Essere “foodie” è finalmente diventato un meme | Rolling Stone Italia
il trono di forchette

Essere “foodie” è finalmente diventato un meme

Ce lo ha fatto capire il nuovo programma di cucina condotto da Joe Bastianich, 'Foodish'. E una costoletta alla milanese servita in un'ora, suppergiù

Classico costoletta Milano

La costoletta alla milanese di Classico

Foto: press

Foodish, il nuovo programma di Joe Bastianich a tema cibo, non l’ho ben capito. Due mesi di trasmissioni e 31 puntate, per ora, andate in onda da aprile a giugno. Il formato risulterà familiare: quattro ristoranti si sfidano per aggiudicarsi un premio in denaro e tanta bella soddisfazione gastronomica (e qualche follower in più sui social). Il giudice è proprio Bastianich, accompagnato a ogni puntata da un “esperto” diverso, leggasi, personalità pubblica che per svariate ragioni biografiche dovrebbe avere contezza superiore alla media della specialità in questione. Perché Foodish funziona come quelle ricerche basate sulla SEO in internet: “dove mangio i migliori tortellini di Bologna?”. Oppure: “migliori orecchiette di Bari?”.

È quello d’altronde, o almeno il volgo ha deciso così, lo spirito del foodie: creatura mitologica della cultura pop, dacché tutti e nessuno possono esserlo. Lo è mio padre quando si informa con il contadino al mercato su quali zucchine siano meno amare, mia nonna quando fa bollire sette ore il ragù, il mio amico che non ha alcuna contezza della crema pasticcera quando fa “mh, mh”, leccando un cucchiaino di dessert in un ristorante arredato con gusto. Foodie è chi compra i prodotti a marchio Slow Food. Chi regala cene in ristoranti stellati Michelin per gli anniversari alla dolce metà. Chi “dovrebbe proprio aprire un ristorante” visto che fa il risotto così bene (ma ce lo mette poi l’acido?).

Insomma, forse si è capito che chi scrive non ha particolare simpatia per la galassia cotta e frullata dei foodie, e perciò pure con gli accolade della loro natura, linguistici in primis. Sempre ai foodie è rivolto anche il lavoro autoriale del programma condotto da Bastianich, che punta a comporre una galassia di concorrenti tra il trendy e il pop, e non per niente il premio e la menzione sono assegnati al piatto più “foodish” di ogni categoria, non a quello che sarebbe definito “il migliore”. Red flag?

Di sicuro è almeno una presa di distanza e in un certo modo di identità, dato che esiste già un programma, e ben più stabilito, con quattro ristoranti che si sfidano per il Trono di Forchette. Forse per seppellire l’ascia di guerra o forse per caso, il primo episodio della stagione è stato dedicato alla Cacio e Pepe più foodish di Milano, giudice speciale insieme a Bastianich: Alessandro Borghese.

Mica un passaggio di testimone, dunque, dato che Quattro ristoranti non pare aver mai goduto di salute migliore, così come il brand del suo patron, fresco di entrata nella Guida Michelin grazie al Lusso della semplicità con sede a Venezia. La staffetta, invece, è quella messa in atto dai meccanismi della competizione di Foodish, che vedono regnare il migliore fino a prova contraria. Sarà chi resterà in piedi – cioè, seduto insieme a Bastianich e all’ospite di turno – il vincitore.

Gli altri ingredienti non mancano: burro che sfrigola a volumi ben equalizzati, riprese porno per provocare un’acquolina involontaria e quasi trattenuta sulle labbra, pure il driver simpatico e scafato (Vittorio!). Bastianich dal canto suo si dimostra impresario di ristorazione e di se stesso ottimamente riuscito – e con grande attenzione al guardaroba, dato che si presenta con un cappello diverso a ogni disfida. La buona figura di master of ceremonies se la porta a casa, soprattutto quando tocca a hot dog, hamburger e compagnia country-cantante. Lì torna a buttare le cose, e improvvisamente non mi interessa più che secondo me la mayo sull’hotdog, alla fine, ci stia pure bene… Se Joe Bastianich dice no, ecco, lì per me diventa no.

 

 
 
 
 
 
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Vabbè, ma quindi: che cosa ci troveremo davanti, accendendo una puntata di Foodish? La montanara più foodish di Napoli con-giudicata da Aurora Leone, il risotto a Milano con Rocco Tanica (milanesissimo, lo ricordiamo), l’hamburger a Roma con Frank Matano, gli uramaki a Milano con Giulia Salemi, i tortellini a Bologna con Roberta Capua, le orecchiette a Bari con Vladimir Luxuria; e ancora i tacos a Milano con Edoardo Franco, la carbonara a Roma con Bianca Guaccero, la coda alla vaccinara a Roma con Vera Gemma. Ci può star bene come no, che siano i VIP e non gli addetti ai lavori, nella stragrande maggioranza dei casi, a giudicare la produzione di una cucina. Come ci può star bene o no che il giornalismo gastronomico in Italia sia stato impostato dai cronisti, sportivi soprattutto, che se ne andavano in giro a fare il proprio mestiere e poi si fermavano a gozzovigliare. Lo spunto low key nazionalpopolare, in realtà, può essere un’intuizione vincente.

Quelle che traballano di più sono le selezioni dei concorrenti, impari da puntata a puntata. Si può davvero decretare equanimamente una vincitrice tra le lasagne bolognesi di Vicolo Colombina, l’Antica Osteria Le Mura, Darcy e Lasaway, senza prendere in considerazione gli indirizzi storici della città (peraltro, benamati dai foodie)? Vale lo stesso discorso per la genovese a Napoli, con sfidanti quali Baoh, Panariè, Cibi Cotti Nonna Anna e Antica Pizzeria Chiaia? E se vince Baoh con un bar ripieno di genovese, è migliore di quella di Sasà Giuliano, alla guida di Mimì alla Ferrovia, che la genovese nel bao la mette, mi pare, da più tempo?

Insomma, è un paludaio, e qualche foodie (quindi non io) si dovrebbe incazzare. Ma prendiamo pure il caso, e facciamo che volessi andare a mangiare una costoletta alla milanese, per pranzo, facendomi consigliare da Foodish, in un qualunque giorno della settimana. Gli indirizzi della sfida, che arriva alla terza puntata della stagione, sono: L’Altro Luca e Andrea, Ristorante Le Meraviglie, Anche, e Trattoria Classico.

 

 
 
 
 
 
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La staffetta è stata al cardiopalma, il giudice: Germano Lanzoni de Il Milanese Imbruttito (ci sta? ci sta). Il primo a scendere in campo è stato L’Altro Luca e Andrea, storico indirizzo sui Navigli. Pure la ricetta è storica nel senso di classicissima. Costoletta (quindi con l’osso) di vitello, panatura senza fronzoli (e che all’assaggio si è un po’ staccata dalla carne, mannaggia), battuta fine ma non finissima. Funziona? Funziona.

Il trono infatti non viene scalzato fino all’ultimo giro. In mezzo passeggiano senza molto ferire la cotoletta “sbagliata” di Anche, fatta con carne di maiale e non di vitello – un po’ pallidina – e quella del Ristorante Le Meraviglie, battuta doppia quindi allargata all’inverosimile, con due ossa, a entrambe le estremità, e fritta nell’olio e non nel burro. Palliduccia pure questa, forse sono io. Poi, passata in forno con i suoi contorni, che le vengono serviti on top quindi proprio messi sopra.

 

 
 
 
 
 
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Finché non arriva Trattoria Classico. La cucina è seguita da Massimiliano Ciocchetti, la costoletta rimane con l’osso ma non battuta. In più viene aggiunto del panko (panatura giapponese in fiocchi, usata solitamente per la tempura) alla panatura, e la frittura avviene con una piccola percentuale di burro di cacao. È la cosiddetta “partita alta”, tutto-tutto niente-niente. Ce la fa, Ciocchetti, si porta a casa la vittoria. La cottura esce rosa nonostante l’altezza della carne, la panatura rimane attaccata, è croccante e colorata. Io sono una classicista e mi è spiaciuto veder battuto L’Altro Luca e Andrea all’ultimo giro, ma tant’è. Perciò dove dovrebbe andare a pranzo il foodie in giro per Milano, voglioso di costoletta?

 

 
 
 
 
 
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Eccomi seduta da Classico, siamo in due. Con noi, tre o quattro tavoli massimo. Fa caldo e ci piazziamo nel dehors, rifiutando per qualche motivo l’aria condizionata. La veranda sul retro del locale ha un po’ di ragnatele. Ordiniamo due costolette. Aspettiamo. Aspettiamo. Passa un’ora o circa. Ma non era mica una pausa pranzo? Eccole che giungono: l’aspetto è proprio quello di Foodish. La costoletta viene servita con due salse di accompagnamento, non particolarmente intense ma in quantità fin troppo generose per la dimensione della portata. Sopra i mucchietti, quella patina che ti fa subito pensare che siano state messe sul piatto un po’ troppo presto rispetto ai tempi della carne. Sarà il taglio a decretare tutto: ahinoi, è sbollicchiata. La sua più della mia (fiù). E la crosta viene pure un po’ via.

Ce ne andiamo presi male e senza più voglia di guardare un’ulteriore puntata di Foodish. La cui intuizione però, a pensarci, potrebbe essere un’altra, di secondo livello, più raffinata: i foodie, questi strani ossessionati dal cibo per l’hype, sono sempre stati un meme. Ci abbiamo solo messo un po’ ad accorgercene. E allora vorrei sapere l’opinione di un foodie, trovandosi davanti una costoletta mal cotta: la divorerebbe con gusto, o gli salirebbe un certo pizzicorio sulla punta della lingua? Secondo la promozione del programma, “foodish” è quel piatto che ti fa svoltare il giorno, la settimana, l’anno. Scorrendo tra i vincitori, Darcy a Bologna è effettivamente un ottimo indirizzo, come lo è Manna a Milano con il suo risotto vincitore di categoria. Forse la verità è questa: non tutti i foodish escono col buco.