Cristiano Godano: vado a votare alle elezioni europee perché non voglio vivere in una democrazia illiberale | Rolling Stone Italia
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Cristiano Godano: vado a votare alle elezioni europee perché non voglio vivere in una democrazia illiberale

Resistere alla tentazione dell’astensionismo, che non ha mai portato a nulla, e andare alle urne per migliorare l’Europa, arginare ultradestra e populisti, respingere l’attacco a diritti e libertà fondamentali. Vi sembra poco?

Cristiano Godano: vado a votare alle elezioni europee perché non voglio vivere in una democrazia illiberale

Cristiano Godano

Foto: Antonio Viscido

L’articolo che state per leggere origina da un sentimento di timore, che sto condividendo con molti italiani e con molti osservatori. Penso di poter mettere in conto qualche probabilità, poche, che sia eccessivo nonostante tutto in merito alle nostre vicende italiane, e a metà più o meno farò un più che veloce paragone con i nostri anni di piombo. Sarei estremamente felice che i fatti nel corso del tempo smentissero questo timore, e dunque sarei estremamente felice di aver esagerato nel buttare giù queste righe. Nei confronti invece del destino dell’Europa (e nostro) non vedo nessun eccesso: l’ultradestra è dietro l’angolo. Tutti i sondaggi europei lo dicono. L’argomento è complesso: inevitabile andare lunghi come mio solito.
Buona lettura.

Sabato primo di giugno ero ospite di un festival di nome Borghilenti, nel comune di Castelnuovo Bocca D’Adda: iniziativa virtuosa e lodevole di un comune del lodigiano, con tema il cambiamento climatico, che sta debordando dai confini dell’urgenza per entrare con una certa velocità in quelli del dramma ormai avviato e difficilmente contenibile (un saluto ai negazionisti, agli ignavi e ai complottisti: sento il vostro borbottio). Ero chiamato a suddividere in due il mio intervento: una prima parte fatta di dibattito con un capace e preparato interlocutore (Duccio Facchini, il direttore della bella rivista Altreconomia, che raccomando), una seconda parte fatta di miei/nostri pezzi in solitaria (La canzone che scrivo per te, Sei sempre qui con me, Com’è possibile, Osja amore mio, Lieve, Musa, Nuotando nell’aria).

Nella prima parte a un certo punto una domanda era più o meno: «Cosa pensi si possa fare per affrontare questo grave problema?» (è una sintesi estrema di una domanda posta in modo molto più articolato). Per allestire la mia risposta mi sono ricordato, fra le cose da dire, di quel che avevo letto pochi giorni addietro a firma Jonathan Franzen, scrittore fra i migliori viventi, americano, che da anni si spende per il tema. Consiglio la lettura dell’estratto dal suo libro E se smettessimo di fingere? che potete trovare qua. Estraggo il passaggio che poi mi ha ispirato per assemblare una parte della mia risposta a Duccio Facchini. Eccolo: “Una guerra senza quartiere contro il cambiamento climatico aveva senso solo finché era possibile vincerla. Nel momento in cui accettiamo di averla persa, altri tipi di azione assumono maggiore significato. Prepararsi per gli incendi, le inondazioni e l’afflusso di profughi è un esempio pertinente. Ma la catastrofe che incombe rende più urgente quasi ogni azione di miglioramento del mondo. In tempi di caos crescente, la gente cerca protezione nel tribalismo e nell’uso delle armi, invece che nello stato di diritto, e la nostra migliore difesa contro questo tipo di distopia è mantenere democrazie funzionanti, sistemi giuridici funzionanti, comunità funzionanti. Sotto questo aspetto, ogni movimento verso una società più giusta e civile può essere considerato un’azione significativa per il clima. Chiudere le macchine dell’odio sui social network è un’azione per il clima”.

Trovo che sia un bellissimo concetto quello di fare delle azioni meritevoli per rallentare il degrado del mondo, in funzione, anche, di rallentamento del processo in corso del riscaldamento climatico (chi non è sottoposto in modo radicale all’incantamento manipolatorio di cui siamo tutti vittime – grazie internet – sa riconoscere con giusta preoccupazione quello che ci sta succedendo su più fronti). Esibendo dunque la mia risposta ho parlato a mia volta di varie azioni utili possibili, e fra esse ho messo una piccola aggiunta al concetto di “mantenere democrazie funzionanti”. Una semplice specificazione del tipo «mantenere le democrazie funzionanti, e stare attenti e in guardia dai fascismi e dai populismi diffusi nel mondo».

Il pubblico che avevo di fronte a me era già stato tramortito dalla secchezza del mio pessimismo in rapporto all’urgenza-dramma del clima (io non desidero tramortire nessuno, semplicemente non amo contarmi palle consolatorie se so che sono nient’altro che palle), ma fino a lì mi aveva seguito con facce accese da una luce di partecipazione e preoccupato stupore (in genere a quello stupore resto stupito io stesso, di rimando, perché davvero non capisco come si possa ancora non essere consapevoli che a causa del riscaldamento climatico stiamo andando a sbattere). Le parole “fascismi” e “populismi”, però, hanno impresso un cambio che ho percepito reale: la luce si è spenta, e il silenzio si è fatto greve. Non era un silenzio di dolore e compartecipazione, era un silenzio di timore. Non è per nulla bello, se non si è per costituzione dei trascinatori di popoli dai pulpiti delle oratorie, sapere che l’uso di certe parole e certi concetti ti allontana dal pubblico, in quanto “pericolosi”… Tutto ciò ha un nome ben preciso: intimidazione.

Ecco: noi italiani temo si stia sprofondando silenziosamente verso una situazione molto spiacevole (non tutti ovviamente la pensano come me), e se non ci diamo una mossa in fretta credo che potremmo ritrovarci poco per volta in un contesto che ci spegnerebbe e ci farebbe regredire alla condizione standard di quel tipo di Stati che non sono esattamente quelli a cui noi pensiamo quando ci dilettiamo con gli svaghi o quando i giovani ripongono le loro speranze per un futuro degno. Mi spiego: chi è che, tanto per dire, guarda serie o film ungheresi, russi, polacchi e simili? Chi è, parimenti, che ascolta musiche provenienti da quei Paesi? Ovviamente può capitare a tutti, chiamasi curiosità intellettuale, ma credo che la più parte del popolo italiano si diletti abitudinalmente con produzioni francesi, tedesche, inglesi, americane, e ovviamente italiane. E i nostri giovani pensano forse all’Ungheria come approdo per un loro futuro? O alla Russia? O alla Turchia? Credo di sapere la risposta, e credo la sappiate anche voi.

Stando così le cose, davvero vogliamo rischiare di diventare un po’ più simili a questi Stati? Lo chiedo perché il modello Orban (e per Salvini anche Putin?) pare essere un riferimento ideologico di chi ci sta governando. Davvero, continuando con le domande retoriche, non ci disturba l’idea che francesi, tedeschi, spagnoli, inglesi si ritrovino a pensarci un giorno come un Paese di quelli che noi stessi in genere guardiamo con un senso di superiorità dalla comoda condizione di popolo democratico? (So bene che per alcuni la democrazia di questi tempi è quasi un disvalore, ma ripeto: lo è dalla comoda posizione di democrazia che fino ad ora hanno vissuto. Non lo sarebbe più quando ne fossimo lentamente privati. Bisognerebbe provare per credere, ma ovviamente direi che sarebbe meglio non provare).

Il fatto è che stiamo rischiando di ritrovarci a provare, e una volta che avremo creduto dopo aver provato, tramortiti e spenti, sarà poi particolarmente dura riemergere e tornare a respirare. Ci vorrà molto tempo, e non sarà per nulla bello. So che gli italiani hanno vissuto gli anni di piombo. Forse è stato qualcosa di ben peggiore di ciò che molti di noi, me incluso, temono ora, ma per avere la sensazione che gli anni ’70 furono peggio serve secondo me essere fiduciosi nel fatto che chi ci sta governando ora non sia altro che un’accolita di arroganti maldestri i cui goffi errori gli si ripercuoteranno contro a breve. So comprendere due cose in merito a ciò: 1) che è sicuramente così: c’è della grossolana voglia di rivalsa da parte del mondo di destra e di estrema destra, ed è grossolana perché si sta manifestando con atti e azioni che denunciano scarso senso dello Stato e semplice desiderio di vendetta, per altro inseguito con una determinazione rimarchevole; 2) che questa voglia di rivalsa e vendetta è del tutto comprensibile, perché l’arroganza della cultura di sinistra – a cui appartengo, ma non perché sono una sporca zecca, semplicemente perché da destra ben difficilmente nel corso degli anni sono arrivati input culturali: da destra è semmai arrivato il berlusconismo, che ha mirato a debellare l’approccio culturale del nostro popolo, non saperlo riconoscere vuol dire appartenere a chi della cultura frega un cazzo, detto in soldoni – l’arroganza e il senso di superiorità morale della cultura di sinistra, dicevo, sono spesso stati fastidiosi, anche a me i cui valori di riferimento non stanno a destra. Messa in chiaro dunque la mia onestà intellettuale, che spero qualcuno fra gli ostili a questo articolo sappia riconoscere, resta il fatto che sono impaurito: la protervia è seria, e l’attacco ai fondamenti democratici che ci hanno fatto vivere fino a ora una realtà che a Est tutti i cittadini delle metropoli tranne i despoti ci invidiano, è reale. Non accorgersene e continuare a non andare a votare ci farà scontare pene che evidentemente in molti non vogliono vedere. (Ho parlato prima di intimidazione, che è una cosa tanto seria e grave quanto subdola. Fatevi un favore: vedetevi o rivedetevi, sperabilmente fra oggi e domani entro le 23, Le vite degli altri, film del 2006: è tutto lì dentro).

Ora: le elezioni europee che ci saranno sabato e domenica sono, giustappunto, elezioni europee. Non hanno direttamente a che fare con il nostro assetto politico interno. Per precisare: io sono un europeista convinto (e chiedo ai giovani: in assenza di un’Europa funzionante pensate che potreste avere con facilità le fantastiche opportunità formative di una esperienza come l’erasmus? E chiedo a tutti: non è forse una cosa bellissima viaggiare in tanti Paesi senza il bisogno del passaporto? E in quei Paesi non è forse bellissimo andarci a lavorare come se fossimo nel nostro Paese? E non è forse fantastico avere il roaming gratuito in tutta l’Unione? Esempi simili ce ne sono a bizzeffe. A saperli riconoscere tutti credo ci verrebbe voglia all’istante di andare a votare per una Europa unita). Molto di questa istituzione è perfettibile, e come tutte le condotte rette della nostra vita, se ne abbiamo, serve pazienza per arrivare a una condizione accettabile di ciò che inseguiamo. La Brexit, manipolata dai russi, non è che stia piacendo molto alla stragrande maggioranza degli inglesi…. E a proposito di russi: è ben saputo che la manipolazione messa in atto dai loro bot sta cercando di arrivare a quanti più giovani europei possibile per manipolarli in vista di queste elezioni (a chi mi sta per ringhiare contro faccio notare che gli attacchi informatici dei russi è da tempo che sono conosciuti come fra i più pericolosi, e lascio alle facoltà intellettive del lettore la capacità di capire in modo estremamente intuitivo quanto possa essere utile a Putin un’Europa divisa… E, cari lettori, una volta divisi e smembrati non faremo più la vita tranquilla a cui siamo stati abituati finora).

Dunque, prima di tutto andare a votare per l’Europa credo sia estremamente importante. Per due motivi almeno: 1) per contribuire a lavorare con pazienza alla sua perfettibilità e mantenerla in vita; 2) per tentare di arginare l’ultradestra che i sondaggi vedono pericolosamente in avanzata. Si vuol cercare di capire la pericolosità di una situazione simile? (Ancora, guardarsi Le vite degli altri). L’ultradestra non è la destra. Io non ho paura della destra, so anche rispettarla senza alcun tipo di problema, e credo all’importanza dell’alternanza in democrazia: ben vengano gli avvicendamenti destra-sinistra, sono sinonimo di buona salute della democrazia. Ho invece paura dell’ultradestra (che in buona percentuale simpatizza per fascismo e nazismo), e dovrebbero averla tutti coloro che non si sentono tali, a destra come a sinistra. Fatevela venire la paura, e se non siete fra quelli che sono più che sicuri di non andare a votare sabato e domenica, provate a cambiare idea.

Ma perché, vi chiederete, ho parlato di cose interne nostre (il nostro governo, l’Ungheria, la Turchia, eccetera) quando le elezioni sono europee? Beh, è noto a molti che un voto di appartenenza serve a dare un segnale forte in vista delle prossime elezioni (e anche dello sciagurato referendum sul premierato). Servirebbe un articolo intero per fare la lista dei vari piccoli o grossi step che sono fatti quotidianamente per minare i nostri fondamenti democratici (giusto l’altro ieri Serena Bortone è stata ufficialmente punita dalla Rai), ma basta non farsi fottere dagli algoritmi e allargare i propri orizzonti: è piena la rete di persone in gamba che quotidianamente cercano di aiutarci a comprendere cosa sta succedendo… E non vale forse la pena impiegare mezz’ora della propria esistenza per contribuire a porre un freno all’avanzata di cose oscure? Ci si organizza fra sabato e domenica, si esce di casa con la tessera elettorale, e si va a mettere una croce, indicando, volendo, delle preferenze. Nel frattempo si sarà fatta una bella passeggiata tonificante. Se sono perfettamente consapevole di non poter convincere chi dissente in tutto da quanto scrivo, posso però sperare che queste mie parole possano aiutare qualcuno a comprendere la potenziale gravità della situazione.

Ha mai portato a qualche frutto l’astensionismo? Si è forse riusciti a dare reali segnali forti ai politici che tanto disgusto ci procurano? Quando ero più giovane ho vissuto anche io questo sentimento: un bel vaffanculo di sdegno rappresentato dalla mia inazione, e che la capissero (poi ha sempre prevalso il “senso del dovere”, riconoscendo la preziosità di un voto che ci è stato garantito dai nostri nonni con le loro battaglie. Retorica? No, non è retorica). Ma se è vero che una delle colpe più gravi che imputiamo ai politici è il loro smodato amore per le poltrone, che equivale a odiarli perché si vogliono arricchire alle nostre spalle, non saranno quei pochi che vanno comunque a votare coloro che a prescindere renderanno possibile ai politici il tenere il culo sulle poltrone tanto amate? Perché a me pare evidente che qualcuno che va a votare ci sarà sempre, ed è chimerico illudersi che non ci andrà nessuno: e quel qualcuno che andrà – in genere a destra ci vanno di più, mi verrebbe da dire: meno pippe mentali e più concretezza – sicuramente manterrà lo status quo che ci si illude di poter sfanculare col non-voto.

«Non vado a votare perché tanto sono tutti uguali»: dissento. Vi risulta che a sinistra o nell’area non oltranzista di destra si tenti di scardinare con metodicità quotidiana i fondamenti della democrazia? Visto che attualmente di questo si tratta, che si vada a votare, che si ponga un argine, e una volta posto l’argine, dal giorno dopo si diventi immediatamente dei cittadini responsabili che si mettono al lavoro per modificare con la loro condotta di vita il dna del popolo italico (e dunque della classe politica, che da esso deriva) per migliorarlo e renderlo più responsabile. Ovvero: evitiamo il peggio, e poi dal giorno dopo lavoriamo per il meglio. Troppo comodo ragliare contro lo schifo quotidiano e non far veramente nulla per provare a migliorarlo.

«Non vado a votare perché non voglio fare un favore ai politici». Non votare alle europee vuol semplicemente dire contribuire all’indebolimento dell’Europa, e dunque contribuire a dare ancora più potere ai politici nazionali.

Credo di aver detto molto. Decine di altre cose si potrebbero dire. Di una sono consapevole: una volta che qui in Italia si prendesse una brutta piega so che difficilmente potrei scrivere articoli come questo (non sono un eroe). In tal caso mi ritroverei a fare quello che in molti avranno pensato leggendomi (o leggendo semplicemente il titolo di questo articolo): pensare a suonare e basta. Dal punto di vista creativo una cosa auspicabile, da un punto di vista di benessere esistenziale un dramma. Al netto di quelli che a questa ammissione rideranno soddisfatti prendendomi per il culo, mi rivolgo agli altri invitandoli a leggere fra le righe per provare a comprendere quanto è lì lì per avverarsi.

Nessuno mi paga per scrivere certe cose (ma quando mai?) e nessun politico mi ha chiesto nulla (ma quando mai?). È il mio sentimento impaurito che mi fa agire come un qualsiasi cittadino: a differenza di un qualsiasi cittadino io posso scrivere un articolo che in molti leggeranno. Tutto qua.

Infine: mi azzardo a pensare che Meloni sotto sotto non sia fascista. Lo posso contemplare. Ma non è sufficiente.

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