino/Mondadori via Getty Images

Immaginatevelo oggi, il ragionier Ugo Fantozzi. Non più chino sulla Olivetti Lettera 22, ma alle prese con l’home banking che va in crash al momento del bonifico, o con il gestionale aziendale che non riconosce la sua password (dopo che ha provato trenta combinazioni diverse di maiuscole e minuscole). Fantozzi sarebbe il dipendente medio di un colosso del digitale, intrappolato tra riunioni su Teams che si bloccano a metà frase, meme motivazionali sul gruppo WhatsApp aziendale e l’eterna ansia del “deadline anticipata” notificata alle 23.59 di un venerdì. Lo vedremmo inciampare nel cavo del caricabatterie e lottare con lo smart working che di “smart” ha solo il nome. Un Fantozzi 4.0, quindi, perfettamente aggiornato al lessico del presente, con LinkedIn aggiornato a metà e Instagram popolato da foto mosse delle ferie passate in un B&B “vista parcheggio” prenotato last minute.

Eppure, al netto delle tecnologie, Fantozzi resta quello di sempre: l’uomo medio che si scontra con la macchina – non più la burocrazia ministeriale o la Corazzata Potëmkin vista come punizione corporativa, ma l’algoritmo, l’Intelligenza Artificiale, l’HR che ti chiama “talento” mentre ti manda l’ennesimo modulo da compilare online. E allora, viene da chiedersi: oggi, la “Corazzata Potëmkin” cosa sarebbe? Forse una maratona aziendale di coaching motivazionale con slide infinite, o un corso obbligatorio di mindfulness su Zoom. In fondo, la definizione di “una cagata pazzesca” si aggiorna di generazione in generazione senza mai perdere smalto.

Il manifesto originale del film ‘Fantozzi’ (1975), Collezione Guido Andrea Pautasso. Foto: press

La EARTH Foundation ha deciso di dedicare all’amatissimo Ugo una mostra tutta sua: “Fantozzi!!! Una mostra pazzesca” (16 ottobre 2025 – 29 marzo 2026), un progetto che mette in scena negli spazi di Grand Tour Italia di Bologna non solo un personaggio ma un mito popolare, l’ultima grande maschera della commedia italiana dopo Totò. Curata da Luca Bochicchio, docente di Storia dell’arte contemporanea all’Università di Verona, e da Guido Andrea Pautasso, studioso delle avanguardie del ’900 e collezionista, l’esposizione ricostruisce la genealogia del ragioniere più sfortunato (e più amato) d’Italia, nato dalla penna di Paolo Villaggio nel 1971 e approdato, dal 1975 in poi, in undici film che hanno scolpito il nostro immaginario collettivo.

Il percorso espositivo si muove tra documenti, libri, locandine, manifesti cinematografici, fotobuste e riviste, fino a toccare oggetti-feticcio come dischi, audiocassette, fumetti e brochure d’epoca. Un vero tuffo in quell’Italia che si specchiava nel Fantozzi cinematografico: la nazione delle partite in bianco e nero, dei ragionieri compressi in giacche di finta lana, degli uffici ministeriali più grotteschi che realistici. E poi, inevitabile, il momento della “Corazzata Potëmkin” di Ėjzenštejn, proiettata in mostra come reliquia e insieme provocazione, a ricordarci quanto Villaggio sia riuscito a trasformare un classico del cinema d’avanguardia in barzelletta collettiva, dimostrando che l’ironia può demolire qualsiasi totem culturale.

‘La ballata di Fantozzi’, colonna sonora, 45 giri EMI (1975), parole di Paolo Villaggio. Collezione Guido Andrea Pautasso. Foto: press

Ma se l’Italia anni Settanta era quella delle scrivanie grigie e delle partite a scopone, il Fantozzi di oggi continua a parlarci, paradossalmente, con la stessa forza. Nelle stanze della mostra, oltre alle carte e ai memorabilia, affiora il ritratto di un personaggio che, senza saperlo, anticipava i tempi: l’ansia da performance, la precarietà travestita da posto fisso, la distanza siderale tra la retorica aziendale e la realtà quotidiana. Per questo Fantozzi continua a essere una maschera attuale: perché nessuno come lui ha saputo incarnare la goffaggine, la paura di non essere all’altezza, la sensazione perenne di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

La mostra è anche occasione per riflettere su Villaggio scrittore e inventore di un linguaggio: quel lessico surreale fatto di capi “megadirettori galattici”, di tragedie quotidiane trasformate in epopee grottesche, di frasi che sono entrate a pieno titolo nel dizionario nazionale. Lo spettatore, passeggiando tra locandine e fotografie, scoprirà quanto Fantozzi sia stato, a modo suo, un autore collettivo: interpretato da Villaggio, ma riscritto dal pubblico a ogni citazione, a ogni risata, a ogni battuta ripetuta come un mantra nei corridoi degli uffici.

Paolo Villaggio legge in anteprima alcune pagine di ‘Fantozzi’ al Cabaret Derby Club, Milano 28 settembre 1971. Collezione Guido Andrea Pautasso. Foto: press

La rassegna, accompagnata dal volume Fantozzi!!! Un mito italiano edito da Edizioni E.ART.H, con saggi di critici e studiosi, si arricchisce anche di incontri, presentazioni e attività didattiche. Insomma, non una semplice mostra celebrativa, ma un laboratorio di riflessione collettiva su come l’arte, il cinema e la cultura pop abbiano reso immortale un personaggio che, a ben vedere, non voleva esserlo. Perché Fantozzi, in fondo, è stato un sismografo involontario capace di registrare lo spirito del tempo, dalle gerarchie d’ufficio al mito del benessere, dalla televisione al consumismo, fino alle nevrosi di massa.

In definitiva, la mostra di Bologna non è un’operazione nostalgica, ma una lente contemporanea che ci ricorda come Fantozzi non sia un lontano ricordo, ma un piccolo termometro della nostra vita lavorativa. Se oggi sbuffasse davanti a un software che decide al posto suo o a una mail infinita, rideremmo, sì, ma con un filo di malinconia. Perché in fondo, in un mondo di open space e algoritmi impersonali, ognuno di noi porta dentro quell’impermeabile stazzonato e quella voglia di scappare alla prima occasione. Non è dunque nostalgia, ma stringente attualità: Fantozzi siamo noi, solo con la connessione Wi-Fi.

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