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Dacia Maraini: «Pasolini era uno stakanovista con una creatività infinita»

A cent'anni dalla nascita di Pasolini abbiamo intervistato Dacia Maraini, sua amica di antica data, da pochi giorni in libreria con 'Caro Pier Paolo', dedicato alla memoria dell'autore di 'Petrolio'

Pier Paolo Pasolini. Foto via IPA Agency

Cent’anni e non sentirli. Sono quelli di Pier Paolo Pasolini: c’è chi ancora lo tira per il braccio e lo insulta, chi lo denigra e chi se lo porta in trionfo, quasi fosse un trofeo. Pensieroso, serio, protetto dentro sé stesso, delicato nella voce e veemente nelle idee e carico di una tenerezza che si riserva solo alle anime prescelte, Pasolini negli occhi e nell’anima di chi li ha vissuto è stato solo luce. Come negli occhi, nei pensieri e nei sogni di Dacia Maraini, scrittrice e sua amica di antica data. Edito da Neri Pozza, Caro Pier Paolo non è una semplice raccolta di lettere: ci sono i ricordi che Dacia Maraini ripete con una dolcezza, una cura e un istinto materno, come se Pasolini fosse ancora vivo.

E ancora di più, Caro Pier Paolo racconta l’intimità del sorriso di Pasolini come se riprendesse il verso di Cosa sono le nuvole di Modugno: «finché sorriderò tu non sarai perduta». E non è perduta Dacia Maraini in queste pagine, anzi, la memoria si riprende i volti di Moravia che attende Pasolini per i pasti, delle letture appassionate di Ungaretti, di Montale, della pura ingenuità e freschezza di Ninetto Davoli, dell’amore fragile per Maria Callas, della figura della donna che, nella poetica dell’autore di Petrolio, non si allontana mai da quella di sua madre. E poi ci sono l’Africa e i viaggi, perché in fondo i sogni sono dei viaggi che si compiono dentro noi stessi; e Caro Pier Paolo è proprio questo, un cammino continuo. Basta guardare la foto di copertina: Pier Paolo mette in mostre un sorriso all’ingiù, una camicia azzurrina e i suoi soliti occhiali scuri. Dietro di lui, Dacia Maraini che delicatamente, quasi poggiata con il mento sulla sua spalla, gli fa ombra, come se lo volesse proteggere.

Tutto parte dai sogni, che sono sempre un’esperienza liberatoria ma anche dolorosa a tratti. Perché ha scelto questa dinamica per ricordare Pasolini?
I sogni non li evochiamo. Vengono da soli e ce li troviamo all’improvviso davanti, come una sorpresa inaspettata. Il libro è partito da un sogno in cui Pier Paolo tornava vivo e voleva riprendere a fare film.

Che cosa voleva significare “ingoiare il tempo” per Pasolini ?
Una grande capacità di guardare e vedere. Non tutti sanno vedere. Guardano ma non vedono.

Questo buio rassicurante di cui lei scrive, nel quale si rifugiava Pasolini, è come se ritornasse sempre al ventre materno: che cos’è, da quale luce lo proteggeva?
Non penso che il ventre materno rappresentasse per Pier Paolo il buio e la morte. Al contrario, il ventre che rimpiangeva era il paradiso, un luogo di luce e di vita, di sicurezza e di tenerezza. La luce dentro il ventre materno è interna allo sguardo, perché le pupille sono ancora coperte, ma è un errore pensare al caldo e gioioso rifugio come un luogo di morte.

Dalle lettere che scrive a Pasolini viene fuori un uomo pieno di passione e fervore intellettuale, che non aveva paura di niente, nemmeno della morte, e che però si era lasciato divorare dai sensi di colpa. La società che lo celebra oggi è la stessa che gli ha puntato il dito contro e lo ha ricoperto di ingiurie e insulti per la sua vita privata?
Non so se sia la stessa. Di certo Pasolini è stato denigrato e perseguitato per la sua omosessualità da quando era ragazzo. Da lì sono nate le sue scissioni, i suoi sensi di colpa.

Di Pasolini si ricorda in primis di come è stato ucciso, come se la morte avesse prevalso sulla sua vita e sul suo essere scrittore e intellettuale…
È una morte avvolta nel mistero e per questo se ne parla ancora. Io mi sono occupata della sua morte, ma non ho mai smesso di leggere i suoi scritti e vedere i suoi film.

La tenerezza di Pasolini è qui presente come se ci mostrasse una foto di un bambino, pura, vera, senza essere intaccata dalla brutture della società conformista e capitalista. È una tenerezza che però lui mantiene anche da adulto. Come mai ha voluto sottolineare questo suo aspetto?
Pasolini nel privato, con gli amici e le persone a cui voleva bene, era gentile, mite e tenero. Io ho conosciuto e praticato soprattutto quel Pasolini e l’ho voluto raccontare.

La borghesia che Pasolini combatteva con tutte le sue armi attraverso il linguaggio, il cinema e la sua arte, oggi con chi l’avrebbe identificata ?
La borghesia non era una classe per lui, ma un modo di stare al mondo, una mentalità, un atteggiamento. Che lui identificava con la falsità, l’egoismo, l’inautenticità e la perdita della sacralità.

Cosa intende quando parla della sua «ferrea disciplina creativa»?
Intendo che sul lavoro era uno stakanovista. Non si risparmiava e aveva una energia creativa inesauribile.

A un certo punto lei parla dell’angoscia di Pasolini contrapposta a quella che Moravia identificava come “noia”. Eppure tra noia e angoscia sembrerebbe esserci un abisso…
La noia è un sentimento esistenziale. Una specie di nausea della vita quando la si scopre difficile a angosciosa. In questo senso angoscia e noia si assomigliano.

Silenzioso, poco incline al sorriso, pensieroso, dalle sue lettere viene fuori un Pasolini che si lascia divorare dai pensieri.
No, credo che Pasolini fosse di carattere timido, introverso e malinconico. Ma come tutti i timidi aveva momenti di grande espansività.

A Roma, per il suo centenario, ci sono cartelloni pubblicitari che svettano sui palazzi. Si illuminano e, a primo impatto, sembrano quasi la pubblicità di un prodotto di mercato tra i tanti, come se Pasolini fosse diventato una Coca Cola qualunque. Non è un po’ un controsenso?
Non l’ho visto. Non so di che si tratti. Pasolini si direbbe che colpisca ancora oggi l’immaginazione popolare. Ma solo chi non conosce i suoi scritti tende a farne un santino o una caricatura. Le persone sono complicate e bisogna cercare di capirle.

Dalle sue lettere viene fuori che Pasolini avesse il terrore di invecchiare…
Tutti abbiamo paura di invecchiare. Perché sappiamo che perderemo la nostra autonomia, le nostre energie, e questo ci spaventa. Mi sembra normale che temesse la vecchiaia.

Nel libro c’è sempre una costante che non viene mai pronunciata davvero, però si respira: l’amore. Pasolini ha amato tanto anche i suoi amici, da lei a Moravia, dalla Callas a Ninetto Davoli . Sembrava un uomo desideroso di amare in ogni possibile forma: perché, secondo lei?
Tutti abbiamo bisogno di amore. Senza amore ci si pietrifica. E lui, come tutte le persone sensibili, era affamato d’amore. Ma il grande amore della sua vita era la madre, per questo non riusciva ad amare completamente e felicemente nessun altro. Anche se poi si innamorava, ma platonicamente, di donne che stimava.

Perché è sempre drammatico Pasolini, anche e sopratutto nei legami affettivi? Cosa c’era nel dramma che lo attirava tanto?
Non era lui che attirava il dramma ma il dramma che attirava lui. La prigionia del padre, la morte del fratello, la cacciata dalla scuola, la cacciata dal partito, sono state vere e proprie tragedie.

Nell’ultima lettera lei dice «Addio, Pier Paolo, e che la morte ti sia più benigna della vita». È solo un modo di terminare il libro o anche lei, in un qualche modo, si sta congedando da questo ricordo che è si meraviglioso ma che, al contempo, è ancora carico di sofferenza ? 
I sogni ricreano la vita, ma è una vita vaporosa e fluida, che non si fa mai corpo. Admeto riesce a entrare nel regno dei morti, prendere per mano Alcesti e portarla verso la vita. Ma sull’orlo della luce, la perde. La bellissima tragedia di Euripide fa capire quanto sia difficile, tenero ma doloroso il rapporto coi morti.

Se lei, Moravia e Pasolini foste ancora in quella magnifica casa che dà sul mare a Sabaudia, quale sarebbe l’argomento dominante delle vostre conversazioni?
Non lo so. Penso che sicuramente parleremmo di questa orribile guerra che sta distruggendo una città e costringendo della povera gente a scappar dalle proprie case. Credo che l’indignazione prenderebbe tutti e tre con sgomento e ci chiederemmo cosa possiamo fare.

Se un giovane ventenne di oggi le chiedesse: «Signora Maraini, chi era davvero Pasolini?», cosa risponderebbe ?
Un poeta prima di tutto. Un uomo generoso e sincero che ha sempre detto la verità ed è stato massacrato per questo motivo.

Si ricorda una canzone che canticchiava Pasolini?
Era cresciuto con la musica classica . Semmai gli veniva di cantare Mozart: «Giovinotti leggeri di testa/non andate girando qua e la…/ Poco dura de matti la festa/ma per me cominciato non ha».

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