Confessioni di una dominatrice | Rolling Stone Italia
'Finché nessuno muore'

Confessioni di una dominatrice

Vera Nevi era una ragazza qualunque nella Milano dei primi Duemila. A un certo punto, gli uomini hanno iniziato a chiederle di trattarli male. Questa è la storia di quattro anni da dominatrice, raccontati in un libro uscito per Laurana

BDSM

Foto: Adhitya Sibikumar su Unsplash

«Nel mio mondo, potevi di nuovo soffrire e perdere la tua libertà. Qui potevi sentirti di nuovo vivo, e a darti la nuova vita ero io. Io ero la Dea della Rinascita, la Divinità del Dolore».

Eccomi qui a raccontarvi come da batterista in una band sconosciuta sono diventata dominatrice. Una storia fatta anche di musica e di Milano, i cui veri protagonisti sono in realtà uomini che abitano questa città.

Sono i primi anni 2000 quando inizio a suonare nei locali meneghini, città che all’epoca era vittima coloratissima dell’onda electroclash che la travolgeva, rendendola, almeno per qualche anno, perfino più interessante di Londra e ancora più cool di Berlino. Forse non avrebbe mai raggiunto New York, ma in quegli anni, intorno al 2005, la città era all’apice della sua bellezza, come se d’un colpo fossimo tornati nuovamente agli eccessi degli anni Ottanta, quando tutti – da Madonna a Keith Haring – venivano a passare almeno una notte qui.

Questa è l’ambientazione. In mezzo a tutta quella frenesia ci sono anche io, che suono con una band, e grazie alla notte milanese mi avvicino a una scena underground ancor più nascosta, dove chiunque può essere ciò che desidera finché il buio glielo consente, ed è proprio dietro al sipario del crepuscolo che inizia la mia vita da dominatrice, che porterò avanti per anni (e che si svolgerà in realtà soprattutto di giorno) alla quale devo una visione molto lucida e disincantata sul mondo.

Uno dei miei slave si presentava sul pianerottolo già strisciando, la mattina di buonora, lasciando ogni sua maschera non solo fuori dalla porta ma anche dal palazzo. Durante i nostri incontri gradiva ricevere cose quasi banali, a tratti noiose: insulti, indirizzati a lui e a sua moglie, alla vita grama che conduceva, da cui evidentemente voleva disperatamente scappare, e io con tutta sincerità non faticavo a renderlo felice. Quello che realmente era interessante di quest’uomo era che nell’istante in cui gli dicevo che i giochi erano finiti lui scattava in piedi, si annodava la cravatta strettissima peggio di un cappio e telefonava immediatamente all’autista, con la prontezza con cui si dovrebbe chiama l’ambulanza. La sua voce cambiava di tono e impartiva al suo sottoposto ordini precisi: parcheggia così, aspettami precisamente li, ricordati che dopo devo recarmi in questo o quel posto (snocciolando i suoi impegni di lavoro altisonanti) e non mancava di aggiungere cose in tono più infimo, tipo “spero tu abbia lavato la macchina”. Con il suo dipendente sfoggiava l’arroganza di cui si era liberato poco prima con me, poi mi salutava con distacco ed educazione e da quel momento sentiva di aver ripreso in mano le redini della sua vita.

Le pulsioni sessuali più forti spesso non centrano niente con il sesso. Nel mio mondo l’unica cosa che contava era il controllo, e quello che regalava piacere era come riuscire a perderlo nel modo più umiliante possibile.

Uno dei miei schiavi più creativi sfogava le sue fantasie rendendosi personaggio principale di un fumetto. A lui piaceva fingere di morire a rallentatore, ucciso da armi inesistenti. Una palla di fuoco immaginario per esempio, che lo “colpiva”, lo faceva tarantolare come in un cartone animato, mentre fingeva di prendere fuoco, fino a farlo perire sul pavimento. Il tutto molto lentamente.

Questo genere di persone non può certo dare il fianco chiedendo una messa in scena tanto elaborata alla propria fidanzata (ammesso che ce l’abbia) e non cerca una escort. Chi nella realtà ricopre il ruolo di compagna o moglie non ti disprezzerà mai come desideri. E non essendoci nel tuo immaginario il contatto fisico, della escort non hai bisogno.

Hai bisogno di qualcuno che possa rendere reale e tangibile qualcosa che non si colloca con precisione in nessuna sfera. La persona di cui necessiti è decisamente la dominatrice: qualcuno che possa rendere (quasi) vere le tue fantasie più inaccettabili per almeno una mezz’ora.

Lo schiavo germofobico usava i guanti di lattice ovunque andasse da prima del 2020, e nonostante tutto ogni tanto mi chiedeva di potersi andare a lavare le mani (sempre coperte dai suoi guanti). La sua non era una messa in scena come inizialmente pensavo, perché mi capitò di incontrarlo in una biglietteria del cinema una sera (per caso) con una donna, e anche in quell’occasione notai spuntare dalla manica della giacca grigio-matrimonio una mano immacolata e luminosa ricoperta di inconfondibile lattice bianco. Quest’uomo quando entrava nel suo ruolo di slave aveva come desiderio primario quello di passare in rassegna con la lingua tutte le suole della mia scarpiera… Chissà se poi tornato a casa baciava sulla fronte i suoi bambini. Ancora, ogni tanto, me lo domando.

Insomma, giocando ho imparato moltissime cose, non solo su di me ma soprattutto sugli uomini (perché io vedevo uomini, erano proprio loro a cercarmi). Posso senza mezzi termini asserire che la cosa più interessante in assoluto che ho appreso da questa esperienza riguarda proprio il sesso maschile: quello che mostrano in pubblico è spesso una proiezione di se stessi (dettata dalla società o dal costume) se non proprio una falsità. Avete presente quello zio perbene che avete? Oppure il cognato di successo che tutti in famiglia stimano? Proprio loro erano i miei schiavi.

Ho notato una certa correlazione tra uomini di potere e desiderio di sottomissione. Uomini con vite perfette (di cui mi parlavano spesso) con mogli bellissime, di cui mi mostravano le foto, a cui costantemente dovevano celare i loro vizi più segreti. Anche il feticista dei capelli non poteva tornare a casa a dire che tra un meeting e l’altro, nonostante l’incombenza del taglio del personale, era riuscito comunque a ritagliarsi del tempo per venire a spazzolarmi la chioma e raccoglierla in due bellissime trecce.

Non se la sentivano di fare le pulizie a casa loro come invece facevano nel mio spazio, vestiti magari con un tutù rosa e delle ballerine numero 43 che mi chiedevano di nascondere, così da non rischiare che qualche collaboratrice domestica (o collaboratore) lavasse per errore quello che poteva solo scambiare per l’interno della borsa di danza della figlia.

Anche se ho smesso molto tempo fa di essere dominatrice, perché con il tempo mi sono stufata, io negli anni mi sono divertita, e la mia leggerezza nell’affrontare chi magari desiderava che gli procurassi delle ferite si è dissipata come le loro gocce di sangue. Ma mi chiedo ancora: come facevano a vivere una vita intera nell’ombra? Da un lato provo stima per chi riesce a svicolare cercando di essere davvero se stesso per almeno un’ora, e a molti slave mi sono affezionata.

Dall’altro tra una frustata e l’altra nel tempo ho fatto due conti: se centinaia di uomini ogni giorno contattano una dominatrice (e vi garantisco che farsi picchiare è molto di nicchia!) allora non c’è da stupirsi quando vengono a galla i 32000 iscritti al gruppo Facebook Mia Moglie. A mio avviso però, è giusto che si sappia, affinché la narrativa femminile che ancora troppo spesso intrappola le donne venga scardinata. I miei amici sono quasi tutti uomini, persone a cui voglio bene per quello che sono, e per questo ritengo essere un sacrosanto diritto della donna sapere che non esistendo i principi azzurri, anche noi possiamo senza alcun timore essere semplicemente ciò che siamo e fare quello che vogliamo senza farci intrappolare dalla “narrativa” che ci è stata propinata per centinaia di anni.

In questi giorni, grazie all’uscita del mio romanzo Finché nessuno muore, edito da Laurana, che ho scritto sotto lo pseudonimo di Vera Nevi, ho avuto modo di parlare con diverse persone della mia esperienza, perché alcune delle scene descritte nel romanzo prendono spunto da eventi reali; e quando facendo riferimento ai numeri dicevo frasi come: parliamoci chiaro, molti di voi (uomini) siete così, nessuno dei presenti aveva il coraggio di contraddirmi: Perché quando una cosa la si viene a sapere, diventa tua, nessuno ti può mentire a riguardo, rimarrà per sempre appurata.

Finché nessuno muore

‘Finché nessuno muore’ di Vera Nevi. Foto: press

Per questo rivolgo un pensiero finale proprio alle donne, magari a quelle che cercano di essere madri ineccepibili, figlie integerrime o che cercano di essere “all’altezza” di un lavoro dove vige una maggioranza di uomini ai vertici: Da domani, quando vedete il vostro capo fare il macho in ufficio, dovete pensarlo a quattro zampe in un corridoio cavalcato da una ragazzina che lo frusta sul di dietro divertendosi. Cercate di rimanere imparziali, senza guardarlo con troppa pena, altrimenti rischiate che si ecciti.

Da ora non vi lascerete più intimorire né stupire da niente. Ora il maschio lo guardate dall’alto.